9. Memories

450 57 9
                                    


My Immortal - Evanescence

Fa troppo caldo. Non sa se è a causa degli alcolici o della pesante trapunta che la soffoca. Si gira e rigira infastidita dalla suoneria del telefono. Allunga il braccio verso il comodino e a afferra il cellulare.
"Pronto" sbuffa assonnata. "Amelia" biascica la voce dall'altro capo. La ragazza riconosce la voce dell'amica sotto quelli che sono gli effetti di non pochi liquori.
"Marina?"
"Amelia, non essere triste ti prego" farfuglia. Amelia si siede di scatto, d'un tratto più lucida.
"Le ha fatto male quel mostro!" continua disperata. "Marina cosa stai dicendo?"
"Io glielo avevo promesso! Avevo promesso a mamma che l'avrei protetta" urla improvvisamente con tono terribilmente avvilito.
"Marina dove sei?" chiede preoccupata.
"Dove sono?" ridacchia "sul bordo di quel lago, il lago di mamma" dice piano infine.
"Adesso arrivo Marina, non ti muovere" si affretta a dire spostando le coperte. I primi brividi di quella notte. Appoggia frettolosa i piedi a terra e corre verso la camera di suo padre. Bussa violentemente alla porta della stanza "papà!".

"Amelia, non piangere va bene? E' che i sensi di colpa mi stanno distruggendo, sai?" piange l'amica. "Non ho mantenuto la promessa, ho rovinato la vita della piccolina" urla distrutta.
La ragazza continua ad ascoltare Marina al telefono mentre le lacrime rigano una dopo l'altra il suo volto.
E' incredula. E' confusa. L'ultima volta che l'ha vista è stata poche ore. L'ha vista tornare a casa col sorriso sul viso, grata della bella serata che avevano passato insieme. E così se la ricorderà per sempre. Col suo largo sorriso, il suo costume da angelo e la coroncina di dente di leone. Era radiosa. Allegra e brillante.
Strano come in pochi istanti la tua vita si sbilanci, no? Come dall'euforia si possa passare alla dannata malinconia, inaspettatamente.

E' in auto vicino al padre, l'ansia le fa tremare le mani. "Al lago papà, al lago!" grida agitata.
"Tesoro, ti voglio bene ricordalo" dice lentamente strascicando le parole Marina. "Non piangere, ti prego. Non darti colpe è tutta colpa di quel mostro!" continua singhiozzando.
"Ricomponi i pezzi che abbiamo distrutto alla piccolina, solo questo. Fallo per me" mormora per poi terminare la chiamata.
"No" sussurra guardando lo schermo del telefono. "No! no! no!" urla improvvisamente.
Le sue guance bruciano dopo tutte le gocce di pianto. Batte i pugni sul cruscotto ripetutamente per poi prendersi i capelli tra le mani in preda alla disperazione.
Appena l'auto si ferma, Amelia non aspetta un secondo ed apre la portiera correndo verso lo specchio d'acqua. Le ginocchia sono deboli e una morsa le stringe il petto. "Marina?" chiama guardandosi intorno col viso mischiato di colori rimasti dal trucco della serata. "Marina?" richiama correndo tra gli alberi e il ciglio del lago.
I suoi occhi ricadono su un bagliore. Si avvicina piano sperando con tutta se stessa che non sia quello che pensa.
La collana.
Si lascia cadere a terra, raccoglie l'oggetto e lo stringe fino a sentire la pelle sulle nocche tirare fin troppo. Nota subito la coroncina di fiori sul bordo dell'acqua e una bottiglia vuota di assenzio.
"Marina!" grida con tutta l'aria possibile. Il nome della sua amica echeggia nel vuoto.
Si rialza barcollando e sente un braccio cingerle la vita; suo padre che con l'altro braccio parla al telefono. Riesce a sentire solo "è urgente" ed "ambulanze" prima di abbandonarsi al suo pianto lacerante tra i venti gelidi di fine ottobre e il rumore delle acque che trasportavano il corpo del suo piccolo angelo. Quei venti freddi tra i quali l'anima di Marina entrò a far parte così che Amelia si promise che anche lei sarà un vento un giorno. Un vento gioioso.

Fa un respiro come se fosse tornata a galla dopo un lungo periodo di apnea. Respira a fatica e profondamente con le tempie e le clavicole sudate. -Non devo piangere- si ordina con decisione. La porta viene aperta violentemente lasciando entrare della luce dal corridoio. Genn è sulla soglia col fiatone, ma appena vede la ragazza seduta sul letto si calma e tira un sospiro di sollievo. Si avvicina al materasso e si siede accanto a lei, l'abbraccia. Come se gli fosse mancata. La stringe come se avesse paura che lei scomparisse. Ha paura del suo dolore, ha paura che la consumi. Sta tremando.
Le accarezza la schiena e una volta più tranquilla la incita a sdraiarsi abbassandole le spalle. Tira la coperta all'altezza del suo mento e sospira. Le sposta i capelli dal viso e sorride. Anche se è notte e se c'è buio.
"Scusa se ti ho occupato il letto" ed il su sorriso si allarga. Un netto contrasto in quella stanza opaca. "Ma che dici" le dice teneramente.
Sta per uscire quando la sente borbottare "resta qui". Lui annuisce e si sdraia accanto a lei. Ne ha bisogno. Amelia gli avvolge un braccio sotto il petto e a questo contatto lui si irrigidisce.
"Ho urlato il suo nome?" sospira sul suo collo dopo imbarazzanti attimi di silenzio.
Nonostante sia confuso e agitato dalla situazione deglutisce e annuisce.
"Grazie Genn"
"Di che?" chiede sorpreso ma più rilassato.
"Di aver imbottigliato il vento" bisbiglia prima di cadere in un sonno più tranquillo.






I'm the dark side || Urban StrangersDove le storie prendono vita. Scoprilo ora