Capitolo 2 III parte

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Non riuscivo a darmi una spiegazione a tutto quello che mi era appena accaduto: solo un sogno dettato dalla suggestione, o la pura e semplice realtà? 
Le due facce della medaglia che mi si ponevano sempre davanti erano queste, ed io, speravo sempre nella prima. 
Quell'essere, lo Yateveo come tutti lo chiamavano, era stato creato da delle menti malate, non era più quell'uomo indifeso costretto a subire, ma un mostro, una figura inquietante e senza più una ragione. Mi voltai verso lo specchio, mi sentivo osservato. 

- Chi c'è? - chiesi sentendomi improvvisamente stupido, come quando nei film horror udendo dei rumori provenienti da una stanza buia dicono: "C'è qualcuno?". Li ho sempre odiati. 
Rimasi a fissare la mia immagine per qualche minuto, dopo un brivido dovuto all'aria gelida che entrava dalla crepa, comparvero delle figure sbiadite di persone con lunghi vestiti bianchi. 
Camminavano in fila, una dietro l'altra, poi si fermarono con il capo chino. 
Non sapevo cosa aspettarmi. 
- Loro ti mostreranno la strada - disse la ragazza. In quelle persone, potevo distinguere tutti i volti che avevo visto in quella sorta di flashback avuto prima. 
Dovevo farlo, era arrivato il momento, aspettare ancora non sarebbe servito a nulla. 
Presi senza riluttanza il lume sulla sedia, riguardai lo specchio e annuii.
Tutte le figure si riunirono in un unico punto, questo si separò dallo specchio e iniziò a fluttuare in aria fino ad uscire dalla crepa. 

- Segui la luce... e non farti vincere dalle tenebre - disse lei - Io ti starò accanto -. 
Camminavo guidato da quella sfera luminosa, non vedevo nulla intorno a me, fino a quando non arrivai in un corridoio che mi era familiare. 
Ad ogni mio passo qualcosa sotto di me scricchiolava, respiravo a fatica a causa dell'aria umida e pesante e la mia mano tremava, facendo traballare la fiamma del lume, unica mia fonte di salvezza in quel momento. Ero terrorizzato al solo pensiero di essere scoperto, dovevo calmarmi ma nella mia mente si affollava il ricordo di quegli occhi cavi, gli artigli affilati e i versi strozzati insieme alla cadenza dei passi e dello strisciare sul suolo. 
Avanzavo sempre di più con il sudore freddo sulla fronte, lungo le guance, cercando di fare meno rumore possibile e di non perdere mai di vista la mia guida. 
La vedevo lì, nel buio, composta da tutte le anime costrette ad abitare in quell'ospedale, ricolma di sofferenza e speranza. Si fidavano di me, avrei dovuto liberare tutti loro, non solo Joel. 
Di colpo sentii qualcosa sfiorarmi il braccio. Mi immobilizzai con il cuore che mancava poco dall'esplodermi nel petto. 
Cominciai a respirare con la bocca, non riuscivo a dire nulla.

- Devi continuare a camminare... qualsiasi cosa succeda... - facile a dirsi. Feci un sospiro, ripartii. 
- Se parlo lui può sentirmi? - chiesi spezzando il silenzio che si creava negli intervalli di tempo tra un passo e un altro. 
- Lui vede - rispose la ragazza.  
Non dava mai risposte complete, ma non ci volle molto per capire che probabilmente il suo unico senso era la vista, nel buio. 
Salimmo molte scale, non saprei dire di preciso quante, poi arrivammo in un altro corridoio. Sembravano tutti uguali, stesse porte, stessa atmosfera inquietante... quello però differiva solo in una cosa. 
Quando passammo di fronte una delle stanze, ricordo di preciso la 309, io vidi qualcuno. 
- Dobbiamo continuare - disse lei. Stavolta non mi fermai, date le precedenti esperienze, ma spinto dalla curiosità feci delle domande. 
- Chi era? - 
- Valerie... Wilson - rispose con voce spezzata. 
- La conoscevi? - 
- Io... no. Girava voce che avesse tentato il suicidio varie volte, che fosse pericolosa. La tenevano spesso in isolamento. Ma poi scoprii delle cose... - 
- Cosa? - 
- Sei davvero curioso... Tom - 
- La strada sembra lunga, tremo per il freddo e per la paura, vorrei distrarmi ecco - dissi cercando di sembrare più tranquillo possibile. 
- Valerie era l'esperimento numero 5. Era stata portata qui dal marito pochi giorni dopo il loro matrimonio ma... voleva solo disfarsene. Non era malata, non aveva mai tentato di uccidersi - 
- Esperimento numero 5? - 
- Ogni volta che la mettevano nella cella di isolamento... significava che poco prima l'avevano usata come cavia. L'uomo che hai visto, era il numero 6. In lui è cresciuto lo Yateveo. In lei solo... morte - 
-
Com'è morta? - 
- L'hanno uccisa, era diventata inutile e troppo debole per sostenere altre iniezioni -.
Calò di nuovo il silenzio, non osai dire più nulla. 
Fuori da lì, nella vita di ogni giorno, chi poteva mai immaginare le atrocità che avvenivano all'interno? 

Anime che si affidavano a me, per raggiungere la salvezza ed io... che mi affidavo a loro per riuscire a porre fine a tutto quello.
Proseguimmo senza più parlare, poi finalmente eccola. 
Avevo di fronte una porta con su scritto "archivi", la aprii senza pensarci due volte e continuai a seguire la sfera. 
Sorrisi per aver raggiunto quel piccolo traguardo, non era molto ma era l'inizio. 

- Mostra loro l'indizio sul foglio, ti indicheranno dove guardare -. 
Avvicinai il lume al foglio, "3°, P, 4.... " poi accadde il peggio.
La fiamma si spense, lasciando vuoto e oscurità.
Tentai in ogni modo di riaccenderla, ma niente da fare, ero lì, circondato dal buio, facile preda.



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