Capitolo 2 II parte

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Battevo incessantemente il mio piede sul pavimento, a ritmo delle gocce che scandivano il mio tempo come un orologio. 
Un orologio senza ore, nè minuti, nè secondi. 
Dovevo calmarmi se volevo trovare una soluzione... d'altronde dovevo solo uscire di lì e vagare al buio, da solo, senza una direzione precisa e con una sottospecie di essere demoniaco che poteva comparire alle mie spalle in ogni momento. 
- Devi andare, non c'è più tempo - udii la voce della ragazza, ma lei non c'era. Mi alzai di scatto. 

- Fuori da qui non durerei nemmeno un minuto. Come faccio a non farmi vedere? - 

- La soluzione è... nel contrario - non capivo. 
- Contrario di cosa? - 
Non ricevetti risposta.
- Contrario di cosa?! - urlai.
Era andata via, di nuovo. 
Tirai un sospiro stanco, disperato. 
Tutto ciò che avevo tra le mani era meno di niente, un foglio con delle parole senza senso, ed un aiuto che non potevo sfruttare dato che non sapevo come fare per arrivare sano e salvo alla stanza degli archivi. 
Contrario... a cosa si riferiva? 
Cercai di ripercorrere con la mente tutto ciò che mi era successo, fino a quando posai gli occhi su quella frase. 
"E' lì che vive... nell'oscurità, nella paura, nella morte... Se ti vedrà, non avrai scampo..." e se...
- La luce! - dissi. Era ancora lì, lo sapevo, lo sentivo. 
- Rispondi, non è così? La soluzione è la luce - all'improvviso il liquido nero smise di gocciolare dal tetto, qualcosa mi sollevò in aria e le pareti della stanza caddero come quelle di una scatola di cartone. 
- Ora ti mostro una cosa - disse. 
Mi trovavo in una strana dimensione, tutto era diventato bianco e luminoso, sentivo solo delle voci che riecheggiavano nello spazio intorno a me, ma non capivo cosa dicevano. 
Ad un tratto di fronte a me apparve un sentiero di mattonelle bianche e nere, avanzai lentamente senza toccare ancora terra ed arrivai ad una porta. 
- Prima di entrare... niente di tutto quello che vedrai sarà reale... non dovrai mai toccare nulla per nessuna ragione... dovrai soltanto guardare - 

- D'accordo -.
Non sapevo se ciò che stavo provando era stupore, paura, ansia o curiosità.
Forse tutto insieme.
Chiusi gli occhi mentre varcavo la soglia, quando li riaprii mi ritrovai in una stanza di ospedale. Vedevo medici, pazienti legati ai polsi sui letti, un'infermiera che si ripuliva le vesti dal cibo che un uomo sulla cinquantina dallo sguardo terrificante, le aveva sputato addosso, ed infine percepivo un clima di angoscia, disagio e non mi sentivo al sicuro. 
- Ricorda che loro non possono vederti - disse la ragazza spingendomi in un altra stanza. 

Passammo alla mensa, dove veniva servita una poltiglia giallastra e ai tavoli c'era chi guardava il vuoto, chi aveva immersa la testa nel piatto, chi si pettinava i capelli con una forchetta, chi si lamentava o strisciava per terra... poi notai in un angolo un gruppo di pazienti ammassati che sbraitavano "Questo è per il Signore!". Mi avvicinai per capire cosa stessero facendo e rimasi immobile, atterrito. Uno di loro teneva fermo al pavimento un uomo di corporatura scheletrica, gli altri strofinavano i loro corpi sudici su di lui. Lui emetteva lamenti soffocati e subiva privo di forze. 
- Dobbiamo andare avanti... - disse lei. Ancora fisso su quell'immagine rabbrividii e provai anche un forte senso di rabbia, ma venni nuovamente trascinato via.

Stavolta ci trovavamo in una sorta di sala operatoria. I medici indossavano maschere inquietanti e tenevano un uomo legato ad un letto senza materasso, con la schiena che premeva sui fili di ferro arrugginiti.
Feci qualche passo per vederlo in volto: era l'uomo che stavano violentando nella mensa.
Gli iniettarono una sostanza prima in entrambe le braccia, poi passarono al collo, infine alle gambe. 
- Da qui tutto ebbe inizio... lo stanno creando... - 
Pochi minuti dopo uno dei medici si avvicinò al paziente.
Sogghignava.
Spense tutte le luci, ma prima di farlo si tolse la maschera e con sgomento notai che era l'uomo della prima stanza, quello dallo sguardo terrificante. Quando rimanemmo al buio sentii un urlo stridulo... un ringhio e... 
- E' lui -.
Il cuore mi batteva a mille, non sembrava più tanto irreale.
Si liberò dalle cinghie e con passi pesanti prima andò verso gli altri medici, e dopo urla strazianti di dolore, e rumore di interiora strappate cruentemente, si diresse verso di me.
- Non muoverti - a quelle parole deglutii e strinsi le labbra tra i denti. 
Si fermò alla mia destra, con respiro affannoso, sembrava esattamente la stessa scena di quando mi trovavo di fronte alle scale. La stessa sensazione di paura.
Sapevo che lui poteva vedermi, ne ero certo.
Improvvisamente si udì un rumore da fuori la porta e in meno di un secondo iniziò a correre come una furia.
Senza neanche avere il tempo di realizzare ciò che era appena accaduto, mi sentii precipitare nel vuoto, la mia testa girava e non capii più nulla. 
Ero di nuovo nella stanza dietro la crepa, le pareti erano tornate come prima.
- Devi aiutarci... e noi aiuteremo te - . 





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