Silence

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Niall quel giorno camminò con lo zaino mezzo vuoto sulle spalle, lento e svogliato. Era presto per andare alla fermata, mancavano più di una decina di minuti all'arrivo dell'autobus. Non aveva nessuna voglia di andare a scuola.

Era uscito di casa con dei dolorosi lividi su tutto il corpo. L'occhio nero era il più evidente e non aveva neanche potuto coprirlo con del fondotinta perché, vivendo con il padre e il fratello maggiore, non c'era nessuna traccia di cosmetici per la casa.

Testa china per nascondere l'evidenza, cappuccio grigio su di essa a coprirgli i capelli disordinati, le mani nelle tasche della felpa nel vano tentativo di cercare un po' più di calore. Calciò qualche sassolino trovato lungo la sua strada facendoli rotolare un po' più lontano. Non prestò la minima attenzione a ciò che accadeva attorno a lui, non gli interessava.
Pensò e ripensò a quello che stava sbagliando nella sua vita. Ma stava sbagliando davvero?

Certamente, meritava tutto quello che gli stava succedendo. Quel pensiero risuonava nella sua testa come un mantra ed era diventato quasi una convinzione assoluta.
La sua mente non faceva altro che ripetergli che era il frutto di un'amore malato, sbagliato, cruento. Era nato da un errore ed era diventato tale.

Eppure si impegnava, cercava di mettercela tutta, di essere sempre meglio di com'era. Cos'altro doveva fare di più per avere un briciolo di felicità?

I pensieri si stavano impossessando di lui quando una voce che lo chiamava lo fece fermare. Riconobbe il tono per lui inconfondibile e appunto per questo non volle farsi vedere in quelle condizioni. Tornò così a camminare con passo spedito mentre la ragazza lo rincorreva.

«Niall! Non mi hai sentita per caso?» Posò una mano sulla sua spalla sorridendogli, ma quando vide le sue condizioni le parole gli morirono in gola «Cosa ti è successo?»
Gli occhi vagavano veloci per ogni angolo di quel volto tumefatto.

«Nulla di cui tu ti debba preoccupare Marie.» scrollò le spalle con fare indifferente, allontanandosi dal tocco della giovane che lo stava ancora analizzando e riprendendo il suo cammino.

«Come potrei non farlo, Niall?» lo seguì mentre l'altro evitava il suo sguardo come la peste, vergognandosi delle sue condizioni, della sua vita, di se stesso.

«Marie non vado a scuola, vai alla fermata. L'autobus arriverà a momenti e tu rischi di perderlo» deviò il discorso con voce pacata, quasi tranquilla. La realtà però era ben diversa: dentro di lui stava per scoppiare una vera e propria guerra.

«Senti, non ti lascio vagare da solo e senza meta in queste condizioni. Puoi anche non dirmi che è successo, ma io vengo con te oggi, che tu sia d'accordo o meno» si mise al suo fianco imperterrita.

«Nessuno ti obbliga» sussurrò il biondo. Si stava mostrando come un debole, un ridicolo ragazzino e non voleva di certo che provasse pietà nei suoi confronti.

«Siamo amici Niall, se ti succede qualcosa poi chi mi tiene il posto sull'autobus?» provò a scherzare e il ragazzo accennò un sorriso.

La sua mano si infilò tra il braccio e il fianco dell'amico che teneva ancora le mani nella felpa. Si strinse un po' a lui, forse per il freddo, forse per fargli capire che era lì per lui.

Il silenzio regnò per minuti interi, passo dopo passo. Per Niall era un silenzio terribilmente assordante, pieno di pensieri, dubbi e paura; per Marie Belle era un silenzio fin troppo calmo, tanto da voler urlare per portare confusione, mentre il primo voleva urlare perché smettesse -la sua stessa testa- di confonderlo.

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