CAPITOLO 1 (presentazione)

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Ero una ragazza come poche, quando varcai la soglia di quei portoni troppo grandi per me. Avevo delle caratteristiche fisiche attribuibili a chiunque, ma il mio carattere era ancora un mistero anche per me. Era il mio primo giorno di scuola superiore, facevo un liceo abbastanza comune ma con delle materie anche difficili (insomma una via di mezzo che colmasse il desiderio di "figlia perfetta" di mia madre ma che mi permettesse anche di superare l' annata senza troppe lacune). Arrivai molto in anticipo, poiché non mi piaceva che le persone si girassero per osservarmi quando entravo in una stanza, preferivo sedermi e squadrarle io. Odiavo essere giudicata, odiavo essere al centro dell' attenzione, odiavo anche solo che qualcuno di nuovo mi venisse a parlare, insomma odiavo un po' tutto. Ma era così, ed io ero così, e mi piaceva stare da sola (Soprattutto perché stare da soli ti da molto tempo per osservare gli altri e capire i loro caratteri, le loro abitudini, i loro pensieri).

Un tempo (già, un tempo ....) ero una bimbetta dolce e serena, ma quando i miei genitori mi fecero bruscamente cambiare casa e scuola, tutto cambiò. Venni inserita in una classe di scalmanati, dove tutti urlavano e non si riusciva a sentire neppure i propri pensieri in quel trambusto. Inoltre, le bambine erano tutte viziatelle e io non ero tipa da quel genere di amicizie (non so neanche se ero tipa da amicizie in generale). Mi mettevo sempre in un angolino con in braccio il pupazzetto (non so neppure che animale dovesse essere, era una sorta di narvalo peloso azzurro con le orecchie da gatto) che mi aveva regalato un' amica della vecchia scuola per il mio compleanno, e da quel piccolo spazio che mi ritagliavo osservavo il cielo, le nuvole, e facevo volare l' immaginazione. Pensavo che una volta morti si volasse sulle nuvole, e la tua nuvola assumeva la forma di ciò a cui avevi pensato prima di lasciare la Terra. LO SO, erano discorsi un po' "particolari" per una bimba di 8 anni, ma mi incuriosiva tutto ciò che volava sopra di me, mi sarebbe piaciuto avere le ali, oppure uno stormo di uccellini che mi sollevasse in cielo e mi portasse su una nuvola.

Non accadde nulla di speciale durante le elementari, tutte le bimbe stavano solo con le loro amichette e a me andava benissimo così. A me bastava Tuffy (il mio pupazzetto).

Solo alcuni episodi mi rimasero impressi nella mente, e marcarono alcuni lati del mio carattere. Il primo fu quando la maestra ci disse di scrivere la "letterina a Babbo Natale". Le altre bimbe e gli altri bimbi chiesero regali come biciclette, slittini, vestiti o giocattoli, io invece scrissi che volevo morire per un po', volare sulle nuvole, vedere come si stava lassù e poi tornare in vita e riprendere le normali attività (LO SO che non è possibile, ma nei miei sogni era possibile anche colorare le cose solo sfregandole contro altre cose di altri colori). Quando la maestra lesse la letterina davanti a tutti, si fermò su "vorrei M", poi passò ad una lettura mentale, veloce e attenta, e infine, terminò la frase che aveva iniziato per non lasciare la classe in sospeso con un semplice "vorrei ... Miss Barbie Kansas 1998". Io subito alzai la mano con aria contrariata, ma la maestra raccolse velocemente un' altra letterina e non mi lasciò parlare. Quando la giornata scolastica stava finendo, qualcuno mi prese per il braccio.

Mi voltai con aria nervosa e vidi la maestra. Mi squadrò dalla testa ai piedi, e dopo alcuni secondi mi disse:-Piccola Eloise, non si può morire e tornare in vita, e le nuvole sono solo un fenomeno atmosferico!- Io la guardai con aria arrabbiata, mi tolsi la sua mano dal braccio e, puntando dritti i suoi occhi marroni le urlai quasi: - Sì che si può! -. Quindi, mi girai con Tuffy in braccio e corsi fuori dalla scuola quasi in lacrime (Beh, quella stronza aveva appena rovinato il mio sogno preferito, non potevo reagire se non così). Appena fuori, respirai molto intensamente, sia per riprendere fiato sia perché mi sentivo come se il mostro cattivo che mi rincorreva fosse rimasto dietro il cancello della scuola. Comunque, le lacrime non accennavano a fermarsi. Ed era una delle prime volte che piangevo, perché fino ad allora non ne avevo sentito minimamente il bisogno. Strinsi fortissimo Tuffy e sottovoce dissi :- Quella stupida donnaccia - e le lacrime scesero ancora più copiose. Appoggiai la schiena al cancelletto e mi lasciai scivolare fino a toccare il terreno.

In quel momento, mi si avvicinò un bimbo che non avevo mai visto prima, ma che come me aspettava il suo autobus davanti alla scuola. Era biondino, vestito sportivo e con gli occhi verdi. Mi guardò con aria incuriosita e disse:- Stai bene? - ... io non risposi subito, non lo conoscevo e odiavo gli sconosciuti, ma presa dalla tristezza del momento dopo un po' di esitazione risposi con un filo di voce:- Che cosa ti cambia?- Lui si chinò accanto a me, mi porse un fazzolettino e disse:- Tieni -. Io lo osservai un po' stranita, ma poi allungai il mio magro braccino e, preso il fazzoletto, lo portai all' altezza degli occhi, e li asciugai uno ad uno. Poi, sempre più incuriosita dalla disponibilità del bimbo, gli chiesi:- Non ti ho mai visto ... come mai ?- -Ah beh ho perso l' autobus di prima e sto aspettando il secondo- rispose un po' imbarazzato. La conversazione cadde lì, poco dopo arrivò il suo bus e non lo vidi più. Non so perché, ma decisi di conservare il fazzoletto che mi aveva dato, anche se era tutto bagnato dal mio pianto.

L' altro episodio che mi ricordo come "particolare" nella mia infanzia, accadde a fine 5° elementare. Stavo aspettando il mio solito bus, avevo il mio solito sguardo perso e tenevo stretto Tuffy. Alcune ragazze parecchio più grandi di me (sui 14-15 anni) passarono di lì a bordo di degli skate. Una di loro si fermò a guardarmi, e le altre si girarono di conseguenza. Aveva i capelli rossicci spenti, molto trucco, era vestita sportiva e masticava del chewing-gum. Prese lo skate sotto braccio e si avviò a passo spedito verso di me, seguita dal gruppetto di amiche. Arrivata a pochi metri da me, mi urlò:- Hey tu! Ma in che classe vai?- -In quinta- risposi molto seccata io (ero seccata per come mi stava guardando, aveva la tipica aria di chi sta per fare una battuta che non fa ridere su di te)... -E ti porti ancora dietro quell' aborto?- incalzò, puntando a Tuffy, che strinsi ancora più forte. -Ah, non rispondi?- strillò, e poi scoppiò a ridere. La guardai con aria interrogativa, ma lei si avvicinò velocemente, e a meno di 10 cm dal mio viso, sibilò:- Alle medie non ti servirà-. Detto questo,mi diede un colpo che mi fece cadere all' indietro, e mentre io mi rialzavo, lei afferrò Tuffy, lo guardò attentamente e poi, con uno strappo secco, staccò una zampetta dell' animale di peluche. Io mi paralizzai, non sapevo che fare, e lei divertita iniziò a lanciarsi Tuffy senza zampetta (che nel frattempo era caduta in una pozzanghera) con le sue comari. Quando notarono che non avevo alcuna reazione, e che anzi mi ero appoggiata al muro osservandole (e con un' aria da <contente loro>) lasciarono cadere Tuffy a terra e la rossa mi si avvicinò. Quindi, mi fissò ben benino negli occhi e io, con aria di sfida, ressi il suo sguardo, che man mano si infuocava. Infine, si scostò e, afferrando lo skate e gettandolo a terra, mi disse:- Benvenuta alle medie-. Poi si allontanò insieme a tutto il gruppo.

Non capii immediatamente quella frase, ma alle medie mi fu tutto più chiaro. Intanto, mentre aspettavo il bus, raccolsi i pezzi di Tuffy e mi guardai intorno. Notai qualcuno che mi stava guardando da lontano. Inizialmente non ci feci molto caso, dopo quello che era appena successo era normale aver attirato sguardi (... indesiderati ...). Ma dopo alcuni minuti, notai che ancora qualcuno mi stava guardando con insistenza. Così, fingendo di star camminando un po' in giro, e fissando altrove, mi avvicinai silenziosamente al mio osservatore. Lui non distolse lo sguardo. Allora, di punto in bianco, e quando gli ero abbastanza vicina, mi fermai e lo guardai fisso. Lui, con aria spaventata e imbarazzata, si girò e iniziò a correre nella direzione opposta alla mia. Non ne ero certa, ma da ciò che avevo visto il mio osservatore era niente di meno che il bimbo del fazzoletto. Lo avevo riconosciuto dagli occhi verdi. Anche se un po' scossa, tornai alla mia postazione iniziale e attesi il bus. Guardai il povero Tuffy: il pomeriggio stesso lo avrei ricucito e lavato dal fango.

Questi furono i due importanti eventi della mia fanciullezza. Poi le medie passarono senza problemi particolari, rimanevo sempre sola e non mi dispiaceva. Smisi di portare Tuffy con me, ma comunque creai un portachiavi con un pezzo di stoffa del suo mantello (Ciononostante, stringevo ancora Tuffy di notte, quando avevo paura).

Ed ora, era arrivato il momento, le prime persone stavano entrando nella grande sala d' accoglienza del liceo, e aspettavo solo che tutti fossero arrivati e che ci dividessero in classi. Come mio solito, osservai curiosa tutti coloro che varcavano il portone d' entrata, ma nessuno attirò particolarmente la mia attenzione. Fin quando non entrò un ragazzo che mi incuriosì ....




I look into your eyes and I believe in miracles [Kendall Schmidt]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora