CAPITOLO 22

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Appena mio padre aprì la porta di casa e tutti fummo dentro, feci un grosso sospiro e sorrisi: anche se erano passati solo 4 giorni, mi erano mancate quelle 4 mura. Mi voltai e vidi mio padre che trascinava la mia borsa fino all' entrata di casa, quindi la raccolsi e con essa andai in camera mia. Una volta posato l' ingombrante carico, mi lasciai cadere di schiena sul mio letto. Guardai un po' il soffitto, quindi mi voltai a pancia in giù e fra i cuscini cercai Tuffy. Appena lo vidi lo presi in braccio, e tornando alla posizione iniziale, sempre fissando il soffitto lo strinsi al petto e sussurrai -Mi sei mancato-. Abbassai lo sguardo e vidi Kendall, appoggiato allo stipite della porta di camera mia, che mi guardava sorridendo. - Sei così dolce - sussurrò avvicinandosi a me, allora io mi misi seduta a gambe incrociate e, appoggiando la schiena al muro, carezzando la morbida pelliccia di Tuffy risposi:- Lo sai che non sono sempre così-. Kendall mi si sedette accanto e prese Tuffy, che avevo appoggiato pochi istanti prima. Quindi, fingendo che fosse il pupazzo a parlare, con una vocina da cartone animato disse:- Ma dovresti! Le ragazze che sorridono sono le più belle!-, poi mise Tuffy in modo tale che sembrasse che il pupazzo avesse una cotta per me, mettendogli le zampette sopra gli occhi- bottoni e fingendo che svenisse quando mi guardava. - Oh, fottiti stupido pupazzo!- dissi io ridendo, allora Kendall mi lanciò Tuffy e sorridendo disse:- Magari se te lo dice lui lo ascolti di più- - Nah, lui me lo dice da sempre e non l' ho mai ascoltato- risposi io, abbassando lo sguardo. -Del resto, di cicatrici ne ha anche lui ... - dissi alcuni secondi dopo, mentre passavo un dito sulle cuciture che tenevano unita la zampetta del pupazzo al resto del corpo. -Già ... - sospirò Kendall, quindi io mi alzai e dissi - Senti, vado a farmi una doccia, tu intanto ... boh se vuoi puoi far compagnia a mio padre mentre cucina- - D' accordo- rispose lui, quindi gli diedi un bacio a stampo e uscii dalla camera.

Una volta entrata in bagno, chiusi la porta a chiave e mi passai una mano fra i capelli. Così lunghi li odiavo. Mi voltai e cercai il mio accappatoio, era bianco candido. Osservai l' interno della manica sinistra e notai che era un po' sporco di sangue. Passai lentamente un dito su quelle piccole chiazze rosse secche. Avrei voluto che quel sangue fosse fresco. Che mi sporcasse la mano. Ma non potevo. Non più. Dovevo essere forte. Dovevo esserlo per lui. Però mi mancava quella sensazione. Avrei voluto. Avrei potuto. Potevo. Sapevo dov' era. Mi stava aspettando. Al freddo. Aveva bisogno del mio calore. Io avevo bisogno di lei. Non era una necessità, era una dipendenza. Non potevo scegliere. Non volevo scegliere. Avrei voluto che tutto andasse come al solito, che facessi tutto sottovoce e trattenessi le lacrime, e che nessuno mi vedesse, lo sapesse, se ne accorgesse. Non sarebbe andata così. Ma non mi importava. Mi alzai e lentamente mi avvicinai al mio nascondiglio. Era infilata fra il vetro dello specchio e la cornice. Con una pinzetta per le sopracciglia la presi lentamente. Quando la toccai ebbi un brivido. Era gelida. Avevo quasi paura di lei. Tremavo. Mi misi seduta per terra, con le gambe a contatto col freddo pavimento di piastrelle. Non volevo guardare mentre lo facevo. Ma appena sentii quel piccolo oggetto passare sul mio polso mi fermai. Non ce la facevo a continuare. Non avevo la forza per incidere. La guardai, e con tutta la forza che avevo la lanciai più lontano possibile, e urlai:- STAI LONTANA DA ME MALEDETTA!-. Poi mi presi la testa tra le mani come se dovessi coprirmi le orecchie dalle urla di qualcuno. Le lacrime, calde, cominciavano a rigarmi il viso. Ma sorrisi. Ce l' avevo fatta. Avevo resistito. Avevo vinto la guerra. Mi asciugai il viso e guardai il riflesso nello specchio. Bellissima. Fu l' unica cosa che pensai. Poi cercai nell' armadietto le forbici per i capelli. Inizialmente volevo solo tagliare una ciocca per poi buttarla nel vento, come gesto simbolico per aver lasciato una parte di me, ma iniziai ad accorciare pian piano tutti i ciuffi. Da lunghi fino a metà schiena, i miei capelli ora raggiungevano appena le spalle. E un ciuffo cadeva sui miei occhi. Erano quasi uguali al taglio di Avril Lavigne nel video di Nobody's Home. Mi piacevo tantissimo. Era il primo passo verso una nuova me. Era il primo step per ricominciare da zero. Poggiai le forbici sul bordo del lavandino e orgogliosa di me stessa, mi spogliai per entrare in doccia.

Una volta dentro aprii l' acqua. La misi fredda, nonostante fosse dicembre, lo facevo sempre, ma in quel momento sentii di aver bisogno di calore, quindi girai la manopola sul caldo, e per la prima volta da quasi un anno feci una doccia calda. Quasi bollente. Guardai il mio riflesso nello specchio all' interno della doccia mentre il getto dall' alto mi inondava il viso di goccioline. I tagli sul mio polso erano spariti. E quelle piccole cicatrici orizzontali, ancora un po' in risalto, si notavano appena. Guardai il mio fisico: le gambe sottili. Troppo. I fianchi. Potevo vedere l' osso dell' anca dall' esterno. Il petto. Le costole si notavano subito, come le scapole. La schiena. Le vertebre si potevano contare una ad una. Le braccia. Gracili, sembrava si potessero spezzare mentre le muovevo. Il viso. Avevo gli occhi infossati, e le guance scavate. Ero magra. Troppo. Mi veniva in mente solo una parola per descrivermi. Anoressica. Sì, ero io. E dire che fino a poche settimane prima non lo avevo mai notato. No. Pensavo solo: grassa. E mi ripetevo: "Se non mangi, domani sarai più felice. Se non mangi oggi, domani sarai più bella. Se non mangi oggi, domani sarai più sicura di te. Se non mangi oggi, domani non avrai problemi a vestirti. Se non mangi oggi, domani niente cosce troppo grosse, niente pancia, niente fianchi, polpacci e braccia più piccoli, il viso più magro. Se non mangi oggi, domani sarai più leggera. Se non mangi oggi, domani non vorrai nasconderti. Se non mangi oggi, domani non odierai più lo specchio. Non mangiare. Non mangiare Non mangiare Non mangiare Non mangiare Non mangiare Non mangiare Non mangiare Non mangiare Non mangiare Non mangiare Non mangiare Non mangiare Non mangiare Non mangiare Non mangiare Non mangiare Non mangiare Non mangiare Non mangiare Non mangiare. GRASSA GRASSA GRASSA GRASSA GRASSA GRASSA GRASSA GRASSA GRASSA GRASSA GRASSA GRASSA GRASSA GRASSA GRASSA GRASSA GRASSA GRASSA GRASSA GRASSA GRASSA GRASSA GRASSA GRASSA GRASSA GRASSA GRASSA. Non mangiare". Pensai a quanto ero stata stupida fino ad allora. Ricordare faceva male, così distolsi lo sguardo dallo specchio e rivolsi il viso direttamente contro il getto d' acqua, che insieme ad alcuni capelli che mi erano rimasti addosso dopo il taglio, stava lavando via anche le paure, la rabbia, l' odio, ed era come se, sottovoce, i miei demoni custodi mi stessero implorando di salvarli dallo scarico, come se fossero rimasti appesi al bordo del buco del sifone e stessero cercando il mio aiuto per risalire. Sorrisi. Loro erano meno resistenti di me, ed uno ad uno potevo sentirli cadere. Rabbia. Timore. Codardia. Tristezza. Paura. E per ultimo, l' odio nei miei confronti, stavano cadendo. E non sarebbero tornati, se non fossi stata io a cercarli. Avevo vinto. Ora potevo ricominciare. Da capo. E insieme a Kendall sapevo che ci sarei riuscita.

I look into your eyes and I believe in miracles [Kendall Schmidt]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora