Capitolo 25 (Bad ending)

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Appena rientrata in casa, corsi subito in camera mia e chiusi la porta a chiave, quindi mi lasciai cadere sul letto. Avevo un brutto presentimento. Sentivo come un peso sul cuore da quando avevo lasciato Kendall. Era come se sentissi che era stato un' errore, ma decisi di scacciare quei pensieri con un po' di musica. Presi il mio MP3 e, dopo aver messo le cuffiette, feci partire "Photograph" di Ed Sheeran. Quella canzone mi aiutava sempre a sorridere, ma quella volta mi commossi. Cominciai a piangere, e non sapevo neppure il perché. Forse era solo un momento di debolezza. Mi voltai e schiacciai la faccia contro il cuscino del mio letto. Aveva ancora il suo profumo, e la cosa mi aiutó a calmarmi. Rimasi ad ascoltare canzoni rilassanti finché non finii per addormentarmi.

Venni svegliata da un rumore improvviso, quasi fastidioso. Aprii lentamente un occhio e mi accorsi che ero arrivata fino alle canzoni rock di Avril Lavigne. Aprii velocemente anche l'altro occhio e volsi uno sguardo fuori dalla finestra. Era buio. Quante ore avevo dormito? Mi alzai con passo lento e strascicato e arrivai fino al bagno, quindi mi lavai il viso con un po' d'acqua fredda per riprendermi. Guardai l'orologio a muro: 21:48. Era davvero passato tutto il pomeriggio. Pensai che forse mio padre aveva cucinato qualcosa anche per me, ma non avevo voglia di mangiare. Stavo per tornare in camera, quando mi fermai a fissare la mia immagine nello specchio del corridoio. Solo un pensiero "Troppo. TROPPO magra". Così, malgrado il poco appetito, decisi di cenare. Quando mio padre mi vide arrivare, notò subito che c'era qualcosa che non andava. Mi guardò intensamente, abbassò il viso e disse:-Sono solo altri 9 giorni. Starà bene, e poi tornerà da sua madre e tutto sarà risolto. Non ti preoccupare-. C'era una nota di affetto nella sua voce, come se anche lui stesse cercando di autoconvincersi che a Kendall non sarebbe successo nulla nei giorni successivi. Io sorrisi, malgrado non la pensassi come lui. Sapevo che sarebbe stato difficile, anzi difficilissimo, avere a che fare con un uomo del genere, soprattutto per un ragazzo tranquillo e sereno come Kendall. Inoltre, visto che quei bulletti gli avevano distrutto la chitarra tempo prima, ora non poteva neppure più sfogarsi suonando. Avevo visto solo rassegnazione nei suoi occhi l'ultima volta, e non riuscivo a pensare ad altro che a quello sguardo sofferente e preoccupato. Scossi la testa: dovevo sentire come stava. Fregandomene di tutto, lasciai la tavola e mio padre, e senza finire la cena corsi in camera mia. Presi il cellulare dalla tasca del cardigan che avevo lasciato sul letto, e lo accesi. Mentre aspettavo che si caricasse la schermata principale, mi morsicchiai un'unghia dalla tensione. Entrai su Whatsapp e andai subito sulla chat con Kendall. Aveva letto il mio messaggio, ma non aveva risposto. Tirai un piccolo sospiro inizialmente, ma dopo poco cominciai a farmi mille domande sul perché non avesse risposto, e non riuscivo a darmi delle risposte che non comprendessero pensieri negativi. Comunque decisi di non scrivergli ulteriormente, l'ultima cosa di cui aveva bisogno ora era qualcuno che lo stressasse. -Fanculo- dissi sottovoce, e lanciai il cellulare sul letto. Accesi il televisore, ma nonostante tutto non riuscivo a distrarmi.
Alla fine decisi di andare a dormire, e stranamente mi addormentai subito.

**** Giorno 2 ****

Un raggio di luce mi saltellò beffardo sul viso, illuminandomi gli occhi e costringendomi a svegliarmi. Avevo dormito sì, ma non bene. Molte volte mi ero svegliata durante la notte, per poi rigirarmi fra le coperte e cercare di riprendere sonno. E ogni volta controllavo il cellulare sul mio comodino, ma Kendall non si era fatto ancora vivo. Aprii gli occhi lentamente, li stropicciai e mi girai per prendere nuovamente il cellulare, ricevendo ancora una volta una delusione. Ero fottutamente preoccupata per lui. Mi alzai abbastanza nervosamente, buttando la coperta con rabbia sull'altro lato del letto, e dopo aver messo le ciabatte ai piedi, mi diressi verso la cucina. Lì trovai mio padre, già intento a cucinare una pasta alla carbonara come pranzo. Senza dargli attenzione, e cercando di non attirarne a mia volta, presi una mela e tornai in camera mia. La morsi stressata, e cominciai a fissare Tuffy come se lui potesse darmi le risposte e le certezze di cui avevo bisogno. Cosa starà facendo? Con chi sarà? Come starà? Gli servirà aiuto? ... erano tutte domande che senza di Kendall non avrebbero mai ricevuto risposta. Mi lasciai cadere sul letto senza forze, mi sentivo spiazzata, debole, inutile, avrei voluto essere lì con lui, o che lui fosse stato ancora lì con me. E mentre sospiravo pesantemente e mi toccavo i capelli arricciandoli con un dito e usandoli come antistress, vidi mio padre che si appoggiava alla porta di camera mia e mi sorrideva. Sembrava gli dispiacesse per me, sembrava stesse provando quasi pena. Ma c' era anche affetto in quel sorriso, e la cosa mi sciolse un po' i nervi. - Volevo solo dirti che la pasta è in tavola - disse sempre sorridendo e lasciandomi intendere che dovevo seguirlo anche se non avevo fame. Io sbuffai e andai con lui, quindi ci sedemmo a tavola e io mangiai controvoglia il mio piatto di pasta. - Secondo te ...- cominciai a dire, ma mio padre mi precedette dicendo - Sta bene, non preoccuparti -. Io abbassai lo sguardo e cercai di infilzare con la forchetta un pezzo di pancetta nel mio piatto. Non avevo voglia di parlare, e lui non aveva voglia di vedermi stressata. Così finii il prima possibile ciò che era rimasto nel mio piatto e tornai in camera mia. Decisi che mi avrebbe fatto bene fare un giro, così aprii l'armadio, misi una maglietta nera larga con e dei leggins grigi, le mie solite scarpe nere, un cappotto, presi uno zainetto e uscii.

I look into your eyes and I believe in miracles [Kendall Schmidt]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora