CAPITOLO 16

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Si erano fatte le 4 di pomeriggio. Io e Kendall eravamo distesi accanto sul mio letto, e condividevamo le cuffiette del mio MP3. Stavamo facendo un gioco che si era inventato lui con James: io dovevo disegnare un miscuglio di animali, una sorta di chimera, e lui doveva indovinare da quali animali era composta. In quel momento, la mia gomma stava cancellando le corna di un "alcerinopecoricorno" .... Intanto Kendall ridacchiava e ogni 5 secondi mi chiedeva se poteva dare un' occhiata al mio disegno. – Eddai fammi vedere!- disse lui girandosi all' improvviso verso di me. -No Kendall aspetta!!- risposi io ridendo e girai il quadernetto contro il letto, in modo che non potesse sbirciare. Lui allora fece un grande sorriso e mi si avvicinò cercando di baciarmi, ma io lo fermai mettendogli un dito sulla bocca e gli dissi:- No, non mi freghi di nuovo così-. Allora lui sbuffò e si mise di nuovo sdraiato a pancia insù, poi incrociò le braccia sul petto e mi guardò fingendosi offeso. Io ridacchiai e, siccome mi faceva tenerezza, gli stampai un piccolo bacio sul naso, allora lui mi sorrise e tornò a fissare il soffitto. Adoravo il modo in cui, anche senza troppe parole, riuscivamo a capirci. Adoravo il suo modo di ridere. Adoravo il modo in cui mi guardava. Adoravo il modo in cui sorrideva. Insomma adoravo lui.

Dopo alcuni minuti di silenzio, mio padre bussò alla porta di camera mia e senza attendere un risposta entrò. Io mi voltai e lo salutai tranquillamente, e lui fece una smorfia quando vide anche Kendall, dunque disse solo:- Eloise, ricordati che questa sera dobbiamo anche andare a cena dal mio capo-. Appena le mie orecchie recepirono quell' informazione, alzai gli occhi al cielo. Mi ricordavo la cena dell' anno precedente. Praticamente la figlia di quel riccone non faceva che urlare perché il padre non la calcolava, e alla fine mi ero anche beccata una palla di neve in un occhio per colpa di quella moccio setta viziata. Anzi, era una palla di ghiaccio. Kendall colse il mio disappunto, ma aspettò che mio padre si fosse allontanato per parlarmi. –Hey ... - fu tutto quello che mi disse, ma lo disse come a dire "Hey, che cavolo ti succede? Perché quella faccia?". Io gli spiegai in breve la brutta esperienza che avevo vissuto l' anno precedente, e lui mi disse che quest' anno almeno mi avrebbe fatto compagnia lui. Così passammo il resto del pomeriggio ad ascoltare musica e ridere, finché non giunsero le 6.

Mio padre entrò in camera mia con una puntualità che spaccava il minuto, e mi disse:- Eloise tra un' ora dobbiamo essere a casa del mio capo, quindi sarebbe meglio che cominciassi a prepararti- poi si fermò per un secondo, e quasi forzandosi a parlare disse, rivolgendosi a Kendall :- E tu, vieni, dovrei avere un vecchio completo elegante che sicuramente ti andrà bene-. Kendall esitò un po', quasi sorpreso dall' improvvisa gentilezza di mio padre, che però subito aggiunse :- Per quanto mi riguarda potresti anche venire in pigiama, ma davanti al mio capo dobbiamo almeno essere dignitosi-. Io mi voltai e fulminai mio padre, che senza rispondere andò in camera sua, seguito a ruota da Kendall.

Dopo pochi minuti, mi alzai dal letto e, visto che ero già vestita e truccata da quando eravamo usciti quella mattina, semplicemente mi misi addosso una giacca nera e presi un piccolo zaino nero e rosso che usavo in quel genere di occasioni. Andai in bagno e mi aggiustai un po' i capelli, dunque ripassai un po' il trucco e, una volta finito, mi guardai allo specchio: ero quasi sorpresa da me stessa. Da quando conoscevo Kendall, ero cambiata. Ora non avevo più quelle profonde occhiaie, le mie guancie si erano alzate a forza di sorridere, e avevo anche un abbozzo di fossette. I miei capelli non erano più crespi e scompigliati, ma sembravano quasi ordinati. E i miei occhi, erano pieni di colore, ridevano, e splendevano di una luce che ricordo di aver visto solo quando ero ancora piccola. Da quando lo conoscevo mi volevo più bene, mi amavo, amavo il mio riflesso, e non provavo neppure più il bisogno di lesionarmi. Le cicatrici certamente mi sarebbero rimaste per sempre, ma non scorreva più sangue vivo su quei tagli. Anzi, avevo quasi dimenticato della loro esistenza. Se qualche mese prima mi avessero detto che sarei diventata così, credo che sarei scoppiata a ridere e avrei mandato beatamente a fanculo colui o colei che me lo aveva detto. Ora invece ero il ritratto della felicità, e lo dovevo a lui. Al ragazzo che continuava a credere nelle favole anche se sapeva quanto fossero impossibili. Al ragazzo che era più spaventato da se stesso che dagli altri. Al ragazzo che rideva delle prese in giro, e che ammetteva senza problemi i suoi difetti. Al ragazzo che riusciva ad ironizzare su tutto, e che sdrammatizzava anche le cose peggiori. A colui che più di una volta mi aveva salvata da me stessa. Al ragazzo pieno di insicurezze e di paure, ma che nonostante tutto sapeva sempre come rialzarsi e sorridere. A lui. A Kendall.

I look into your eyes and I believe in miracles [Kendall Schmidt]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora