Stanza n.34

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Dove sono? Chi sono tutte ste persone? Ma perchè sono cosi agitati? Mitch? Che cavolo vuole ancora? Ma oh dai lasciatemi alzare che come minimo sarò in ritardo e mi toccherà andare a scuola a piedi. Però cavolo,ce ne di luce in sto posto.


<<Come era quando l'hai trovata?>>
<<Era stesa in bagno, penso avesse appena finito di vomitare...non ho visto,non ci ho fatto caso, cazzo! Ho visto che le pillole non c'erano , lei era bianchissima e immobile. Porca troia, sta bene? Riuscite a fare qualcosa?!>>
<<Faremo il possibile , ma tranquillo non è cosi grave>>.

Ma di che diavolo state parlando? Mitch? Che cazzo stai dicendo?? Va beh io torno a dormire.

La luce del sole che entrava attraverso la finestra della camera illuminava il letto in cui Lisa si trovava. Iniziava a svegliarsi lentamente, sentiva tutte le ossa che le facevano male, la teste le girava. Dopo i primi momenti di smarrimento riuscì a capire dove si trovava: in ospedale. L'orologio appeso alla parete indicava le 14 (l'ultimo suo ricordo risaliva a circa 15 ore prima). Solite tendine bianche, parenti anonime, il televisore che il più delle volte era rotto o disattivato. Notò che non era da sola, accanto a lei c'era un ragazzo di circa 20 anni. Sorrise vedendo come si era addormentato: era seduto su una sedia con le gambe larghe appoggiato al letto con la bocca spalancata.

<<ehi? Mitch? Dai scemo>>.
<<LISA! Cavolo finalmente ti sei svegliata!>>
Mitch era visibilmente arrabbiato ma nonostante questo si notava la sua gioia nel vederla sveglia e cosciente. Gli occhi chiari erano circondati da occhiaie e la barba bionda iniziava ad essere lunga e poco curata, cosa molto inusuale da parte sua.
<<Finalmente? ma se ci siamo visti ieri sera. Ah, comunque farmi ricoverare perchè dormo qualche ora in più è un filino esagerato>>.
<<Qualche ora ? Lisa, sono 48 ore che sei incosciente su quel cavolo di letto! >>
Non poteva crederci. Due giorni priva di sensi. Sul momento non ricordava cosa era successo ma poi le se ripresentò in mente cosa era successo due giorni prima: era tornata a casa, giusto per prendere una giacca e qualche euro per continuare a stare fuori con Mitch e raggiungere altri amici, suo padre era a casa e come capitava spesso iniziò ad insultarla dandole le solite quattro sberle in pieno viso per poi uscire e andarsene chi sa dove. Quella situazione faceva sentire Lisa talmente in colpa da farla chiudere in bagno e ingerire qualche pillola che teneva nascosta. Quella volta aveva evidentemente esagerato con le dosi.

Non riusciva a guardare in faccia l'amico che era visibilmente ancora scosso e agitato.
<<A scuola che hai detto?>>
<<La solita cosa: che hai avuto una ricaduta, qualche giorno di ricovero e tornavi. Non ho menzionato che ti ho trovato collassata in bagno in overdose di farmaci.>>
<<Potevi lasciarmi anche sul pavimento>>
Sembrava che l'avessero colpito al cuore con quella frase ma non le rispose e si limitò a prendere le sigarette e andò via per fumare. Succedeva sempre cosi quando era lui che la portava in ospedale: lui si preoccupava, lei era rassegnata e li risponde male, lui esciva a fumare e dopo tre sigarette tornava.

Lisa non era nuova ai ricoveri "forzati" in ospedale. L'unica cosa che la stupiva ogni volta era il fatto che indipendentemente da ciò che succedeva Mitch stava con lei: l'accompagnava, andava a trovarla, la portava a fare i controlli periodici. Era tra i pochi amici che nonostante tutto era ancora con lei.
Si guardò le braccia: magrissime, bianche, il livido causato dall'ago della flebo e i polsi le ricordavano gli ultimi 5 anni in cui sua madre era andata via senza portala con se lasciandola sola con quel "vecchio ubriacone del cazzo". La difficoltà di una ragazzina di 13 anni che deve crescere da sola con un padre che probabilmente non l'aveva mai amata e tanto meno voluta probabilmente l'aveva resa ciò che era in quel momento: una diciottenne che aveva alle spalle più ricoveri che feste con le amiche.
Accese il telefono e iniziò a guardare su WhatsApp se qualcuno l'aveva cercata. Quindici messaggi da parte di Claudia, 60 messaggi da parte di Kiki, una ventina di Teo. Loro erano forse le uniche persone, assieme a Mitch, che sapevano davvero cosa provava e come era realmente. Pensava che le conversazioni fossero finite ma c'era una conversazione di quei giorni che risultava già letta (probabilmente Mitch aveva aperto il messaggio) era da parte di Lucas, il suo ex ragazzo. Rimase a fissare lo schermo per qualche minuti pensando se era il caso di leggere o meno cosa le aveva scritto ma preferì non farlo , non l'aveva ancora perdonato per ciò che aveva fatto.
Giusto il tempo di mettere via il telefono e si ripresentò sulla porta "il suo biondino"
<<Mezz'ora...hai aumentato il numero di sigarette per farti passare la voglia di buttarmi giù dalla finestra?>>
<<No, sono andato anche a dire al medico che ti sei svegliata. Domani se stai bene torni a casa con me.>>
<<Ma io a casa non ci voglio andare>>
<<Infatti, ho detto che torni a casa CON me, perciò a  casa mia.Tu non stai più con quel pezzo di merda. Mia madre è già d'accordo da mesi per farti venire a stare da noi e non voglio storie sta volta.>>
Non lo vedeva cosi deciso e determinato dai tempi in cui si era messo in testa di imparare a fare parkour in meno di un'estate.
<<D'accordo, a una condizione: mi vai a prendere tutti i miei fogli, i miei colori, e la mia chitarra.>>
<<Okay baby. Dai, ora devo scappare, ti chiamo dopo e domani vengo a prenderti. Non fare danni scema.>>
Ora si ritrovava tutta sola in quella camera, poteva finalmente alzarsi senza preoccuparsi di non metterlo in ansia se non riusciva a camminare bene. Andò in bagno. Quanto odiava quello specchio. I capelli lunghi castani che le incorniciavano quel viso magro accesso da quei occhi del colore del cielo grigio della città dopo una giornata di pioggia. Odiava vedersi struccata, riteneva che il trucco era l'unico modo per mostrare al mondo intero che lei non era una debole ma che era come tutte le altre anzi forse qualcosa anche di più forte. Si auto convinceva che lei poteva fare cose che altri non potevano fare.
Non appena si rese presentabile, secondo i suoi standard, decise di andare a fare un giro per il reparto. Doveva stare li ancora una giornata tanto valeva tenersi in movimento. La cosa che la rassicurava di più era che si trovava nel solito ospedale in cui la portavano sempre quindi tutti la conoscevano : infermiere, medici e pure qualche paziente. Era "la piccolina"di tutti , aveva stretto amicizia con tutte le infermiere e in modo particolare con Michelle. Al primo impatto non si reggevano: Lisy voleva uscire lei glielo impediva, era colei che aveva il duro compito di farle prendere i farmaci o gli antidepressivi ma poi con il tempo sono riuscite a raggiungere dei compromessi fino a diventare quasi complici per poter fregare i medici. Arrivata all'ingresso del reparto la vide dietro al bancone ed era come se la ricordava: i capelli lunghissimi neri raccolti in uno chignon dal quale scendevano delle ciocche, gli occhi grandi e scuri senza trucco ed era rimasta magra e in forma (45 anni e sembrare una trentenne, come la definiscono Mitch e Teo "una Milf senza figli").
<<Oh, moretta! La vecchia della 34 'sta a collassare, meglio se vai a controllare>>.
<<Oh la bella addormentata si è risvegliata. Come stai stellina?>>
Odiava quando le devano soprannomi stupidi o mielosi ma Michelle poteva, adorava come sorrideva quando la chiamava cosi e non riusciva a mandarla a cagare e pure quella volta era cosi. In cuor suo, Lisa sapeva che se avesse avuto la possibilità di avere una seconda madre avrebbe scelto lei senza pensarci due volte.
<<Se togli un Mitch incazzato come una bestia, un ex che scrive cosi dal nulla solo quando deve aver saputo che sono quasi morta e una maturità da preparare direi che poteva andarmi peggio>>.
Michelle si mise a ridere.
<<Diciamo che la tua dannata ironia non è stata intaccata. Però mi permetti di controllare se è tutto apposto?>>.
<<D'accordo solo perchè me lo chiedi tu>>.
Si sedette sul balcone fregandosene del fatto che c'erano vari fogli sparsi e che a momenti non aveva neppure le forze per sollevarsi. Finita la visita decisero di andare a prendersi qualcosa da mangiare, nonostante Lisa avesse tentanto in ogni maniera possibile ed immaginabile di rifiutare l'invito. Arrivate al bar dell'ospedale Michelle prese un cappuccino con brioche e Lisa solo un caffè.

<<Le brutte abitudini non le abbiamo ancora perse vedo>>.
<<Ma tu non hai altre pazienti da tener d'occhio oltre a me? Qualche catetere da inserire o che so io? Guarda che ho messo su peso dall'altra volta>>.
<<Se, ho visto la tua cartella, signorina. Tu non mi freghi e neppure il tuo amico, il biondino che poverino sta perdendo anni di vita a furia di preoccuparsi per te>>.
Ormai quel discorso lo facevano sempre e ogni volta si sentiva sempre più colpa e non sapeva mai come risponderle.
<<Lisa, senti, ascoltalo di più quel ragazzo che ti vuole un bene dell'anima come gli altri tre che sono venuti a trovarti>>.
<<Altri tre? Sono venuti altri tre ragazzi?>>
<<Si, uno più in ansia dell'altro. Quindi, per una volta, questa benedetta forza di volontà la tiriamo fuori?>>
Il suo sorriso era talmente sincero che Lisa non poteva fare a me di prometterle che quella volta sarebbe stata l'ultima che la ricoveravano per overdose. Si salutarono e Lisa decise di ritornare in stanza, in fondo non aveva nulla da fare. Una volta tornata in stanza, si stese sul letto, prese l'ipod e dopo un oretta si addormentò.


"Whatsapp
Lucas: Ehi...rispondimi...ho bisogno di parlarti..man
chi."




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