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«Benvenuti tutti al Recall

La voce di un ragazzo sulla trentina rimbombò per tutta la piazza, mentre Judith e Violet, ma soprattutto Judith si guardava intorno, come se sentisse lo sguardo di qualcuno addosso, ma girandosi non vide nessuno. Conosceva bene quel posto ma non ci metteva piede da qualche anno, perché erano troppi i ricordi brutti collegati ad esso. La gente lì si feriva e spesso moriva. Era un gioco senza regole, era un gioco spietato, rude e illegale. Non doveva essere lì in quel momento, non voleva.

«Ricordami perché ti ho accompagnata.» borbottò Judith, prendendo tra i denti il proprio labbro.

Era nervosa e quel luogo non la tranquillizzava per niente; forse solamente la vicinanza dell'amica la faceva sentire un po' meglio.

«Perché sei la mia migliore amica, no?»

Certo, come no. Usava continuamente quella scusa ogni volta che ne aveva bisogno. In verità Judith aveva accettato di andarci solamente perché la sua carissima migliore amica l'aveva pregata in ginocchio, volendo vedere il suo fottuto ragazzo correre in moto come un completo cretino. Sembrava che tutti volessero morire per quelle corse. Ed era una cosa così dannatamente stupida.

«Dovresti smetterla di tenere il muso, sai, le cose sono cambiate qui.» affermò la riccia accanto a lei, facendola sbuffare.

«Non sembra affatto.»

Pronunciò quelle parole vedendo Harry Styles, il coglione per eccellenza, camminare spocchiosamente verso la sua moto. Si infilò il casco, dopo aver sorriso alle ragazze che intorno lo elogiavano, come se stesse facendo qualcosa di buono. Il casco era lo stesso, il posto era lo stesso, le persone anche. L'unica cosa cambiata era la sua moto, che naturalmente, dopo l'incidente aveva dovuto cambiare. Il pensiero di Judith su Styles non era cambiato affatto, ma era rimasta stupita quando dalle labbra del ragazzo uscirono testuali parole "Continuerò a correre, Judith", soprattutto dopo quel terribile incidente che lei, probabilmente, non gli avrebbe mai perdonato.

«Stammi a sentire, Jo.» la prese per le spalle l'amica, girandola verso di se per guardarla negli occhi. «So che per te è difficile, okay? Ma dovresti andare avanti, e smettila di fissarlo come se volessi ucciderlo.»

Parlava così solo perché era il migliore amico del suo ragazzo, niente di più. Styles era una persona orribile, fine della storia.

«Ma io infatti lo vorrei uccidere.» alzò le sopracciglia, prima di continuare. «E stai diventando ridicola.» ribatté Judith, liberandosi dalla presa dell'amica che sospirò.

«Hai visto Harry e hai gli occhi lucidi.» notò Violet. «Chi è adesso quella ridicola tra noi due?»

«Ma vaffanculo, Violet.» sputò fuori quelle parole con tanta rabbia che le mani le tremavano.

Non ci pensò due secondi a girarsi e ad andarsene, prima che la sua amica la potesse bloccare, o addirittura, farle uno dei soliti discorsi da cretina innamorata. Era stanca di sentirsi dire cosa fare o non fare e lì, lei, non ci voleva stare. Così spinse le varie persone che si erano ammucchiate nella piazza per arrivare alla fine della strada, diretta verso casa sua. La gara era probabilmente già iniziata e non gliene poteva fregar di meno. Odiava quel posto e odiava tutte quelle persone che volevano vedere gli altri morire per delle stupide corse. Ma, alla fine, lo aveva fatto anche lei: anche lei era stata spettatrice per un sacco di tempo e anche lei aveva corso su quelle moto. La gente la conosceva come quella che aveva sfidato Harry Styles, come quella che aveva perso il suo migliore amico in quelle corse. La gente parlava parlava, senza sapere nulla, ma allo stesso tempo, sapendo tutto. Si sentiva così immischiata in quel mondo che non poteva più tornare in quel posto senza che i suoi ricordi la colpissero come una pioggia improvvisa a ciel sereno. Non voleva ricordare, non voleva ritornare a quell'orribile periodo che aveva passato. Sembrava che nemmeno la sua migliore amica la capisse più, troppo presa dalle corse, come lo era stata lei due anni prima. La gara, la moto in mille pezzi e un corpo a terra. Tutto ciò che ricordava di quel giorno. Il resto era opaco, quasi sfumato nei suoi pensieri, come succedeva nei film. Ma quello non era un film, era la dura realtà.

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