Capitolo 20

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Un'altra giornata era volata.

Dopo le due pesanti e angoscianti ore, Avril e le sue due amiche si erano catapultate fuori dalla porta pronte ad uscire da quell'aria afosa e insopportabile che le aveva accompagnate per tutto il tempo.

Cameron se ne era andato nella sua classe, dopo averle buttato un'occhiata furtiva. Ogni volta che lui la guardava, Avril sentiva un nodo allo stomaco che non sapeva decifrare se fosse una cosa buona o meno. Le stringeva come un pugnale facendole trattenere il respiro, e quando lui non la guardava più, il dolore sopportabile si sfumava. Era una sensazione strana; Avril non l'aveva mai provata prima.

Era appena entrata in macchina sperando di arrivare il prima possibile a casa avendo la testa dolorante. Jake sbattè lo sportello poco dopo di lei, e mise in moto.

"Credo che verrà un mio amico a stare a casa nostra" Jake se ne uscì dal nulla.

Avril sbarrò gli occhi.

"Per quale motivo?" azzardò a chiedere.

Jake girò il volante verso sinistra, facendo una curva che fece girare ancor di più la testa ad Avril. "Ha litigato con i suoi genitori. Non ha un buon rapporto con loro" fece una smorfia. "L'ho conosciuto qualche mese fa, da quando è arrivato in città" iniziò, mentre teneva gli occhi fissi sulla strada, "Stavo vedendo la partita di basket, quando si sedette vicino a me. Tifavamo per la stessa squadra e attaccammo il discorso parlando di come fossero imbecilli quelli della squadra avversaria. Anche dopo la partita rimase a parlarmi del suo arrivo qui, di come le era sembrato la città. Infine confessò che non sapeva a quale scuola andare. Così gli consigliai la mia. E infatti, mi diede retta"

Avril fu incuriosita dal sapere di più su questa persona. "Ma è una persona che ho conosciuto anche io quella volta alla festa?"

"No no. Non penso tu lo conosca. Forse l'avrai visto tra i corridoi o avrai sentito parlare di lui"

Avril alzò le spalle. "Per quanto tempo?"

"Una settimana circa. Il tempo che le cose si riaggiustino da sole" accelerò la velocità.

Avril pensò. Ma come possono le cose riaggiustarsi da sole? Davvero il tempo è così potente da poter distruggere tutto?

La risposta la sapeva. Era sì. Il tempo, non avendo né spazio, né limiti, è in grado di poter spazzare via tutto ciò che si era creato prima. Rimane solo la storia. La storia che tu sai ciò che è successo.

Il telefono di Avril vibrò nella sua tasca dei pantaloni. Se lo sfilò, sbloccando lo schermo.

Da Vanessa:

'Ti va di vederci tra mezz'ora alla caffetteria dove fanno la cioccolata calda più buona del paese? Ho bisogno di parlare con qualcuno'

Avril non esitò nel rispondergli che certamente ci sarebbe stata. Lo aveva notato già da tanto che Vanessa non stava bene, ma non voleva obbligarla a parlarne se non voleva.

La macchina si fermò davanti casa. Avril scese per prima, aprendo il portone e filando dritta in bagno per darsi una lavata al viso, rinfrescando la fronte calda che le pulsava ancora dal dolore. Prese alcuni soldi spicci dal cassetto della sua scrivania – dove li metteva sempre per comodità – , e uscì di casa dopo aver bevuto un bicchiere di acqua e tachipirina. Prima che sbattesse il portone avvisò sua zia che stava uscendo – la psicologa le aveva detto di farlo in modo da non farla preoccupare -, ma senza sapere se lei l'avesse sentita o meno. L'importante era che lo avesse fatto in modo da potersi difendere con la scusa quando, se non l'avesse sentita, l'avrebbe sgridata.

Attraversò il solito vialetto per accorciare il tragitto da casa sua al centro e si fermò davanti all'insegna luminosa di 'Coffee and Drink'. Aspettò qualche minuto, mentre vedeva le persone entrare e uscire dai vari negozi vicini.

Un signore di mezz'età stava uscendo da un portone in legno scuro mentre teneva a braccetto sua moglie. O almeno pareva essere sua moglie dalla fede dorata che luccicava alla luce del sole che le sbatteva contro, intanto che teneva le dita intrecciate a quelle della persona al suo fianco. La donna stava sorridendo a ciò che il suo uomo le stava sussurrando all'orecchio. Sembravano entrambi così felici. Avril si chiese se anche lei un giorno avrebbe avuto tutta quella felicità che aveva perso per, e da tanto tempo.

Una mano si poggiò sulla sua spalla, facendola girare di scatto.

"Ehi" la voce delicata e fine di Vanessa le ricordò di essere lì per un motivo.

"Andiamo?" chiese subito dopo, indicando la caffetteria.

Avril annuì, seguendola.

Si sedettero in uno dei tavoli più lontani delle persone in modo che potessero parlare più tranquillamente.

"Parla" Avril mise i gomiti sul tavolo, avvicinandosi più a lei per sentirla.

"Okay, va bene" si portò una ciocca dietro l'orecchio agitata. "E' iniziato tutto un po' di tempo fa. Eravamo a cena quando i miei genitori cominciarono a discutere su alcune cose del lavoro. Così dal discutere passarono ad un tono più alto di voce fino a litigare anche su altre cose passate. Non si parlarono più per giorni. Odiavo quella situazione. Avevo sempre visto i miei genitori come delle persone che si amavano e che non si sarebbero mai potuti lasciare. Però in quel momento non sembrava essere come mi aspettavo. Vedevo come una fiamma spenta nei loro occhi, ogni volta che si incontravano in cucina per fare colazione, o per pranzo, o per cena. Quella fiamma l'avevo vista sempre accesa. Credevo che non si sarebbe mai potuta spegnere. Ma mi sbagliavo anche su quello" fece una pausa, facendo entrare una grande boccata d'aria dalla bocca. "Passarono settimane e il loro rapporto non migliorava, anzi, andava di male in peggio. A distruggere di più il loro rapporto è stato mio fratello, Justin"

Avril ricordò che Vanessa le aveva accennato – la prima volta che si incontrarono in quello stesso bar, prima che iniziasse la scuola – che aveva un fratello minore.

"E' tornato pochi giorni fa, dopo una festa, in pessime condizioni. Era drogato, Avril. Ha solo 15 anni. Ecco che i miei genitori riiniziano a rilitigare di nuovo. Non so neanche il perché fossero in disaccordo, non li ascolto neanche più"

"Mi dispiace..." Avril le prese una mano per consolarla.

"Non è questo il problema Avril. Vogliono separarsi, e vogliono che io vada a vivere con mio padre in Italia, le mie origini"

Avril stava per aprire bocca per interromperla a inizio della frase, ma la richiuse quando sentì quello che disse dopo.

Lei non poteva andarsene. Era stata la sua prima amica, l'unica che era riuscita ad aiutarla nel momento in cui era disperata. Lei era la persona con cui condivideva un segreto, la persona che aveva visto le sue stesse cose. Non poteva lasciarla anche lei.

"Avril... io-" cercò di non piangere, "Non voglio andarmene capisci?"

La guardò con gli occhi scuri e speranzosi.

"Non te ne andrai, Vanessa" la rassicurò Avril. "Cerca in tutti i modi di fargli capire che tu vuoi rimanere qui. Perché questa è la tua casa"

Vanessa annuì, asciugandosi una lacrima con la manica della felpa.

Inspirò profondamente.

La cameriera arrivò per prendere ordinazioni e successivamente passarono ad altri discorsi per non peggiorare la situazione.

"Avril... c'è una c-cosa che dovrei dirti..." il suono del cellulare distrasse Avril, che lo prese per guardare cosa le era arrivato pronunciando un 'scusa'; ma Vanessa pareva non averlo ascoltato visto che aveva gli occhi bassi e fissi sul tavolo sotto le sue braccia. "...una cosa che riguarda quella notte, che tu non sai" sussurrò. Avril intanto non aveva dato ascolto l'ultima parte, concentrata a guardare la carica di compiti che avevano ricordato sul gruppo whatsapp, che non sapeva ci fossero per il giorno dopo. Bloccò il telefono, cercando di non pensarci.

"Scusa, mi hanno appena ricordato che devo studiare parecchio per domani. Stavi dicendo? Cos'è che mi devi dire?"

Vanessa fece finta di pensarci, ma alla fine disse: "Proprio quello. Abbiamo tanti compiti per domani" mentì, mostrando un sorriso.

Forget To Remember || Cameron DallasDove le storie prendono vita. Scoprilo ora