La partenza

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La sveglia suonò troppo presto, ancora più del solito. Precisamente erano le cinque del mattino, perciò reagii schiacciando il pulsante di spegnimento e mi riaddormentai. L'orologio segnava le cinque e quarantacinque quando la zia mi venne a svegliare. La partenza era alle sei e mezza! Corsi in bagno e mi infilai sotto la doccia. Mi asciugai i capelli che tornarono lisci come la seta senza toccare la piastra. Indossai un paio di pantaloni neri strappati e un maglione, infine il parka e un tocco di eye liner. Ero stupita da me stessa, quando, afferrata la valigia mi accorsi che erano passati solo quaranta minuti.
Alle sei e mezza ero seduta sul pullman che ci avrebbe portati all'aeroporto, vicino ad Alice che mi era passata a prendere. Eravamo entrambe emozionate, ma sapevo che Alexander non sarebbe venuto, perciò il mio pensiero volava sempre da lui.
Arrivati all'aeroporto abbiamo fatto tutti i vari controlli e aspettavamo l'apertura del Gate.
«La città eterna ci aspetta!»
«Già non vedo l'ora.»
Nessuno sapeva che in tutti questi anni io avevo sempre vissuto lì, con mio padre, e tornarci sarebbe stato un colpo al cuore. Ma forse proprio questo mi spinse a prendere quell'aereo. Non lo vedevo ormai da quattro mesi, e mi mancava tanto. Mi mancavano le passeggiate con lui, le barzellette che mi tiravano sempre su di morale, i baci della buonanotte e mille altre cose che rimarranno chiuse per sempre in quella parte dei miei ricordi, di cui avrò sempre nostalgia. L'aereo stava per partire, io aspettavo Alice, che non si era ancora imbarcata perché aveva avuto un problema con i documenti, guardando la pista dal finestrino. Mentre osservavo uno dei tanti aerei decollare fui avvolta da un profumo familiare.
Proprio accanto a me, che metteva la valigia nel porta bagagli in alto, c'era Alexander in tutto il suo splendore. Pensavo fosse un'allucinazione, finché non si è seduto sul sedile accanto al mio.
Non riuscivo a smettere di guardarlo incredula.
«E tu che ci fai qui?»
«Vengo anch'io.»
«E la gara?»
«Ho discusso con l'allenatore, e ho deciso di non andarci. Una decisione presa all'improvviso, non ho nemmeno avvisato gli altri.»
Rimasi ammutolita.
«E..Arianna?»
«Non oso immaginare la faccia che farà quando lo scoprirà»
E si rimise a ridere di quella sua risata che mi ricordava di essere viva.
Risi con lui, che potevo fare?
Senza che ce ne accorgessimo l'aereo stava decollando, e d'istinto afferrai la sua mano appoggiata sul sedile. Poi la ritrassi appena me ne accorsi. Credo di essere diventata così tanto rossa da fare invidia a un pomodoro.  Solo lui mi faceva quest'effetto. Mi sentivo libera, leggera, così in alto da poter sovrastare il mondo, solo con lui al mio fianco.
«Sai, tuo fratello mi ha detto che nuotavi.»
«Sì, tanto tempo fa.»
«E come mai hai smesso?»
Okay, questa era l'ultima domanda che mi sarei aspettata in quella giornata così perfetta.
Alzai le spalle e liquidai l'argomento con un gesto.
«Tu invece, da quanto tempo nuoti?»
«Beh io da sempre. La prima volta forse è stata a cinque anni, e da lì non ho più lasciato l'acqua.»
Gli si illuminarono gli occhi, che erano di quel blu intenso, come i cieli che attraversavamo.
«Direi che è il tuo elemento» sorrisi.
«Già, proprio così.»
Arrivò l'hostess con un carrello pieno di cibi e bevande. Alexander senza chiedermelo prese due bicchieri di tè caldo al limone. Il mio preferito.
«Grazie!»
Mi porse il bicchiere bollente.
«Ahi!» era veramente molto caldo!
«Scusami, dammi qua»
Mi prese il dito che mi ero scottata e ci ritrovammo nella stessa posizione della prima volta, quando alla festa mi ero tagliata con un pezzo di vetro.
Poggiò sul mio indice una bottiglietta di acqua gelata, e non faceva più male. Forse perché ero a due centimetri di distanza dal suo viso, o perché il suo fiato caldo soffiava sul mio collo. Ci guardammo ancora una volta negli occhi e quelli che mi sono sembrati minuti infiniti, e che invece furono soltanto un paio di secondi, perché mi ritrassi subito. Non so perché lo feci, ma ne sentii il bisogno. Forse non io, ma qualcos'altro o meglio, qualcun altro, dentro di me.
Passammo il resto del viaggio ad ascoltare canzoni. Più precisamente quella canzone, che sentivo ancora nelle orecchie quando ripensavo al bacio.
Avevo la sensazione che anche lui nei suoi auricolari ascoltasse quella canzone.
Il viaggio terminò i. Fretta, e ci ritrovammo a Roma Fiumicino in un batter d'occhio. Mi prese la valigia senza dire niente, e andammo tutti in hotel.
«Hai passato tutto il viaggio a guardarlo!»
Esclamò Alice esultante.
«Se volevi stare vicino a lui, potevi dirmelo anche prima sai, ho dovuto subire tutto il tempo le amiche di Arianna che si lamentavano.»
«Sai, non me lo sarei mai aspettato.»
«Però, le sorprese sono sempre in agguato.»
Il pullman si insinuava nel traffico della mia vecchia città, e io ascoltavo Alice che parlava ininterrottamente di cose assurde.
Arrivammo in hotel verso le quattro del pomeriggio. Era bellissimo: lampadari di cristallo che pendevano dal soffitto, scale che si diramavano da ogni angolo, e divani dai motivi floreali in stile anni Cinquanta.
La mia camera era la 137, che dividevo con Alice.
I professori ci lasciarono il pomeriggio libero fino a cena così andammo a esplorare la città.

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