Sua madre torreggiava su di lei e stavolta non riuscì a rialzarsi.
-Potrai anche avere diciott'anni, ma sotto questo tetto, sono io a comandare e non ammetto quello schifo!-
La voce di sua madre sembrava essere così distante, ora che era immersa nei suoi pensieri. Non avrebbe resistito un giorno senza Gemma. Senza il suo ossigeno. Le sarebbe mancato tutto. Le sarebbero mancate le sue braccia, che cingevano dolcemente la sua vita, accorte a non provocarle il più minimo dolore. La sua voce, che le chiedeva sempre di restare, di amarla in qualsiasi situazione. Non sarebbe riuscita a togliersi dalla testa il ricordo dei suoi occhi, che la guardavano sempre nello stesso modo. Come se fosse il sole e Gemma un girasole, completamente dipendente da esso.
Sperava che Gemma avesse riservato quello sguardo solo per lei, mai per nessun'altra. Più che altro, lo sapeva. Lo sapeva quando le accarezzava il volto o quando le sussurrava dolcemente che si rifiutava di dirle "ti amo" perché quelle due parole, erano state dette da troppe persone in troppe occasioni ed i suoi sentimenti andavano ben oltre delle semplici occasioni.Sentì la rabbia accendersi dentro di sé. Guardò sua madre con aria di sfida, serrando la mascella. Non era molto sicura su cosa avrebbe fatto, ma non diede molto peso al suo buon senso. Si alzò in piedi, tenendo testa alla donna ancora ferma sul suo posto. Nonostante le cose orribili che ha dovuto subire a causa sua, non le avrebbe mai fatto del male. In nessuna situazione. Era sua madre e riusciva ancora a vederla come la donna che le ha insegnato ad andare in bicicletta a soli otto anni. La donna che le ha disinfettato le ferite, ogni volta che non riusciva a manovrarla per bene e mentre lo faceva, le sussurrava con voce flebile, quasi spaventata dalle sue cadute, che sarebbe passato tutto in fretta. Qualsiasi cosa.
Sapeva che se avesse anche solo aperto bocca, le lacrime avrebbero bagnato ancora una volta le sue guance, rigandole e non poteva permetterlo. Senza dire nulla, salì velocemente al piano di sopra, cercando di reprimere la rabbia fino alla sua stanza. Ogni cellula del suo corpo sembrava urlare al posto suo, bisognose di espellere tutta quella rabbia che quasi le ustionava. Sbatté violentemente la porta alle sue spalle, prima di sedersi su una sedia con la stessa violenza. Cercò di calmarsi, inspirando ed espirando velocemente, senza successo. Alzò lo sguardo sul suo letto, ormai freddo, ma che prima era pregno del loro calore, dei suoi vestiti e dei gemiti della notte che stava passando. Sentì l'adrenalina scorrere nelle sue vene, prima di tirare un pugno al muro difronte a sé. Poi un altro ed un altro ancora. Qualsiasi dolore era meglio della sua assenza. Poi, quando le nocche delle sue mani iniziarono ad implorarla di fermarsi, lo fece. Le guardò, soffermandosi sui leggeri tagli causati dall'impatto contro il muro della sua stanza. Le avrebbe curate, ma non le importava realmente.
Una piccola luce si fece improvvisamente spazio nella sua mente e in quel momento, sembrava l'unica soluzione alla sua mancanza d'aria. Aprì le ante del suo armadio, cacciando tutti i vestiti che occupavano quest'ultimo. Giacche, magliette, pantaloni. Tutto ciò che le sarebbe servito. Dopo averlo fatto, tirò da sotto al letto uno dei suoi zaini, abbastanza grande da racchiudere tutta quella roba. Chiuse bene quest'ultimo e lasciò la sua stanza, senza curarsi di dedicarle un ultimo sguardo. Scese le scale con la stessa velocità di prima, prima di arrivare davanti la porta che l'avrebbe ricongiunta con Gemma. Guardò sua madre, ora seduta sul tavolino del salotto, che sembrava ancora contenere tutte le sue urla. Aveva il volto fra le mani, mentre Emily la guardava. La vide mentre alzava il suo viso dalle mani, per guardare sua figlia. Il suo viso era bagnato di lacrime trattenute per tutta la durata della discussione con la persona più importante della propria vita. Guardò il borsone sulle spalle di Emily, ma non disse nulla. Conosceva sua figlia e sapeva bene che non esisteva parola al mondo che le avrebbe impedito di fare ciò che voleva. La guardò ancora per svariati secondi negli occhi, così simili ai propri, ma così diversi. Emily abbassò lo sguardo sul pomello della porta, aprendola lentamente, prima di lasciare quel semplice appartamento. Non era casa sua, quella.
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Set me free.
Fiksi PenggemarEra come se fosse chiuso in una gabbia, dove urlava, ma nessuno riusciva a sentirlo. O meglio, nessuno voleva sentirlo. E lui avrebbe solo voluto qualcuno lì, pronto a liberarlo.