Capitolo 27.

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Mi vedevo già davanti agli occhi la faccia di mia madre quando la porta di camera mia le si chiede a pochi millimetri dal naso, gli occhi spalancati e la bocca serrata in una linea dura.
Ma non mi importò più di tanto, le avrei comunque sentite il giorno dopo, questo sarebbe stato solo un "di più".
Zoppicai fino in bagno, presi una benda elastica e me la avvolsi molto stressa alla caviglia. Mi sfilai il vestito lasciandolo lì per terra, mi struccai e mi lavai i denti, mi trascinai di nuovo fino al letto e mi infilai il pigiama.
Quando la mia testa toccò il cuscino le lacrime iniziarono a rigarmi di nuovo il viso, soffocai i singhiozzi per non farmi sentire.

Cosa avevo sbagliato ancora? Perché mi ritrovo sempre a piangermi addosso? Ero sempre al solito punto, sempre al punto di partenza. Mia madre dice sempre "la ruota gira per tutti", ma niente, si rimane sempre al punto di partenza per Giulia.
Le lacrime sembravano non fermarsi più, Connor mi aveva spezzato il cuore, e io che gli credevo quando mi diceva... Nulla, è questo il punto.
Come al solito mi sono illusa, nessuna novità.
Guardai il led del cellulare che continuava a lampeggiare senza sosta, lo presi con rabbia e sbloccai lo schermo, c'erano diverse chiamate da parte di Connor, un messaggio di Lisa e uno di James. Non visualizzai nulla, spensi il telefono e lo lasciai cadere sul pavimento.
Mi rigirai nel letto e mi addormentai di botto.

Quella notte sognai ragazze bionde, feste, paradiso e inferno.

Bip bip bip bip.

La mattina seguente la sveglia suonò alla solita ora, avevo dormito poco più di 5 ore, ed ero ancora distrutta.
Quando mi alzai in piedi notai che la caviglia mi faceva meno male di ieri, ma zoppicavo ancora ogni tanto. Avevo bisogno di farla vedere da un dottore ma dovevo andarci per forza con mia mamma perché era lei che teneva i contatti con il mio medico. Rimandai la richiesta di portarmi dal dottore quando avrei trovato la voglia di parlare con mia madre.
Decisi infine di lasciare la fascia, mi avrebbe aiutata a non zoppicare durante la giornata.
Arrivata in bagno mi guardai allo specchio per diversi minuti, avevo un aspetto a dir poco orribile, le occhiaie potevano essere ammirate da chilometri di distanza e sembravo più pallida del solito. La luce mi dava fastidio e i miei movimenti erano mi sembravano lentissimi, ma quello era colpa del dopo sbornia.
Mi truccai solo perché andava contro la mia filosofia di vita andare a scuola struccata, non per altro.
Per la prima volta non mi importava di come vestirmi, presi un paio di leggings neri, una maglietta bianca con il logo dell'Hard Rock Cafè e una felpa nera con cappuccio, niente collane, niente cappelli, niente di niente.
Infilai la giacca di James nello zaino e me lo misi in spalla, quindi zoppicai giù dalle scale.
Non mi interessava neanche fare colazione, passai davanti alla cucina, mio padre e mia madre stavano aspettando che fosse pronto il caffè, assonnati si girarono verso di me e rimasero sorpresi a vedermi già sveglia e pronta, di solito ci mettevo molto di più a prepararmi ma alla Giulia di quel martedì mattina non importava nulla, ne di se stessa ne degli altri.

- Giulia... - Mi madre cercò di dirmi qualcosa ma la interruppi subito.
- Vado a scuola, a dopo. – Con la coda dell'occhio vidi mio padre fare di no con la testa e mia madre guardarmi sbigottita, a quanto pare non mi avevano mai vista con una faccia così sconvolta e distrutta.
Appoggiai la mano sulla maniglia ma mi ricordai quanto freddo faceva ieri sera, guardai l'appendi abiti dell'ingresso, per fortuna il parka che usavo tutti i giorni per andare a scuola era ancora lì, lo presi e me lo infilai.

Il freddo mi congelò subito il naso, pensai "sarò pronta ad affrontare questa stupida e fastidiosa giornata di scuola?". Non mi diedi una risposta, lasciai la domanda in sospeso nella mia mente.
Tarai fuori gli auricolari dalla tasca del parka e me li infilai, avviai la riproduzione casuale e mi rallegrai quando capì che il mio telefono percepiva il mio stato d'animo. Partì Hello di Adele.
Quella melodia mi incantò così tanto che quasi non mi accorsi che mi ero fermata all'angolo dove io e Connor ci aspettavamo per andare assieme a scuola. L'amara realtà che Connor non sarebbe arrivato quella mattina mi assalì e per poco gli occhi mi ritornarono carichi di lacrime, alzai lo sguardo e guardai il cielo grigio per farle tornare da dove erano arrivate.
Più tardi le parole di Birdy mi risuonavano bene nell'orecchio e si intonavano al mio stato d'animo mentre camminavo verso scuola, era presto e quindi gli studenti erano ancora nei loro letti, al caldo.
Era buio ma si capiva che era mattino dal fatto che il cielo stava diventando sempre più chiaro, ogni minuto che passava.
Quando passai davanti al parco di ieri mi voltai di scatto, i lampioni erano spenti e l'atmosfera era cambiata, non sembrava più tetro come ieri sera.
Mi girai per proseguire verso scuola ma mi sembrò di vedere una lunga chioma bionda muoversi sulla stessa panchina di ieri.

No, non di nuovo.

Mi girai di nuovo, ma non vidi nulla, dallo spavento guardai le mie mani con un gesto meccanico.
Erano normali, il cuore mi martellava nel petto.
Dovevo essere impazzita, la mia mente mi stava mandando chiari segnali che non ce la stava facendo più a sopportare tutte quelle stupide e inutili informazioni, tutto il dolore e i pensieri frenetici.
Iniziai a pensare che dovevo staccare la spina e rilassarmi un po'. Ma subito dopo rimproverai a me stessa che non me importava nulla.

Arrivai davanti alla scuola e notai che non c'era nessuno, solo qualche studente che ripassava in ansia per qualche test.
Alcuni del personale scolastico non erano ancora arrivati per cui si poteva dire che la scuola sembrava vuota.
E fredda per lo più. Giuro che se il preside non si decide ad alzare i termosifoni al massimo gli ribalto l'ufficio.
Da quel pensiero capì che il mio umore era precario, un minuto prima di veniva da piangere, quello dopo ero arrabbiata come non mai. Dovevo darmi un calmata, seriamente, prima di insultare qualcuno che non c'entrava nulla in questa storia.

Mi accomodai su una sedia in biblioteca e tirai fuori un quaderno, i miei voti ne avrebbero risentito dello studio carente che ho avuto nell'ultima settimana, quindi forse era meglio non sprecare tempo in pensieri inutili.
La biblioteca dava sull'atrio della scuola quindi quando alzavo gli occhi dal quaderno notavo che c'era sempre più gente che entrava e usciva dalle aule, ma la campanella non era ancora suonata per dare inizio alle lezioni. Sarei entrata in classe all'ultimo momento, per evitare qualsiasi tipo di conversazione sgradevole che mi sarebbe potuta capitare.

Chiusi il quaderno e lo riposi nello zaino, notai che la giacca di James era ancora lì, dovevo ridargliela, mi stavo stancando di avere un peso in più nello zaino da portare in giro.

Driiiiiiing.

La campanella suonò e io andai nel panico, gli studenti iniziarono a ronzare in giro per i corridoi alla velocità della luce, più i secondi passavano e più mi sentivo la testa leggera e un peso sul petto.
Tutto quello che avevo pensato di fare o di dire era sparito, non ricordavo più niente, uscì di fretta dalla biblioteca per non arrivare in ritardo alla lezione di matematica, non volevo essere l'ultima a entrare attirando l'attenzione degli altri studenti su di me.
Quando svoltai l'angolo e imboccai il mio corridoio vidi Connor entrare in aula, dietro di lui James e Tristan che parlavano tra di loro.
James mi vide e mi salutò con la mano. Il cervello mi andò in pappa, le mani iniziarono a sudarmi e mi sentì improvvisamente la bocca asciutta.
Cosa crei dovuto dire? Salutarlo? Spiegargli tutto più tardi? O non dovevo spiegare proprio nulla?
Senza neanche accorgermene stavo camminando a passi svelti verso quell'aula.

Two Shades. (The Vamps ff)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora