Capitolo 40.

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Arrivai a casa alle 10.30 del mattino seguente alla festa, minuto più o minuto meno.

Penso quella predica me la ricorderò per un bel pò di anni, ma ai miei genitori comunque gli raccontai un sacco di palle.

Quando mi chiesero il perchè di quel ritardo e come mai ero tornata con un taxi gli raccontai che la festa era finita molto molto tardi e un amico aveva chiesto a me e Lisa di dare una mano a riordinare; Lisa poi era rimasta a "schiacciare un pisolino" là, io invece avevo deciso di tornare a dormire a casa.

Ero esausta e una volta toccato il letto di camera mia dormì per tutto il resto della giornata, mi svegliai alle 19 di sera, e per dimenticare le più orrende ultime 24 ore della mia vita ci voleva altrettanto sonno ma dopo una bella doccia calda di un'altra mezz'ora il mio corpo iniziava a rimettersi in sesto pian piano, avevo anche fame a dir la verità.

Mi buttai sul letto due minuti prima di andare al piano di sotto a cenare con il resto della famiglia.
Presi il telefono e cercai di distrarmi un pò sui social ma subito mi arrivò un messaggio su Facebook.

E chi poteva essere? Oh Dio, Nate.

Le mani iniziarono a tremarmi e sudarmi. Lanciai il telefono un paio di volte sul materasso prima di rispondere.

"Buonasera, piccola di collasso, come stiamo?"
Stronzo, scordatelo che ti rispondo.
"So che non mi risponderai subito, volevo solo sapere come stavi, insomma sei finita col muso per terra e mi sembrava il minimo che te lo chiedessi."
Almeno era sincero.
"Sera. Sto meglio, non esattamente bene, ho passato tutta la notte in ospedale e ho dormito tutto il giorno, quindi preferirei dimenticare la serata di ieri, grazie."
Si mise subito a scrivere, ma quante attenzioni.

"Ottimo, ci vediamo domani mattina a scuola. Dovresti metterti più spesso i pantaloncini corti, i leggings sono così banali. Buonanotte xN."

Non mi aspettavo di certo che mi scrivesse altro, ma mi ha fatto strano il fatto che mi avesse contattato per chiedere come stavo (e in più mi avesse fatto un osservazione simil-carina)... Questo fatto però mi fece sorgere ancora più dubbi sulla questione che James non mi avesse detto la verità su di lui... Forse voleva portarmi sul serio in ospedale ma Connor gliel'ha impedito per gelosia.
Non lo so.
Forse dovevo "combattere" quell'odioso di Nate con le sue stesse armi, umiliarlo gli servirebbe a tenere quel muso... Quel bel muso (devo ammetterlo) chiuso per un bel pò di tempo. E in più avrei scoperto la verità su cosa poteva essere successo.
Prenderò la cosa in considerazione domani mattina dopo averci parlato.

Quella notte sognai occhi verdi che spuntavano dal buio pesato della notte, mani enormi che mi afferravano, ragazzi dai capelli ricci che mi seguivano.

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La svegliai suonò alla stessa identica ora di tutti i giorni, quel trillo mi perseguitò per alcuni minuti prima di capire che fosse lunedì, ciò comportava: scuola, studio, compiti e la solita routine.

Ma in fondo quella mattina mi attendeva altro, o almeno qualcun'altro.

Mascara e fondotinta non mi bastavano, avevo bisogno di rossetto rosso e eyeliner. Di pantaloncini corti e calzamaglie, anfibi e maglioni color latte quel giorno.

Prima di uscire di casa d'istinto guardai verso la casa dei Ball dalla finestra della cucina, non vidi nessuno uscire dal vialetto per andare a scuola, ma dopo tutto cosa mi interessava ancora?
Dopo aver infilato le cuffiette mi incamminai come al solito verso scuola, e cercai di voltare pagina, ero ottimista e determinata quel mattino.

Prima ora, letteratura: una materia che mi piaceva, tutto sommato, ma non riuscì a capire molto, ero concentrata su quello stronzo di Nate.
Uscì dalla classe con la scusa di andare in bagno pochi minuti prima della fine della lezione per guadagnare tempo e arrivare prima alla palestra, chiaramente deserta dato che il professore non la utilizzava in quelle ore, così presto la mattina.


Prima di spingere le porte per entrarci chiusi gli occhi e respirai a fondo.
Resta concentrata. Resta Concentrata. Resta concentrata. Lui è il nemico.

La palestra era illuminata solo dalla luce che entrava dalle enormi vetrate poste sopra le tribune; silenzio e poi il trillo della campanella che scandiva le ore scolastiche. Le 9.
Dalla parte opposta della palestra un ragazzo con una felpa verde scuro e dei jeans neri stava seduto con il cellulare in mano, il cappuccio gli copriva i capelli ricci e scuri.

Appena sentì la campanella suonare alzò lo sguardo, mi vide e subito sorrise compiaciuto che mi fossi presentata, a quanto pare non se lo aspettava.
Con un balzo scese dallo scalino su cui era seduto e attraversò la palestra, i miei piedi iniziarono a muoversi verso di lui e il ticchettio delle suole dei miei anfibi sul pavimento era ancora l'unico rumore udibile nell'aria.
- Buongiorno. - Si fermo davanti a me, infilò le mani in tasca ma non si tolse il cappuccio.

- Buongiorno anche a te. - Risposi secca.

- Non stiamo qui in mezzo al campo della palestra, andiamo a sederci sugli spalti, i professori non ci vedranno. - Ti preoccupi dei professori o di qualcun'altro?

- Okay. - Lo seguì in alto agli spalti dalla parte destra della palestra, nessuno passando davanti alle porte d'ingresso ci avrebbe visto lì e devo ammettere che si stava meglio, l'aria era più calda.
- Bhè cosa vuoi ancora da me? Ho lezione tra pochissimo. - Incrociai le gambe e mi sedetti di fianco a lui, ma a debita distanza, volevo vederlo in faccia. Lui si limitò a sedersi, un ginocchio sullo spalto e uno lasciato normalmente a penzoloni dal gradone.
- Esci con me. - 
Non mi sembrava di aver sentito bene.

- Cosa? - L'aveva detto sul serio?

- So che hai sentito. - I suoi occhi verdi erano penetranti, erano fissi nella mia mente.

Quegli occhi.
- Cosa ti fa pensare che io accetterò? -
- Allora tralasciando che sono il ragazzo più popolare della scuola, il fatto che tu vuoi scordare quello smidollato di Ball. -
Okay, aveva attirato la mia attenzione.

- Tra me e Ball non c'è mai stato nulla. - "Lo credi davvero?" mi bisbigliò la mia coscienza.

- Okay, allora pensala così, sei una delle poche ragazze in questa scuola che se ne frega del parere degli altri, ho visto cosa sei alla festa, sei spavalda, non hai paura, non ti interessa di stare da sola, sei unica, sei tu. Sei quello che ho sempre cercato. Esci con me. - 
Quelle nocche bianche.
Quelle parole tagliavano la mia agitazione come un coltello affilato. Cercai di ricompormi.
- Non penso sia una bella idea, uscire con te? Non ti conosco neanche. - Lisa mi ha raccontato tante cose su di te, tipo che sei bello da morire e ogni ragazza della scuola ti vorrebbe ma non intendo di certo cedere così.
- Ti racconterò delle cose su di me se ti farà stare più tranquilla. - Disse ridacchiando e tirò fuori di nuovo uno di quei suoi sorrisi.
- Sei uno stronzo. - E questa volta lo avevo detto sul serio.
- Riuscirò a disciplinarti. -

- Cosa? - Avevo capito bene?

Il suo respiro caldo.

E in pochi secondi sentì la sua mano calda sulla mia guancia, le sue labbra avide e spavalde sulle mie, sentivo il suo calore ammorbidire la pietra che ormai era diventata il mio cuore, le sue mani sulle mie cosce, la sua lingua che mi accarezzava il labbro inferiore e poi il suo petto sul mio, i riccioli scuri che mi solleticavano il volto. Sentivo fuoco che mi stava appiccando dentro di me; sembrava che un onda mi avesse trascinato via come se fossi una piccola conchiglia inerme sulla spiaggia.

Dentro di me quel bacio scaturì l'inizio di una ribellione contro la vecchia Giulia, contro il passato.
Qualcosa stava cambiando. 

Two Shades. (The Vamps ff)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora