Capitolo 3

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Diego
L'aereo era appena atterrato all'aeroporto di Bari Palese , non sapevo cosa mi aspettasse in questa nuova avventura, ma come al solito le sfide mi piacevano. Ero in fila per scendere dall'aereo e notai una bimba, poteva avere circa tre anni e piangeva. I suoi tratti sembravano asiatici. Rientrai fra i sedili  favorendo il passaggio nel corridoio centrale a lei e alla sua mamma la quale prontamente mi ringraziava.
"Thank you, Thank you"
"You are welcom"
La bimba  continuava a scalciare così mi venne un'idea. Mi ricordai che nella tasca della mia giacca a vento, portavo sempre qualche palloncino di quelli che si modellano. Lo allungai e poi lo gonfiai. Gli diedi la forma di un cagnolino e poi glielo passai dicendole
"This is for you"
La bimba mi disse qualcosa nella sua lingua, credo fosse giapponese, udendola la mamma si voltò e alla vista del palloncino replicò
"Thank you, Thank you."
Io le sorrisi, mentre la fila avanzava, la piccola smise di piangere e mi mandò un bacino volante con la sua piccola mano. Alla vista di quel tenero gesto, mi resi conto che i gesti dell'amore erano universali. Le sorrisi e le feci una carezza sulla testa, poi la fila avanzò e finalmente fummo fuori dall'aereo. L'aria era un po freschetta visto che erano le 6:40 del mattino. La fila si introdusse in una corsia che ci portò all'interno dell'aeroporto. Ricordo di aver letto su qualche rivista specifica,  che pochi anni prima, in questo aeroporto erano stati fatti dei lavori di ampliamento, era stata costruita una nuova ala est. L'ampliamento era stato diretto da un mio collega, l'architetto Francesco Angarano, il quale puntò molto sulle moderne tecniche di bioarchitettura e non trascurò l'integrazione di soluzioni all'avanguardia per il risparmio energetico e la sostenibilità ambientale. Avevo notato che all'esterno era presente un impianto fotovoltaico. Angarano nella progettazione si era ispirato ai richiami del territorio pugliese. C'erano delle colonne a forma ottagonale rivestite con pietra locale. Notai una parete che ospitava un patchwoork molto colorato che ritraeva l'effigie di San Nicola, il santo protettore di Bari. Le pareti interne erano inclinate e completamente di vetro per consentire l'accesso della luce nei due versi, quello orizzontale e quello verticale. Mentre camminavo non potei fare a meno di guardare il pavimento che indicava un percorso, fatto di materiali in resina dove erano state inglobate sia la sabbia che le conchiglie del mare. Alzai gli occhi al soffitto che era ondulato, era stato fatto così per ricordare il vento della Puglia. L'architetto aveva lavorato veramente bene, aveva saputo miscelare la tradizione con le innovazioni.
La voce del microfono annunciava voli in arrivo e in partenza. Piano piano ci avvicinammo verso i nastri che trasportavano i bagagli. Avevo già individuato il mio trolley rosso. Attesi il mio turno, poi presi la valigia e mi diressi verso l'uscita per cercare un taxi, un'occhiata all'orologio mi fece notare che avevo trascorso circa un'ora nell'aeroporto, si erano fatte le 8:10. Alzai una mano per indicare al tassista che avevo bisogno di lui, subito l'auto mi raggiunse. Uscì fuori un giovane che aprì il cofano e vi mise dentro il mio bagaglio, poi disse:
"Prego signore, dove posso accompagnarla?"
"Buongiorno, mi porti al noleggio auto in via Chiavari"
Arrivati a destinazione, notai nel parcheggio molte 500, me ne saltò subito all'occhio una rossa, mi avvicinai e lessi una targa di quelle in metallo, con le ventose che si appendono ai vetri, con una scritta
Da grande voglio diventare una Ferrari
La cosa mi fece sorridere. Continuai a camminare e i modelli delle auto erano davvero tante, piccole e grandi, per tutti i gusti. Entrai nell'ufficio e subito una signorina venne ad accogliermi
"Buongiorno signore, sono Maria, come posso aiutarla?"
""Buongiorno maria, io sono Diego, ho visto la piccola Ferrari nel parcheggio. È libera per circa 7/10giorni ?"
"Signor Diego, mi dia i suoi documenti, il tempo di sbrigare qualche pratica burocratica e la 500 rossa sarà sua per il tempo che desidera"
Maria fu molto professionale, mentre mi registrava la patente e la carta di credito, mi fece accomodare su un salotto di pelle nera. L'ambiente era tutto bianco , le pareti, i quadri, il tavolino tondo vicino al divano, perfino la lampada appoggiata sulla mensola vicino al televisore splendeva di bianco.  Quando Maria rientrò con i documenti e le chiavi mi disse
"Architetto, la piccola Ferrari  è sua,  permette una domanda indiscreta?"
"Dica pure Maria"
"Ma con la vasta scelta di berline che abbiamo nel nostro parcheggio, lei preferisce una piccola utilitaria?"
"Sa Maria, a volte le apparenze ingannano. Non è il mio titolo a fare di me una brava persona... E poi ... Mi piacciono le persone ambiziose. E la piccola utilitaria da grande vuole diventare una Ferrari. Io ero figlio di un elettricista ma da piccolo sognavo di diventare un architetto...  Oggi sono un uomo... E sono diventato un architetto!"
"Io da grande voglio dirigere questo posto"
"Lavori duro, e sicuramente realizzerà il suo sogno"
Salutai Maria e mi recai verso la mia auto. Dopo aver dato una sbirciata a Google Maps per vedere il percorso che mi attendeva per giungere a destinazione, mi sentii vibrare il telefono . Mi annunciava l'arrivo di un messaggio
📩
Marika
NON ABBIAMO TUE NOTIZIE
DA IERI SERA.
SEI ATTERRATO ? 🛬
HAI PRESO IL ☕️ E LA 🚗?
LA MAMMA È IN CUCINA
DALL'ALBA🌅
PENSA CHE ABBIA
PREPARATO POCA ROBA
🍝🍖🍗🍳🍜🍧🍷
COSA NE DICI SE PRIMA
DEL PRANZO ANDIAMO
A PRENDERE UN🍸🍹?
Mi affrettai a rispondere al messaggio di Marika, non vedevo l'ora di riabbracciarlo. Erano cinque anni che non ci vedevamo. Ci sentivamo spesso, ma mi mancava molto. Quando il mio socio mi propose questa consulenza in Basilicata io non ci pensai su due volte, gli dissi che quel lavoro era mio. Poi avevo un po di ferie arretrate ed avevo voglia di passare un po di tempo con la mia seconda famiglia.
📨
Diego
SONO ATTERRATO
DA CIRCA DUE ORE.
HO NOLEGGIATO UNA🚗
NON VEDO L'ORA
DI RIABBRACCIARTI.
SORELLINA MI SEI MANCATA.
TI VOGLIO BENE😘🤗😘
Marika ed io ci eravamo conosciuti circa 15 anni fa. Lei aveva 5 anni quando arrivò a Roma in ospedale a causa della sua malattia. Io ero lì per mia sorella . Tutte e due dovevano subire un  trapianto di midollo osseo. Ero risultato compatibile con mia sorella. Ma dopo il trapianto ci fu il rigetto. Lei si aggravò e dopo pochi giorni ci lasciò. All'epoca io avevo 13 anni. A quella notizia, in lacrime andai a rifugiarmi in camera di Marika. Lei e la sua mamma furono tanto gentili nel consolarmi. La perdita di mia sorella, aveva lasciato in me un grande vuoto. Nelle settimane successive  io riuscivo a trovare sollievo solo facendo visita a quell'amica in ospedale. Ma la situazione precipitò quando i medici comunicarono alla famiglia, la non compatibilità con i consanguinei. Si optò per altri donatori, ma nessuno sembrava essere compatibile. Fu un giorno per caso che mi venne l'idea di chiedere ai medici di fare il test di compatibilità con il mio midollo, all'inizio i medici si rifiutarono vista la mia minore età, ma io mobilitai tutti, parenti, amici, infermieri, dottori. La svolta decisiva venne dai miei genitori, quando un giorno li chiamai dall'ospedale e li obbligai ad accorrere lì per vedere con i loro occhi. Marika soffriva come la mia sorellina.
"Mamma... Papà... Ho già perso una sorella, non fatemene perdere  un'altra. Questa volta andrà bene, io lo so!"
Mamma in lacrime si avvicinò al capezzale di Marika, le diede un bacio sulla fronte, poi abbracciò la signora Fregio, notai che le aveva sussurrato qualcosa all'orecchio, poi uscì dalla stanza con le lacrime che le scendevano sul viso. Papà si fece sfuggire un singhiozzo. Fu allora che mi accorsi che stava piangendo, quasi in silenzio. Si avvicinò a me, mi prese per mano e mi condusse fuori dalla stanza. Non capii cosa stesse succedendo, ma restai in silenzio, lo seguii e quando mi diresse verso lo studio del medico, quasi non riuscii a crederci. La cosa che mi sconvolse di più , fu quando la porta si aprì,la riconobbi dai vestiti; lì seduta di spalle c'era la mia mamma. Stava firmando delle carte, si girò verso papà e gli passò la penna... Il loro sguardo d'intesa fu commovente. Una lacrima iniziò a rigarmi il viso, al che mi precipitai ad abbracciare entrambi.
"Vedrete... Questa volta andrà bene..."
"Certo tesoro, andrà bene, un angelo le starà vicino"
Il trapianto andò bene, io tutti i giorni, dopo la scuola andavo a trovare Marika in ospedale, dove rimase per circa un mese. Il suo papà ritornò al suo paese per lavoro, mentre loro due decisero di rimanere a Roma ancora un altro mese per i controlli settimanali. Gli suggerimmo la casa della signora Cutolo. Una anziana donna che non aveva parenti e che fittava  camere per le famiglie che andavano in ospedale. Io abitavo lì vicino.
A volte mi portavo i libri e studiavo lì da lei. Quando Marika partì fu brutto, mi ero tanto affezionato a quella bimba che per uno strano scherzo della vita, era diventata mia sorella. Durante l'anno Marika e la sua famiglia venivano spesso a Roma. Il suo papà era avvocato, più volte mi avevano invitato a casa loro, ma a me non andava di lasciare la mamma da sola. Da quando papà era venuto a mancare, stroncato all'improvviso da un infarto, io e la mamma non andavamo più da nessuna parte ,nemmeno dai parenti all'Aquila. Lei diceva che non dovevo distogliere l'attenzione dalla scuola. La signora Cutolo era diventata una di famiglia per noi. Io le facevo piccole commissioni e lei mi dava la paghetta settimanale. Mamma per arrotondare lo stipendio, le faceva compagnia leggendole qualcosa. Era ritornata ad insegnare, ma  quando era libera le piaceva dedicarle del tempo. Vivere a Roma era caro. Dovettimo risparmiare un po.  Ma quell'extra le permise di aprire un conto in mio favore, per assicurarmi gli studi universitari. Avevo ventidue anni quando mamma morì.  Io rimasi solo, avevo appena incominciato gli studi di architettura. La signora Cutolo volle che io le permettessi di pagarmi gli studi, diceva che i risparmi della mia mamma sarebbero serviti in futuro. Lasciai la casa in fitto  e mi trasferii a casa sua. Per me era una persona speciale,il suo affetto materno mi aiutò a convivere con il grande dolore per la perdita della mia mamma. Lei continuava a fittare le camere alle famiglie che venivano in ospedale. Vedevo tanta gente andare e venire. Quella casa mi sembrava un porto. Quando la gente andava via tutti piangevano. A volte era andata bene, altre più numerose, i genitori tornavano a casa senza i loro figli. Quella bestia di malattia vinceva tante volte.
Durante l'università alcuni pomeriggi a settimana,  facevo volontariato, indossavo un camice giallo, un naso rosso e una borsa a fiori dove tenevo i palloncini modellabile e andavo in ospedale.
Quando arrivavo, per quei bambini diventavo la loro distrazione. Passavamo delle ore a ridere e a fare animali e altre forme con i palloncini. Non ostante oggi avessi 30 anni, un socio in affari ed uno studio ben avviato, era una cosa che ancora mi faceva piacere fare. La signora Cutolo aveva raggiunto la veneranda età di novant'anni. Aveva i suoi acciacchi, ma tutto sommato stava bene. Circa tre anni fa, mi aveva affidato la direzione dei lavori  per la ristrutturazione del suo palazzo. Continuava a fittare  camere alle famiglie che venivano in ospedale. Aveva voluto che le camere avessero ogni comfort, per dare un po' di sollievo a quelle povere famiglie che dovevano restare lontano dalle loro case. Durante i lavori di ristrutturazione, mi aveva detto di lasciare per ultimo l'appartamento all'attico. Alla fine dei lavori io non volli essere pagato. Era il mio modo di contribuire ad un opera in cui io credevo tanto. Avevo vissuto in prima persona quell'esperienza dell'ospedale e della camera. Un giorno lei mi chiese di prendere il documenti in un cassetto dello scrittoio in sala. Li presi e glieli passai. Lei aprì la cartellina ed estrasse un atto notarile dove mi donava l'appartamento all'attico. E mi nominava suoi erede universale. Espresse la volontà di proseguire io nell'opera di fitta camere. A quel gesto io rimasi sbalordito e le dissi più volte che lo facevo con piacere perché ci credevo, e non per un tornaconto personale. La abbracciai e i miei occhi si riempirono di lacrime. Non ne versavo dalla scomparsa della mia mamma.

UNA DOLCE E IRRUENTE SCOSSADove le storie prendono vita. Scoprilo ora