Capitolo 4

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«Ma che le prende?» pensai mentre continuavo a fissarla confuso.

«Che succede? Pensavi che non sarei più tornata?» mi disse con un sorriso.

«Bene. Abbiamo un po' di tempo prima dell'inizio delle lezioni, quindiii...TA-DA~»

Ero abbastanza confuso. Aveva corso avanti e indietro per la scuola solo per portarmi un...quaderno.
Rimasi li a fissare le sue mani mentre mi porgevano il quaderno. Non sapevo che fare.

Lei si sedette accanto a me e aprì il quaderno cominciando a scriverci sopra qualcosa, poi me lo mostrò:

«Sai...quando sono triste o c'è qualcosa che mi turba, scrivere è una delle cose che mi fa star meglio. Potresti provare anche tu, che ne dici?»

Era inutile. Più cercavo di capire che intenzioni avesse più domande e dubbi mi assalivano.
Così decisi di assecondarla.

Mi diede la penna e, in un certo senso, mi presentai:

«Mi chiamo Joseph Miller». scrissi lentamente.

Quando finì di scrivere gliel'ho mostrai. In qualche modo sembrava che si fosse tranquillizzata.
Riprese la penna e continuò a scrivere:

«Visto? Non era così difficile.» scrisse rapidamente mentre sorrideva.

Continuò a scrivere domandandomi di tutto e dovevo ammettere che in quel momento mi sentivo un po' felice. Se non fosse stato per una domanda di troppo:

«Un'altra cosa, posso sapere perché non hai voglia di parlare con nessuno?».

Non ci fu domanda peggiore che potesse farmi.
Diventai di pietra, le mie mani cominciarono a tremare e i miei occhi si spalancarono, come se avessi visto un fantasma. Non potevo dirglielo.

Poggiai la mano sul petto e comincia a stringere la giacca. Mi faceva male il cuore. Era un dolore davvero atroce. Però, all'improvviso, lei afferrò la mano che si trovava sulla mia gamba e mi guardò con gli occhi lucidi, come se stesse per piangere al posto mio.

«Mi dispiace. Non avrei dovuto chiedere, ho già detto abbastanza...» disse, abbassando la testa e continuando a scusarsi.

Ero felice che in quel momento qualcuno, all'infuori della mia famiglia, si fosse preoccupato per me. Così per farglielo capire afferrai la penna e scrissi:

«Grazie per l'interessamento. Non devi scusarti di nulla e poi, a dir la verità, mi ha fatto piacere "parlare" con te».

Quando lo lesse si strofino gli occhi e mi sorrise .

Rimasi a fissarla per qualche secondo prima che la campanella suonasse.

«Andiamo le lezioni stanno per ricominciare» disse lei mentre si alzava.

Scrissi che sarei entrato in classe un po' più tardi perché avevo ancora voglia di stare li.
Mi diede l'Ok e cominciò ad andare.

«Che strana ragazza» pensai sorridendo lievemente ed alzando la testa verso l'albero rosso.

Tornai in classe poco prima che la lezione cominciasse e la prima cosa che notai fu Samantha ridere con alcune ragazze della classe. Aveva un carattere davvero socievole e per quello la invidiavo un po'.

...

Le ore passarono e suonò l'ultima campanella della giornata, così tutti comiciarono ad uscire fuori. Io ovviamente fui uno dei primi, ma invece di andarmene subito alla stazione mi fermai al cancello della scuola e mi voltai qualche secondo.

Eccola. La vidi in lontananza mentre parlava con altri membri della classe. Ero contento per lei che si fosse già ambientata così bene , ma mi sentivo un po' strano. Mi voltai e cominciai ad andarmene, ma a metà strada, prima di arrivare alla stazione, qualcuno mi batté la spalla. Mi voltai e di mia sorpresa vidi lei.

«Certo che vai proprio di fretta tu, eh?» disse sorridendo. «Oh. A proposito. Tieni. Questo è il mio numero. Se mi dai il tuo possiamo parlare un po' tramite messaggi. Ti va??»

Era una richiesta un po' insolita ma per qualche ragione non riuscì a trovare nessun motivo per rifiutare. Così accettai. Ci scambiammo i numeri e ci salutammo. Io mi diressi verso la stazione e lei invece tornò a casa in auto.

Per tutto il viaggio da scuola fino casa rimasi a fissare il suo numero cercando di capire con quale coraggio avrei potuto scrivergli, ma quando arrivai di fronte alla porta di casa decisi di pensarci più tardi con calma.

Entrai in casa e mi diressi in cucina per avvertire i miei che ero tornato.

«Bentornato tesoro! È andato bene il primo giorno?» mi disse immediatamente mia madre dopo avermi visto nel salone.

La guardai e gli sorrisi. Lei esitò un po' prima di ricambiare con uno dei suoi soliti abbracci che era più soffocante del solito. Probabilmente era sorpresa del fatto che invece di un triste cenno con la testa, le sorrisi.

«Comunque tesoro, per caso ti ricordi che giorno è oggi?».

Aggrottai le sopracciglia e la guardai confuso. Per provare ad indovinare poggia il mio dito sul calendario e indicai la data di quel giorno: Venerdì 25.

«Immaginavo che te ne fossi dimenticato. Mi ha detto tuo padre che oggi ti avrebbe fatto fare la visita dell'ospedale. Passerà a prenderti tra poco».

«Vero. Papà deve essere riuscito a farsi dare il premesso. Sempre il solito.»pensai continuando a guardare il calendario.

Mio padre era uno dei migliori dottori di tutta Indianapolis e dopo esserci trasferiti qui ricevette molte proposte da numerosi ospedali. Uno in particolare aveva attirato la sua attenzione ed era l'ospedale dove aveva fatto il suo primo tirocinio. Lavorava li già da tre anni ed era diventato oramai un membro abbastanza rispettato di quell'ospedale.

Io ero molto attratto da tutto quello che riguardava la medicina. E' davvero una cosa unica come si possa salvare una vita trapiantando o esportando organi.

Così mi prepararmi e cominciai ad aspettare mio padre. Ero ansioso di vedere quell'ospedale. Ero ansioso di vedere le loro attrezzature.

Ma ero spaventato all'idea di rivedere la morte trionfare nuovamente sulla vita.

Doctor Corpse - Le originiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora