Capitolo 12

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28 - Settembre - 2015

Quel giorno andai a scuola più turbato del solito. Quello che era successo la sera prima l'ho rivivevo ancora. Era impossibile che me lo fossi immaginato, era troppo vero, ma era anche vero che non c'era nessuna spiegazione ragionevole a quello che era successo.

Ci pensavo continuamente. Ignoravo qualsiasi cosa intorno a me, come sempre del resto.

Arrivato alla stazione mi sedetti e cominciai a fissare il vuoto. Lo fissai per un paio di minuti, ma poi qualcosa, anzi, qualcuno attirò la mia attenzione:

«Buongiorno»

Mi voltai e vidi Samantha, sorridente come suo solito. Le feci un debole e malinconico sorriso, ma un sorriso, anche se falso, è pur sempre un sorriso, no?

Lei si sedette accanto a me, estrasse dalla borsa il suo solito quaderno e comincio a scrivere:

«Va tutto bene? È successo qualcosa?»

Abbassai la testa, cercando di non guardarla negli occhi. Se gli avessi raccontato quello che era successo probabilmente mi avrebbe preso per pazzo.

Fino a quanto il treno non arrivò io rimasi in silenzio. Poi, quando mi assicurai che il treno si fosse fermato per far salire i passeggeri, scrissi, evitando di incrociare il suo sguardo:

«Faremo meglio ad andare, altrimenti arriveremo tardi»

Io mi alzai e andai verso il treno, ma prima che riuscissi ad entrare lei mi trascinò via con sei. Uscimmo dalla stazione e mi porto fino al parco comunale, vicino la fontana. Non ricordo perché, ma avevo io il quaderno in mano, così le feci una domanda piuttosto ovvia:

«Dimmi Samantha, perché siamo qui?»

Lei mi fisso confusa in un primo momento e poi mi rispose:

"Non è ovvio? Mariniamo la scuola» disse sorridendo.

Marinare la scuola? Non avevo mai fatto una cosa simile prima d'allora. Era una cosa nuova per me e mi sentivo abbastanza a disagio, ma anche molto eccitato.

«Perché vuoi marinare la scuola? Non mi sembri una persona del genere»

"Non ho mai fatto una cosa simile. È la prima volta che salto le lezioni. Se mio padre lo scoprisse sarei in un mare di guai».

«Non ci trovo nulla da ridere» pensai aggrottando le sopracciglia.

Andai a sedermi su una panchina, che dava il davanti alla fontana, e cominciai a guardarla. Era li, sorridente e immobile, intenta a guardare il suo riflesso nella fontana.

«Dimmi Joseph...Ti fidi di me?» mi domando avvicinandosi a me.

Rimasi stranito dalla domanda che mi fece. Non sapevo che risponderle. Da un lato sapevo di potermi confidare con lei, ma dall'altro non potevo dire di fidarmi visto che la conoscevo da troppo poco tempo. Non scrissi nulla e rimasi a fissarla.

Lei continuava a guardarmi, poi si si sedette. Mi prese la mano e la strinse a se.

«Lo so. Sono pochi giorni che mi conosci, ma posso assicurati che di me ti puoi fidare, credimi».

Restai sorpreso nel vederla così sconsolata sul fatto che io non mi fidassi. Così, un po' per galanteria e un po' per verità, gli scrissi che mi fidavo di lei. Al leggere quelle parole la sua espressione torno quella di prima.

«Allora potresti dirmi perché sei più pensieroso del solito? Che è successo?»continuò lei.

Oramai il dado era tratto. Le avevo dato la mia fiducia, così provai a raccontarle l'accaduto della sera prima.

...

Quando lei finì di leggere l'accaduto restò pietrificata.

«Tutto questo è pazzesco» disse lei mentre fissava da un'altra parte. «Però...potresti essertelo immaginato. Hai detto di essere caduto dalle scale aver ricevuto una violenta botta, giusto? Potrebbe essere che dal forte choc tu abbia immaginato di parlare con Emily».

Quel giorno, mentre Samantha cercava di aiutarmi nuovamente, mi accorsi di provare un sentimento nuovo, che mi bruciava nel petto. Ad ogni suo sorriso, quel dolore nel petto aumentava.

«Comunque sia io ti credo Joseph. Dovevi volere molto bene a tua sorella. E sai, trovo questo lato di te molto carino» disse ridendo.

Ero felice. Nonostante le avessi raccontato una cosa così strana cercò comunque di aiutarmi.

Forse era arrivato il momento. Samantha mi aveva fatto capire che era il momento di lasciarmi tutto alle spalle, era il momento di riprendermi la mia vita. Emily non c'era più, dovevo accettarlo, farmene una ragione.

La fissai negli occhi e finalmente mi convinsi. Mi convinsi che mi sarei ripreso la mia vita.

«Grazie» dissi dopo anni di completo silenzio.

Lei mi fissò, con gli occhi lucidi e mi abbraccio, come se stesse per piangere, ma ancora con quel dolce sorriso in volto. Sarebbe andato tutto per il meglio, l'ho credevo.

Ma tutto cambiò dopo quel giorno.

Doctor Corpse - Le originiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora