Capitolo 6

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Vedere quella foto mi aveva, letteralmente, scosso l'anima.

Cominciai a sentire gli occhi bruciare e le lacrime rigarmi il viso finendo col far cadere alcune gocce sulla foto. Stringevo talmente forte la cornice che sembrava che da un momento a l'altro il vetro si sarebbe frantumato in mille pezzi.

Quella foto, quella che sembrava una semplice foto di famiglia, mi aveva fatto provare un'angoscia tale da farmi venire la nausea.

Tremavo molto ma, a parte alcune lacrime, non riuscivo a sfogarmi. In quel momento piangere mi avrebbe aiutato ma non ci riuscivo. Rimasi a fissare quella foto fino a quando un rumore di passi proveniente da fuori la stanza non mi allarmo.

Mi asciugai le lacrime, posai la cornice al suo posto e velocemente mi sedetti sulle poltrone che davano il fronte alla scrivania.

I passi cessarono e la porta si aprì. Era mio padre. Mi sorrise ed entrò, chiudendo lentamente la porta alle sue spalle.

«Devi scusarmi Joseph. Lo so. Ti avevo promesso che oggi saremmo stati io e te ma...come vedi in un'ospedale non si ci ferma mai" mi disse sconsolato.

Scossi la testa per dirgli che non doveva preoccuparsi. Era il suo lavoro dopo tutto.

Mi guardò e mi sorrise lievemente.

«Grazie figliolo. Posso sempre contare su di te. Cambiando discorso: hai visto che bel posticino ha il tuo vecchio?» disse mentre girava in tondo per la stanza con le braccia divaricate.

Quando disse questo scrutai ancora la stanza, notando nuovamente l'arredamento, i diplomi, le foto con i pazienti e la cornice con la foto di famiglia, la mia attenzione era ricaduta nuovamente su di essa.

«Carino, non trovi? Ce di tutto qui dentro» concluse con una risata.

Non ascoltai una singola parola di quello che disse dopo. Ero troppo concentrato su quella foto. Mio padre continuava a parlare ma io ero  ancora in quella specie di limbo pieno di ricordi offuscati. Solo un ricordo era preciso...l'unico ricordo che volevo dimenticare.

«Mi trovo davvero bene qui quindi...Joseph? Che cosa stai-» si bloccò mio padre, notando che stavo fissando l'unica cosa che, sicuramente, non voleva che vedessi.

Si avvicinò alla cornice e la prese, asciugando le lacrime che avevo lascito sopra di essa. Si sedette sullo spigolo della scrivania continuando a fissare anche lui la foto.

«Era bellissima. La mia piccola principessa» disse facendosi scappare un impercettibile sorriso.

Non appena disse quelle parole distolsi lo sguardo dalla foto e cominciai a guardare lui.

«Non volevo che vedessi questa foto. Ma non ho avuto il coraggio di toglierla. Questa foto e uno dei pochi ricordi che ho di lei. Perdonami».

Si alzò e posò la foto al suo posto. Dopodiché si sedette dietro la scrivania e restammo un po' di tempo in silenzio.

Teneva i gomiti poggiati sulla scrivania e il mento sopra le mani congiunte. Aveva un espressione triste ma con un lieve sorriso, come se stesse ricordando dei momenti felici che però sapeva per certo che non si sarebbero ripetuti mai più.

In quel momento capì e mi senti peggio di prima. Mio padre era sempre stato il mio punto di riferimento. Anche se accadeva qualcosa di orribile o le cose non andavano per il verso giusto lui guardava avanti, come se sapesse che prima o poi le cose si sarebbero sistemate da sole, ma non era quello il caso.

Lui non era mai riuscito a guardare oltre la morte di sua figlia.

Quel giorno capì che mio padre si era sempre tenuto dentro un'enorme tristezza che non aveva mai esposto a nessuno.

Cominciai ad avere i sensi di colpa per averlo fatto sentire così. Avevo intenzione di scusarmi o almeno di dirgli che non era colpa sua, ma quando tentavo di aprire bocca subito mi bloccavo. Era più forte di me, non ci riuscivo.

Rinunciai all'idea di scusarmi e abbassai lo sguardo a terra. Io non riuscì a dire nulla, ma mio padre si:

«Vieni qui Joseph, voglio mostrarti una cosa» disse togliendo i gomiti dalla scrivania e poggiando completamente la schiena sullo schienale della sedia.

Rimasi li a fissarlo per un po'. Non riuscivo ad immaginare cosa mi volesse mostrare o perché proprio in quel momento, ma spinto dalla curiosità mi alzai dalla poltrona e andai da lui.

prese una piccola chiave dalla tasca e la inserì nel secondo cassetto della scrivania, aprendolo. Cosa poteva tenere di così prezioso dentro quel cassetto da spingerlo a portarsi dietro la chiave?

La risposta alla mia domanda non tardò ad arrivare e dal cassetto uscì una scatolina di metallo nero abbastanza lunga e sottile.

La poggio sulla scrivania e gli passo le dita delicatamente, come per accarezzarla.

Notai nuovamente quel triste sorriso e continuai a domandarmi cosa potesse esserci all'interno.

«Lo sapevi che quando un bambino nasce, i genitori possono scegliere se tenere o no il suo cordone ombelicale?» mi chiese mio padre, continuando a contemplare quella piccola scatola.

Ero stranito da quella domanda, ma feci cenno con la testa per dirgli che ne ero al corrente. Volevo capire perché me lo avesse chiesto, e lui continuò:

«È bello far vedere a qualcuno il ricordo della nascita dei propri figli, ma non a tutti piace vedere un pezzo di essi. Fa ribrezzo a molti» continuò con una risata. «Così, prima che voi nascesse, io e tua madre pensammo ad un modo unico per ricordarci della vostra nascita».

In quel momento la mia curiosità prese il sopravvento e non appena mio padre finì di parlare la aprì. All'interno di quella scarola, sopra il rivestimento di tessuto rosso, c'erano due bisturi d'argento.

In entrambi c'era inciso un nome: Joseph e...Emily.

Emily...era il nome della mia sorellina. Morì tre anni prima ad Indianapolis a causa di un incidente. Beh, io fino ad allora l'ho sempre chiamato incidente ma non era proprio così.

Io ero li quando lei è morta. Quando ha inalato il suo ultimo respiro, io ero li presente. Io ero li è non sono riuscito a fare nulla. Sono rimasto li a fissarla mentre soffriva e non ho fatto nulla.

Ero io il responsabile della sua morte. Non meritavo di essere ancora vivo dopo quello che avevo fatto. Non meritavo di essere felice, di amici o tanto meno di parlarne con qualcuno.

Forse il mio più che un trauma era una punizione verso me stesso.

Doctor Corpse - Le originiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora