Capitolo 10

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Aprì lentamente la porta e, dall'interno della stanza, uscì un dolce profumo. Entrai e rimasi a scrutare la stanza per qualche minuto.

Non so come descriverla, ma era la stanza di una bambina, una semplice stanza. C'erano giochi e peluche dappertutto: sugli scaffali, nel letto, sulla scrivania, perfino a terra. Al centro della stanza c'era un piccola tavolo con un set da tè giocattolo, e le sedie, dove c'erano seduti alcuni peluche, erano disposte in cerchio.

Mi ricordai quando Emily mi costringeva a giocare in quel modo. Mi assillava, e se non riusciva a convincermi, mi faceva gli occhi dolci. A quegli occhi non sono mai riuscito a resistere. I miei genitori avevano disposto tutti i mobili della sua stanza come erano nella vecchia casa. Era tutto così nostalgico.

Passarono una decina di minuti e cominciai a dare un'occhiata alla stanza.

Dopo essere stato li per un bel po' di tempo mi ero ormai rassegnato, come potevo mai parlare con lei, era impossibile.

Però, prima di uscire dalla stanza la mia attenzione si spostò sulla sua scrivania: sopra la scrivania c'era una foto: quella foto raffigurava me mentre la portavo alla cavallina. Eravamo così felici a quel tempo. Oltre alla foto c'erano tutte lei sue favole, fiabe, racconti e vecchi libri di scuola, ma, in mezzo a tutto questo, c'era un libro di troppo.

Lo presi e mi accorsi che non era affatto un libro, ma era un diario. Mi ricordai del perché era li. Glielo regalai al suo ottavo compleanno. Gli piaceva molto disegnare e, da quando aveva imparato a scrivere, scriveva sempre lettere a tutti: compleanni, feste, quando tornavo da scuola o i miei da lavorare, era così dolce e innocente.

Ma non arrivò mai a scriverci sopra, era immacolato.

...

Fissai quel diario per molto, pensando a quello che Emily poteva scriverci e a quanti disegni poteva fare. Questi pensieri mi ricordano alcune parole che mi disse Samantha.

«È vero? Scrivere può farmi sentire meglio o meno triste?» pensai continuando a fissare il diario.

Così decisi, in fondo non avevo nulla da perdere. Presi una penna e cominciai a scrivere tutto quello che mi passava per la testa:

«Ehi piccola mia. Sono io, il tuo fratellone, Joseph. Spero che vada tutto bene dove ti trovi adesso».

Mi sentivo un idiota a scrivere quelle cose.

«Sai...ci siamo trasferiti e adesso abitiamo a Fort Wayne. E' molto bello come posto, non come Indianapolis, ma è carino».

Scrivevo ogni cosa, non riuscivo a fermarmi.

«Papà è diventato un bravissimo dottore, e la mamma ha cominciato a scrivere un romanzo come hobby. Certo non è il massimo ma fa del suo meglio.».

Stavo per cominciare a piangere, ne ero certo.

«Io invece...sono stato vittima di bullismo fin da quanto ci siamo trasferiti qui. Mamma e papà non lo sanno, ma sta tranquilla, adesso va tutto bene. Oh! Ho anche conosciuto una ragazza davvero dolce e...».

Stavo lacrimando ma non riuscivo a smettere.

«Emily...mi manchi, mi manchi troppo».

Era troppo tardi e...

«Emily ti prego...ti prego torna da me!».

Scoppiai in lacrime e comincia ad urlare, tenendomi la testa per il forte dolore.

Ricordo che dopo aver pianto per un buon lasso di tempo posai il diario sopra la scrivania e andai a dormire, ancora in lacrime.

Doctor Corpse - Le originiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora