Capitolo 15

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Non capivo perché la situazione era diventata così angosciante. Tutto quello che aveva detto finora sembrava così normale ma dava una sensazione di disagio e paura. Sensazione del quale adesso capisco bene l'origine.

Il Dottor. Turner continuò il suo discorso e nel frattempo girovagava per la stanza guardando tutto quello che c'era attorno.

«Vedi Joseph...da quando tuo padre si è trasferito qui è diventato il mio mentore. Una persona che mi ha insegnato molte cose e che mi ha fatto capire chi sono realmente" continuò lui con un sorriso in volto.

Sembravano degli elogi che in molti farebbero ad un superiore. Ma lui non finì li e continuò:

«Già...Lui è un medico di successo che è riuscito a raggiungere l'apice scavalcando tutti quelli che lo precedevano. Mentre quelli come me possono solo stare nascosti dietro la sua enorme ed ingombrate ombra»

Il sorriso che aveva prima mentre elogiava mio padre era svanito, anzi, era stato sostituito da un'espressione piene di odio e disprezzo come le sue parole stesse. Non riuscivo a credere che il Dottor. Turner, una persona che mi era sembrata così simpatica e gentile, avesse anche lui un lato così oscuro.

Lui continuò a parlare con quell'espressione disgustosa in volto, ma non ricordo ciò che disse poi perché tutto ad un tratto era come se avessi perso l'udito. L'unica cosa che sentivo era un basso fischio e le parole con il quale mio padre definì il Dottor. Turner. Una persona in gamba e di cui potersi fidare. Erano davvero queste le parole con il quale mio padre lo descrisse? Mio padre conosceva davvero quell'uomo?

Non riuscivo a crederci. Alla fin fine avevo ragione io: a questo mondo esistono solo persone malate, marce dentro e senza nessuno scrupolo.

Però, pian piano mi calmai e smisi di provare qualunque tipo di odio, rancore o disprezzo e cominciai a provare pena per lui. Sembrava un uomo così gentile e furbo, invece era come tutti gli altri.

L'inquietante silenzio sparì e cominciai a risentire la sua disgustosa voce ed i sui discorsi non avevano più senso per me. Non avevo più voglia di starlo a sentire e volevo tornare da Sam, ma lui mi precedette:

«Beh...non ho motivo di lamentarmi ancora con te. In fondo tutto questo sta per finire. Devo solo avere un po' di pazienza ed aspettare il momento giusto» disse lui avvicinandosi a me e poggiandomi una mano sulla spalla.

Stava sorridendo. Ma non era un normale sorriso.

Poi si avvicino un altro  po' e mi sussurro all'orecchio una frase a dir poco provocatoria:

«Sai Joseph, spero che tu sarai presente quando finalmente prenderò in posto di tuo padre, quello che mi spetta di diritto»

Dopo aver detto questo riprese la cartella e si incammino fuori,  ma prima di uscire mi saluto dicendomi in modo molto sarcastico:

«E' stato un piacere parlare con te. Sei davvero un ottimo ascoltatore. Peccato che parli davvero così poco» disse andando via come se no fosse successo nulla.

Era davvero sorprendente come ai miei occhi fosse cambiato così tanto. In quel momento cominciai a perdere del tutto la speranza di riuscire a trovare un singolo essere in grado di non farmi provare disgusto, l'unico raggio di sole in quell'oscurità così fitta era Sam: un'anima innocente e pura.

...

Spensi le luci dell'ufficio ed uscì. 

Volevo tornare da Sam il prima possibile ma mi sentivo parecchio strano, come se qualcosa dentro al mio torace non ci fosse più. Mi sentivo più leggero, ma bruciava molto.

Scesi al secondo piano e andai nei bagni, giusto per darmi una svegliata con un po' d'acqua gelida. Entrai e mi misi davanti alla specchio con il rubinetto aperto. Ero solo...più o meno.

Avevo la testa chinata, fissa sul lavello con l'acqua che gli scivolava sopra. Ad un tratto il senso di bruciore nel mio petto aumentò. Il senso di leggerezza che avevo prima sparì ed era come se fosse stato sostituito da un macigno. Quel macigno era il mio cuore che batteva così forte da sembrare più pesante del previsto.

Il mio respiro si fece affannato ed avevo l'ansia alle stelle. Sudavo freddo. Poi alzai lo sguardo: dietro di me, con le braccia attorno al mio collo come se fosse un cupo abbraccio, c'era Emily.

Ero terrorizzato. Non sapevo che stesse succedendo. C'era silenzio. Lei non accennava parola e in quel momento credevo che fosse solo una mia allucinazione causata dallo stress e dal sonno arretrato, ma non poteva essere quello. Riuscivo a sentire benissimo le piccole e fredde braccia che mi abbracciavano. 

Allucinazione o meno in quel momento non era opportuna, ero già abbastanza agitato a causa di tutto quello che era successo

«E-Emily?» dissi con voce tremante.

Lei non rispose. Era li, aggrappata al mio collo con la testa appoggiata sulla mia spalla mentre fissava il vuoto con il suo volto privo d'occhi. 

Feci un altro tentativo:

«Emily, sei davvero tu?» le dissi mentre con un po' d'esitazione le afferravo le mani che erano davanti al mio petto. Erano come le ricordavo: piccole e aggraziate, ma adesso anche fredde e prive di vita.

Dopo un paio mi minuti, dopo averle afferrato le mani, finalmente disse qualcosa:

«Non sei cambiato per nulla fratellone».

«Cosa?» risposi velocemente io.

«Sei sempre il solito. Sei troppo gentile, non hai il coraggio di reagire e ti fai sottomettere da chiunque. Per questo che la tua vita sta andando a rotoli»

Non riuscivo a credere che quelle fossero parole pronunciate da lei. Ero davvero sorpreso di sapere come io apparissi ai suoi occhi. Ero molto arrabbiato, ma in un certo senso era vero, anzi, c'aveva proprio preso.

Avrei anche accettato quel commento e il fatto che lei si trovasse li se non fosse per qualcosa detta di troppo:

«Ma non è colpa tua fratellone. Sono le persone che ti circondano ad essere cattive. Ecco perché Emily ti aiuterà. Emily si sbarazzerà di tutti, promesso» disse lei con un sorriso in volto. 

In quel momento era certamente sicuro di aver capito male, lo credevo.

«Che cosa stai dicendo?» le chiesi con un tono molto irritato.

«Emily farà in modo che il fratellone non pianga più per nessuno. Il fratellone ha bisogno solo di Emily».

A sentire quelle parole non ci vidi più. Lei non avrebbe mai detto quelle cose. Lei non era più mia sorella minore: era un mostro creato dal mio subconscio, ne ero certo. Volevo che fosse così. Volevo che sparisse.

«Va via» dissi a tono basso.

Lei mi sentì, ma fece finta di non capire e continuò a dire cose inquietanti, ero stufo.

«Non hai bisogno di nessun altro fratellone. Noi staremo sempre insieme. Emily sarà una bra-»

Non finì in tempo la frase che chiusi gli occhi e scaraventai un pugno allo specchio, rompendolo in mille pezzi:

«HO DETTO CHE DEVI SPARIRE. NON NE POSSO PIU' DELLE TUE IDIOZIE. TU SEI MORTA, QUINDI SPARISCI DALLA MIA VITA!» gridai in preda al terrore e alla rabbia.

Ero arrivato al culmine, avevo completamente perso il senno. Quando riaprì gli occhi lei non c'era più, era sparita. Tutto quello che era rimasto era il mio riflesso frammentato nei cocci di vetro ricoperti dal mio stesso sangue.

Uscì dal bagno lasciando tutto com'era e m'incamminai per il corridoio con la mano ricoperta di vetri e sangue, ma non faceva male, al contrario, era un dolore stranamente piacevole. 

Per il momento era tutto finito, ma non ero sicuro di aver fatto la cosa giusta. Ma prima di quel periodo non ero sicuro di nulla e credevo che in futuro non ci avrei fatto peso. 

Mi sbagliavo.

Doctor Corpse - Le originiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora