Capitolo 16

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29 - Ottobre - 2015

Quel giorno pioveva a dirotto e in ospedale c'era un silenzio angosciante. 

Ricordo che mi trovavo seduto in una sedia con la testa poggiata alla finestra, mentre guardavo le gocce scivolare sul vetro.

Ultimamente le cose sembravano andare sempre per il peggio. Le condizioni di Sam non accennavano miglioramenti ed io non riuscivo a dormire granché. Mi sentivo davvero a pezzi.

6 - Novembre - 2015

Più il tempo passava, più Sam peggiorava. Non era normale.

Per tutta la settimana che aveva preceduto questo giorno avevo svolto numerose ricerche sul coma farmacologico o su un eventuale trauma, ma Sam non sembrava soffrisse di quello.

Ero piuttosto stanco della situazione così andai da mio padre e gli chiesi delle spiegazioni. Una volta arrivato nel suo ufficio entrai immediatamente.

Mio padre alzò la testa e mi guardò stupito:

«Joseph, che ci fai qui? Pensavo avessi intenzione di restare con Samantha fino a stasera» disse lui sorridendomi.

Non ero dell'umore giusto per essere trattato da bambino anche in quel momento così andai subito al sodo:

«Perché Samantha sta peggio di prima? Perché è passata più di una settimane e non ha fatto alcun miglioramento? Dimmi la verità: lei si riprenderà, vero?» chiesi io ormai rassegnato.

Mio padre mi guardò negli occhi senza accennare la minima espressione e mi disse semplicemente: «Non l'ho so».

Tutto li. Tutto quello che mio padre riuscì a dirmi erano quelle parole. Inizialmente non dissi nulla e m'incamminai fuori. Però, mentre chiudevo la porta alla mie spalle, dissi ciò che pensavo:

«Il dovere di un medico e quello di prendesi cura dei suoi pazienti...tu non ne sei stato capace.»

Quella fu la nostra ultima discussione e le ultime parole che gli dissi. Per i giorni a seguire avrei ignorato mio padre, senza rivolgergli minimamente la parola, fino alla fine.

11 - Novembre - 2015

Erano circa le 06:00 del pomeriggio ed io dormì nella stanza di Sam passando quindi la notte in ospedale. Mi sentivo abbastanza stanco e avevo bisogno di cambiarmi, così pensai di andare a casa per fare una doccia e di tornare più tardi in ospedale.

Mio padre era già andato via avendo probabilmente finito il suo turno, così non avetti altra scelta che tornare a casa a piedi. La strada più veloce per tornare a casa sarebbe stato il sentiero all'interno della Black Forest, ma essendoci passato già una volta sapevo quanto fosse impercorribile ed inquietante quel sentiero, così optai per la strada più lunga ma indubbiamente più sicura. 

Per tutto il tragitto, per qualche ragione, cominciai a pensare a mio padre e a quello che gli dissi. Avevo sempre avuto molta stima di lui e ovviamente non pensavo che la colpa di quello che era accaduto a Sam fosse sua. Ci pensai molto e alla fine scelsi di scusarmi non appenai fossi arrivato a casa.

Ero quasi arrivato, mancavano solo un paio di isolati e finalmente mi sarei scusato con mio padre per il mio comportamento. Ne ero sicuro, almeno fino a quando una macchina della polizia non interruppe i miei pensieri. 

C'era molto trambusto e tutti i residenti del quartiere si trovavano fuori dalle loro abitazioni intendi a discutere tra di loro. Non capivo che stesse succedendo e nel frattempo altre macchine della polizia continuarono a sfrecciare in strada andando tutte verso una direzione. All'inizio pensai che ci fosse stato un qualche incidente automobilistico o un furto, ma la conferma mi venne data da due donne che si trovavano nella casa di fianco a me:

«Guarda, è lui. Il figlio del Dr. Miller» disse la prima donna.

Stavano indubbiamente parlando di me. Volevo chiedere delle spiegazioni sull'accaduto ma prima che potessi anche solo voltarmi la seconda donna rispose:

«Povero ragazzo, non sai quanto mi dispiace. Entrambi i genitori...in quello stato poi».

Mi paralizzai. Sentì il mio cuore cominciare a battere all'impazzata e il respiro affannarsi. Mi voltai e fissai le donne negli occhi. Dal loro sguardo intuì qualcosa di davvero spiacevole e senza accorgermene cominciai a correre verso casa. 

Il mio cuore non voleva decelerare, andava all'impazzata. Continuai a correre senza fermarmi, pregando che non fosse successo nulla, sperando che fosse tutta una menzogna. Ma non era così.

Ero arrivato di fronte a casa mia. Il vialetto era circondato da machine della polizia e gente che guardava sconcertata. Io mi avvicinai ancora con il cuore a mille e mi feci strada tra la gente. Una volta arrivato tra le prime file li vidi.

I miei genitori, le persone che mi avevano cresciuto e mi avevano amato indipendentemente da ciò che facessi, giacevano sulla veranda di casa, senza vita e completamente ricoperti di sangue.

Caddi in ginocchio e mi paralizzato alla vista di quella scena. Non riuscivo a crederci, per me era tutto un incubo. I miei occhi cominciarono a riempirsi di lacrime e le mie mani a tremare. Non sentivo nulla, a parte uno strano picchiettino sopra di me. Alzai lo sguardo e, nella finestra che dava alla camera dei miei, c'era una piccola figura.

La figura in questine, con le mani ancora sporche di sangue, scrisse una frase sul vetro, prima di scomparire:

«Perché non giochi con me?»

In quel momento senti la testa scoppiare e cominciai a gridare, tenendomi la testa tra le mani. Ero prono al suolo, gridando e piangendo come un'ossesso. 

Anche il mio cuore, che prima batteva all'impazzata, si era fermato.


Doctor Corpse - Le originiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora