Capitolo 5

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Era già passata l'ora di pranzo quando mio padre venne a prendermi. Salutai mia madre ed uscì di casa dirigendomi verso la macchina.

«Scusa per il ritardo. Ho avuto delle cose da fare e sono stato trattenuto» si scusò mio padre non appena entrai in macchina.

 Uscimmo velocemente dal vialetto andando verso l'autostrada che portava all'ospedale. Ci sarebbe voluto un po' prima di arrivare quindi cercai qualcosa per ammazzare il tempo.

Cominciai ad osservare fuori dal finestrino guardando quello che si trovava oltre la staccionata dell'autostrada. C'era solo una fitta foresta piena di altissimi alberi, oltre quello nulla.

«Ti piace proprio la foresta vero?» disse sarcastico mio padre cercando di farmi distogliere lo sguardo dal finestrino.

In realtà ero davvero incuriosito. La chiamavano Black Forest. Passando da quella foresta si poteva raggiungere l'ospedale semplicemente andando dritto da casa mia. In poche parole era una scorciatoia per arrivare subito in posti molto distanti tra loro. Ma è più entrato in quella foresta per via della fitta vegetazione che aveva reso quel posto davvero scuro, come se li dentro il giorno non esistesse.

Ma a parte la possibilità di usare quella foresta come scorciatoia mi incuriosivano molto di più le storie legate ad essa.

Si vociferava su internet di uomini privi di tratti somatici del volto in giacca e cravatta che rapiscono bambini, incendi provocati di proposito da taniche di benzina, donne uccise e stuprare ritrovate tutte con una rosa rossa o blu.

In somma, quella foresta era luogo di molti miti e tragedie, anche se molto probabilmente non era quella la foresta che ospitava tutte quelle storie.

Osservavo quella terrificante foresta continuando ad avere una strana sensazione mentre ripensavo a quei racconti così macabri ed inquietanti.

Odiavo quelle storie. Attiravano lettori che voleva solo sentire sventure su persone innocenti. Morte, stupro, vandalismo, rapimento, vendetta, insomma tutto quello che poteva farti salire l'adrenalina era ben accetto. Chi scriveva certe cose era gente malata. Come ci si poteva aspettare da qualcuno che uccideva senza una motivazione.

Odiavo DAVVERO quelle storie. Ma ero il primo a leggerle...

Dopo un paio di minuti arrivammo a destinazione. Lasciai quella strana sensazione alla spalle e mi concentrai semplicemente sul motivo per cui ero li, la visita completa dell'ospedale. Era un enorme struttura piena di finestre e con un ingresso abbastanza ampio. Rimasi a fissarla per un po' di tempo prima di uscire dall'auto e dirigermi con mio padre verso l'ingresso.

Appena entrai notai che la sala d'attesa era arredatissima di scaffali con libri, poltrone e distributori di caffè e vivande di ogni genere.

«Un posto davvero confortevole» pensai fissando la gente che, anche avendo fasciature o gessi, era tranquilla e rilassata.

«Gli altri ospedali hanno molte sezioni nello stesso piano, invece questo ha un piano per ogni sezione specifica. Qui, oltre a gestire le telefonate di soccorso e la gente che arriva, trattiamo i pazienti con fratture, lesioni o altri casi minori. Andiamo! Ti faccio fare il giro e poi saliamo al secondo piano» mi disse mio padre.

Mi fece fare il giro di tutto il piano ma, non trovandolo particolarmente interessante, non prestati molta attenzione. Salimmo al secondo piano e li era dove si trovavano tutte le stanze dove potevano riposare i pazienti dopo anestesia, operazioni, trattamenti e quant'altro.

Si poteva sentire che l'aria di tranquillità che si respirava prima era svanita quasi del tutto. I medici e i pazienti, così come i parenti o conoscenti venuti a trovarli, erano calmi e turbati allo stesso tempo. Come giustificarli. Tutti si sentirebbero stressati a restare fermi su un letto d'ospedale o turbati a vedere un amico che sta male.

Quel piano era davvero affollato, ma l'ordine non mancava. Le stanze erano contrassegnate con i nomi dei pazienti ed erano tantissime e abbastanza lontane l'una dall'altra.

Non appena mio padre ebbe finito di accertarsi che i pazienti ricoverati nelle loro stanze avessero tutto quello di cui avevano bisogno, prendemmo l'ascensore e salimmo al nostro ultimo piano. Erano rimasti ancora molti altri piani ma mio padre si occupava del terzo quindi ci dirigemmo li.

Arrivati li l'atmosfera cambio del tutto. Si riuscivano a sentire i medici dalle sale operatorie gridare cose del tipo: "Il suo battito cardiaco è stabile" o "Presto! lo stiamo perdendo".

In quel piano si trovavano tutte le varie sale operatorie e le strumentazioni.

Era quello il piano che suscitava il mio interesse e, insieme all'interesse, la stessa sensazione che avevo provato guardando la Black Forest. Un senso d'ansia unito ad un pizzico di eccitazione, qualcosa del genere.

Uscito dell'ascensore cominciai ad incamminarmi con mio padre in quel lungo ed ampio corridoio. Tolte le voci dei medici, che risuonavano dalle sale operatorie, non c'erano altri rumori e, quasi nel totale silenzio, continuammo a camminare per quel corridoi per un po'.

«Dr. Miller!» gridò una voce interrompendo il silenzio.

Era una delle infermiera, sembrava piuttosto agitata.

«Dr. Miller! Le ferite di uno dei pazienti della stanza 15-D si sono riaperte. Gli altri medici stanno operando e non trovo il Dr. Turner da nessuna parte!» disse velocemente l'infermiera.

«D'accordo, ci penso io. Joseph io devo andare. Medison ti porterà nel mio ufficio. Tu aspettami li.» disse mio padre dirigendosi subito dopo verso l'ascensore.

Non cercai di fermarlo. Era il suo lavoro e non potevo permettermi di distrarlo facendo il bambino capriccioso.

Così l'infermiera mi portò nell'ufficio di mio padre e mi disse anche lei di aspettare li.

Era un ufficio davvero grande e arredato in maniera molto elegante. Appese al muro c'erano targhe, riconoscimenti, diplomi e molto altro. Ma la cosa che mi stupiva di più erano le foto che aveva fatto con alcuni dei suoi pazienti più celebri tipo cantanti, attori perfino politici.

Una foto in particolare aveva attirato la mia attenzione, la nostra ultima foto di famiglia.

Una foto in particolare aveva attirato la mia attenzione, la nostra ultima foto di famiglia

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In quella foto...lei era ancora viva.

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