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Gennaio 2016.

Il rumore della pioggia che sbatteva sull'asfalto mi svegliò da un sonno profondo e tranquillo. Aprii delicatamente i miei occhi e allungai la mano per prendere il mio orologio e guardare l'orario: 6:45. Presi e baciai come sempre la piccola cornice il quale ritraeva il mio papà, mi alzai con il busto e rimasi seduta sul letto, soffermandomi un po' a guardare fuori dalla finestra, ammirando il cielo che fungeva da tetto sulla tranquilla e meravigliosa Torino; era di un grigio strano, elegante e bizzarro al tempo stesso, sarebbe potuto sembrare inquietante un po', ma a me trasmetteva pace, tranquillità, come se dicesse "è tempo di stare a casa, con in mano una tazza fumante di tè, con accanto la persona che ami".
Mi alzai e mi diressi verso il mio armadio, ancora mezza addormentata: ogni mattina era il solito dramma, "cosa indosso oggi?", come se il mio armadio, così come l'armadio di tutti gli essere umani di razza femminile, non fosse mai pieno, come se lo vedessimo sempre vuoto e spoglio.
Dopo circa 5 minuti di meditazione sui vestiti da indossare, optai per un semplice jeans color sabbia a vita alta aderente e una maglietta nera con scollatura a V, anch'essa aderente, la quale avrei messo dentro il pantalone.
In punta di piedi per non svegliare mia madre, mi diressi in bagno. Entrai nella doccia e mi immersi nell'acqua calda, liberando la mente da ogni tipo di pensiero, dando spazio ad una piacevole sensazione di relax.
Finito di sciacquare i miei lunghi e corposi capelli castani, uscii dalla doccia, presi l'accappatoio e me la adagiai sul corpo, prendendone una più piccola per i capelli.
Mi asciugai completamente e mi vestii, per poi ritornare nella mia stanza. Infilai le mie Dr Martens nere e ritornai in bagno per asciugare i miei capelli, lasciandoli mossi sulle spalle, un filo di mascara, rossetto e via, pronta.
Scesi in cucina e vi trovai mia madre, intenta a preparare il caffè.
«Oh, che buon profumo.» dissi, avvicinandomi a lei per darle un bacio ed un piccolo abbraccio.
«Oh, buongiorno Maria, dormito bene?» rispose, ricambiando l'abbraccio.
«Si, grazie tante.» dissi sedendomi a tavola, trovandomi un sacco di ben di Dio davanti ai miei occhi.
Fece lo stesso anche lei e, in silenzio, consumammo la nostra colazione. Mia madre, Susanna Pittore, insegnava italiano in una scuola media, era una donna molto silenziosa, non parlava molto, ma ascoltava tutto, anche il più flebile sussurro o rumore. Era autoritaria, eccellente dal punto di vista intellettuale e civile, una donna la quale teneva ai valori veri. Aveva una passione sfrenata per la letteratura italiana, per lo studio e per questo ho sempre fatto di tutto affinché avesse una figlia la quale fosse una studentessa modello, ed era bellissimo constatare ogni giorno che ci ero riuscita alla grande. Era una donna bellissima; aveva gli occhi blu, come i miei, dei capelli lunghi e biondi e una carnagione bianca, ma le sue guance erano rosa pastello.
Il suo corpo era slanciato e, a differenza mia, era molto alta.
Molti uomini le sono sempre corsi dietro, ma lei non aveva mai voluto averci qualcosa a che fare- almeno fino ad ora- nonostante avrei voluto fosse il contrario.

Consumata la mia colazione, andai in bagno a lavarmi i denti, presi zaino, telefono, chiavi di casa e misi la giacca nera di pelle, per poi scendere.
«Ciao mamma, io vado.» urlai dal salone, in attesa di una sua risposta.
«Ciao, tesoro, mi raccomando!» urlò a sua volta e uscii di casa.
Erano le 7:40, giusto in tempo per l'arrivo dell'autobus. Salii e andai a sedermi al mio solito posto, terza fila a destra. Mi sedetti e infilai le mie cuffie, facendo partire la canzone mia e di mio padre, "No air", di Chris Brown, il suo cantante preferito. Sorrisi e appoggiai la testa sullo schienale, lasciandomi andare ai ricordi, l'unica cosa che mi rimaneva.

Dopo 20 minuti, arrivai a scuola e venni praticamente buttata giù da una delle mie più care amiche, nonché compagna d'infanzia di figure di merda colossali, Diana.
Diana, assieme a me, era una delle ragazze più "normali" della mia compagnia; eravamo le uniche ad essere senza nessuno, ci bastavamo l'un l'altra, ci sostenevamo, le uniche a non aver mai avuto avventure con ragazzi, le uniche con dei sani principi, le uniche ancora "in fiore", le uniche intelligenti, oserei dire.
Aveva un carattere piuttosto forte, come il mio, ma nel profondo era molto, ma molto dolce e debole. Un po' come un cioccolatino; duro e perfetto fuori, ma profondo e dolce all'interno. Oltre ad essere una ragazza con dei buoni principi e obiettivi, era anche una bella ragazza; alta, magra ma con le forme al punto giusto, capelli lunghi rosso fuoco, occhi grandi e verdi e un paio di labbra carnose, come le mie.
«Stronzettaaa, devi aiutarmi con il compito di spagnolo, ¿vale?» mi disse, guardandomi con la faccia da cane bastonato, parlando con l'accento spagnolo nel finale, misto al nostro accento piemontese.
«Mmmh, non saprei.. Potrei anche non farlo..» ribattei, mordendomi il labbro e ridendo sotto i baffi.
«Non fare la stronza!» sbattè i piedi per terra come una bambina ed io non potei fare a meno di ridere.
«Sto scherzando, stupida! Ti aiuto dai tempi delle medie nei compiti, ti pare che smetta di farlo adesso?» dissi, allungando le braccia per abbracciarla, data la notevole differenza d'altezza tra me e lei.
«Ti amo, lo sai» ricambiò l'abbraccio ed insieme, mano nella mano come facevamo ai tempi dell'asilo, appena la campanella suonò, entrammo in classe, la nostra classe, la 5ªF.
Entrammo e ci andammo a sedere al nostro posto; il quarto banco dell'ultima fila a sinistra.
Ci sedemmo e guardammo gli altri entrare; 13 cagne e 3 maiali, gli unici maschi della classe.
La troietta della classe si venne a sedere al suo posto, davanti a me e Diana, con il suo compagno di banco, nonché cane da passeggio. Fece una smorfia e, nel mentre gli altri si stavano sistemando, entrò la professoressa di Spagnolo, Eliana Loiacono.
Una donna sui 36 anni, alta, formosa, aveva dei capelli neri rigorosamente corti sulle spalle e lisci, con una frangetta perfettamente tagliata. Occhi neri, labbra fine, un viso rotondo accompagnato da un paio di occhiali neri e bianchi.
«Buenos días, chicos. Os podéis sentar.» disse e ci sedemmo.
«Bene, pronti per il compito? Vi ho già detto che sarebbe stato sulle opere di Gabriel García Marquez, vi siete concentrati su quello o avete fatto come faceste il mese scorso, studiando solo un autore quando vi ho detto che sarebbe stato su 3 autori completamente diversi?» disse, sedendosi e aprendo la sua valigetta, traendo dei fogli.
Tutti scoppiammo a ridere per ciò che disse, anche se alcuni erano preoccupati.
Avrei scommesso tutta la mia vita che da lì a poco mi sarebbero arrivati fogliettini oppure avrei iniziato a sentire nominare il mio nome in silenzio, accompagnato da un "aiutami".

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