«Io ti ho salvata.»

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8.

Passarono 2 settimane da quel giorno, quel giorno in cui mi accorsi di quanto quel ragazzo mi stesse cambiando la vita, di quanto stesse cambiando il mio modo di concepire il mondo, di pensare le cose, vederle.
In quelle settimane trascorse insieme a lui, quasi tutti i pomeriggi trascorsi insieme, a ridere, a fissarsi, contemplarsi, sorridersi, viversi, guardarsi in un modo proibito, a volte, sfiorarsi, mi accorsi di quanto Álvaro stesse diventando parte integrante della mia vita, il meglio che potesse capitarmi. Si, il meglio, il meglio del meglio.
Per me, Álvaro era meglio del Natale, del conto alla rovescia a Capodanno, dei falò a Ferragosto, del mare, dell'estate, degli amici, di un 7 in latino, della voce di Adele, di Eminem, di Skrillex, di Sia, dei Coldplay, l'accento spagnolo di Enrique Iglesias, dei capelli rossi di Ed Sheeran. Meglio delle Madaleine, del Mc, delle patatine fritte, delle caramelle gommose. Meglio del bacio sul Titanic, di Big Bang Theory, Grey's Anatomy, dei baci sul collo, sulla fronte e della corsa di Forrest Gump. Meglio degli abbracci, dei messaggi chilometrici. Meglio della cioccolata calda in un pomeriggio nevoso di Dicembre, dell'aurora boreale, di una notte stellata, dell'alba, dei tramonti sulla spiaggia, delle buffe forme delle nuvole, degli aerei che rigavano il cielo. Meglio di Tokyo, Londra, Roma, Time Square. Meglio delle risate, dei baci, dei morsi sul collo, dei grattini, dei massaggi sulla schiena, dell'aria imbronciata di James Dean. Meglio dell'esame di maturità, della musica latina. Meglio dei baci sotto la pioggia, del Colosseo, della Fontana di Trevi. Meglio di fare l'amore, lì sulle scale e farlo forte a causa di essersi mancati, meglio di un orgasmo, di quelli forti, intensi, quelli che per un attimo ti facevano scordare chi fossi, che ti facevano contorcere le gambe e ti facevano urlare. Meglio del sesso orale, dei baci con la lingua. Meglio di camminare a piedi nudi, della colazione a letto, delle coccole, di stare svegli fino a tardi, dei messaggi scritti nel cuore della notte con la paura di innamorarsi, stare al telefono per ore, dei "ti amo", di giocare a Dead or Alive. Meglio di Avatar, della foresta di Pandora e la sua flosfuorescenza, del thè delle cinque, delle buone notizie. Meglio dell'attesa prima di uscire, del primo concerto dal vivo, di un paio di scarpe nuove, di un iPhone 5, ballare per casa, cantare a squarciagola in macchina, delle montagne russe, del solletico sulla pancia. Meglio, lui era il meglio del meglio.
Adoravo il modo in cui mi guardava mentre ero distratta, nervosa. Mi guardava in un modo, in quel modo in cui le persone ti guardavano quando non sapevano cosa fare, cosa dire, ma volevano stare con te. Adoravo il modo in cui mi prendeva la mano all'improvviso mentre camminavamo in mezzo alla strada. Adoravo il suo sorriso, e mi piaceva pensare che solo a me sorridesse in quel modo. Adoravo quando all'improvviso, mi abbracciava, come se volesse proteggermi dal mondo, come se volesse farmi capire "qui sei al sicuro, ci penso io a te, d'ora in poi." E poi, la cosa più importante, adoravo il modo in cui mi sentivo io, in tutti quei momenti, quando stavamo assieme. Sempre.

Iniziammo ad essere in simbiosi, c'era qualcosa che cresceva dentro, che spingeva l'uno verso l'altro, quel "qualcosa" che non aveva ancora un nome, o meglio, non eravamo ancora riusciti ad attribuirgliene uno, ma sapevamo benissimo cosa fosse, di cosa si trattasse.
Non passava un attimo in cui non ci sentivamo e su 14 giorni, solo 3 non eravamo usciti.
Diana fu accontentata; 3 giorni fa, uscimmo io, Álvaro e lei.
Le piacque, sia esteticamente che caratterialmente. Parlammo molto, scherzammo e la cosa più bella di quella serata fu quella di sentire la propria migliore amica dire "ti guarda come se non avesse mai visto niente di più bello in tutta la sua vita, e questo è solo l'inizio."
Ed era questo, ciò che adoravo; gli inizi. Il cuore che batteva un po' troppo forte quando ci incontravamo, toccavamo, guardavamo. Il nervosismo, l'impulso di portarsi il pettine in borsa per i capelli sempre in disordine, il rossetto. I sorrisi, che erano timidi ma pieni di vita e che nascondevano un sacco di paure, paure che dovevano essere affrontate assieme. Il sussurarsi cose all'orecchio, il sussultare ogni volta che lo si faceva. Le occhiate, occhi contro occhi, gli sguardi in posti proibiti. E la voce, che non aveva mai smesso di tremare. Gli inizi. Le speranze di un qualcosa di nuovo.
Mi conosceva come nessun altro. Se c'era qualcosa che adoravo particolarmente di lui, era il suo conoscermi; traduceva ogni mia smorfia, ogni mio sguardo. Sapeva cosa volevo dire anche nel mio silenzio. Ecco, adoravo sopratutto questo, lui mi conosceva come nessun altro. Mi accettava per quella che ero.
A volte mi frenava, alcune cose le ignorava, altre non le mandava giù.
Ma la perseveranza con cui mi restava accanto era la dimostrazione che con lui potevo essere me stessa. Perché lui era questo che fece; era riuscito a farmi ritornare me stessa.
Con lui era diverso.
Non intendevo il rossore, quello sarebbe potuto emergere anche dopo una gaffe. Non intendevo il cuore a mille, i battiti accelerati sarebbero anche potuti essere sintomo di paura o di un mancamento. E non intendevo nemmeno le cosiddette "farfalle nello stomaco" anche perché le uniche farfalle che ingeriamo sono quelle della Barilla.
Intendevo il modo in cui iniziavo a distinguere lui dal resto dell'umanità. Da una parte l'universo, dall'altra lui.
Quando parlavo con le persone, tendevo sempre a porre una sorta di filtro ai miei pensieri. Amavo starmene tranquilla ed in silenzio, non dicevo mai tutto ciò che pensavo, non mi esprimevo come volevo.
Con lui ero io. Nel bene e soprattutto nel peggio. Mi elevava, mi migliorava. Non avevo mai sopportato il contatto fisico per più di cinque minuti, ed invece avrei dormito tra le sue braccia per tutta la vita. Álvaro era una continua ricerca del piacere. Gli avevo detto questo mio "disagio", ossia che odiavo le persone che respiravano semplicemente vicino a me. Sentire il respiro di qualcun altro vicino a me tendeva a darmi il voltastomaco. Fin quando non arrivò lui; adoravo sentire il suo respiro sul collo quando mi abbracciava.
Con lui sarebbe sempre stato diverso, stava iniziando a prendersi tutto di me, il mio meglio. Iniziava ad essere me, la mia persona.
Quando ero con altre persone, avevo bisogno di lui, mi mancava come l'aria. Ma quando ero con lui non avevo bisogno di nessuno. Mai. Perché lui, lui aveva portato l'aria nella mia vita, mi rese capace di tornare a respirare come una volta.

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