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Maria:

Mi svegliai con un mal di testa terribile, mi sentivo come se mi avessero presa a martellate dalla cervicale in su. Aprii gli occhi lentamente e mi ritrovai in una casa a me completamente sconosciuta; ero distesa su un letto matrimoniale, con delle lenzuola bianche e un piumone nero. Ai lati del letto, c'erano due comodini color panna non troppo grandi e a destra c'era un armadio anch'esso bianco a due ante, ben elaborato, a schizzi color oro, per fare contrasto con il lampadario dello stesso colore. Di fronte l'armadio c'era uno specchio e a sinistra c'erano due poltrone in pelle, una bianca ed una nera, dove al centro risiedeva un tavolino piccolo e grazioso. Il pavimento era anch'esso di color panna e tutta la stanza era nel complesso calda, grande ed accogliente.

La testa pulsava tantissimo, non ricordavo assolutamente niente della sera precedente e l'unica mia preoccupazione era solo ed esclusivamente una: dove mi trovavo?

Mi alzai con il busto e presi il telefono sul comodino; erano le 8:05 e mi ritrovai più di 20 chiamate e 100 messaggi da parte di Diana e mia madre.
Non avevo voglia di leggere nè tantomeno parlare e quindi, sbuffando, lo riappoggiai.
Decisi di alzarmi ed esaminare la casa in cui mi trovavo e sopratutto chi mi ci aveva portato, ma non appena appoggiai i miei piedi nudi sul pavimento gelato, la porta si aprì e non potei credere a ciò che stavo vedendo: era il ragazzo del supermercato con solo i boxer addosso, i capelli arruffati, un vassoio in mano con sopra del succo di frutta all'arancia ed un cornetto vuoto con dentro della Nutella. Mi sorrise appena mi vide, ma io non feci altrettanto.
«C-cosa ci faccio qui? E perché tu sei in quello stato? Cos'è successo ieri sera? E io e te abbiamo dormito insieme? ODDIO!» lo guardai attentamente, mentre lui non smetteva di mordersi il labbro e fissarmi.
Dio, ti prego, smettila.
Appoggiò il vassoio sul tavolino, per poi portarsi indietro il ciuffo con le mani e raggiungermi lentamente e in un modo maledettamente sensuale. Ora ero io quella che lo fissava mordendosi il labbro.
«Eri ubriaca e non eri in condizione di stare in piedi, stavi per cadere dalla troppa debolezza, ti ho presa, ti ho portata qui e si, abbiamo dormito insieme, ma non abbiamo fatto niente. Tu dormivi profondamente ed io ero troppo impegnato a guardarti.» disse, con quella voce così angelica e quell'accento spagnolo, guardandomi intensamente negli occhi, mentre si venne a sedere di fronte a me, presentandosi con quei pettorali super scolpiti e quegli addominali disegnati.
Stavo per morire dell'imbarazzo, sia per la figura di merda che avevo fatto la notte scorsa e sia per la distanza ravvicinata, lui se ne accorse e sorrise malizioso.
«Sai.. Volevo tanto vederti di nuovo, dopo il nostro ultimo "incontro" o, per meglio dire, scontro, sei scappata senza neanche dirmi il tuo nome, o che ne so..» si bloccò, concentrandosi sui miei occhi.
Passammo qualche secondo così, in silenzio, in un imbarazzantissimo silenzio.
Avrei guardato quei occhi tutto il tempo, senza mai stancarmi. In quei occhi marroni io ci vedevo il mare, e quando vedevi il mare in paio di occhi marroni, eri fottuta.
Ero confusa, stordita, la mia testa pulsava, non ci capivo quasi niente, ma ero felice di essere lì; il fatto che lui mi avesse portata a casa sua, il fatto che si fosse ricordato di me, il fatto che mi avesse sfiorata, toccata, accarezzata. In fondo, era quello che volevo anche io, anche se non avrei voluto che il nostro incontro accadesse necessariamente in quel modo.
Distolsi lo sguardo dai suoi occhi così maledettamente belli e mi concentrai sulle mie dita, che in quel momento erano diventate molto invitanti.
«Non pensavo ti ricordassi di me.. Cioè, voglio dire.. In fondo mi hai vista per dei pochissimi minuti, secondi oserei dire..» parlai e non riuscii a controllarmi dal gesticolare per il troppo nervosismo, mentre sentivo il suo sguardo bruciarmi interamente.
«Scordarmi di due occhi come i tuoi? E chi riuscirebbe mai? Ho passato il resto del tardo pomeriggio e la sera fino a quando ti ho vista a pensarli, a pensarti.» disse, alzandomi il mento con due dita, costringendomi a guardarlo.
Mi spostò una ciocca di capelli la quale mi si mise davanti agli occhi e me la mise dietro l'orecchio, provocandomi brividi, per quel suo tocco.
«Anche io.» lo dissi senza pensarci due volte, guardandolo negli occhi. Si morse il labbro, guadando le mie.
Si formò un'atmosfera strana, ma bellissima allo stesso tempo. Non saprei esattamente descrivere cosa provavo per quel ragazzo, cosa sentivo quando mi sfiorava. Ma una cosa era sicura; mi provocava sensazioni che nessuno m'aveva mai fatto provare prima.
«Adesso me lo dici come ti chiami?» mi domandò.
«Maria, mi chiamo Maria. E tu?» lo guardai attentamente e appena dissi il mio nome parve deluso.
«Álvaro, sono Álvaro M-» si bloccò prima di dire la fine del suo nome.
«Come?» gli domandai, incitandolo a continuare.
«No, niente, tranquilla.» mi sorrise, ma sembrava un po' confuso.
«Oh, okay.. Álvaro, eh? Sei italiano?» gli domandai, mentre lui si alzò per andare a prendersi un pantalone in tuta grigia nell'armadio.
«No, Maria, sono nato in Spagna, a Madrid.» mi rivolse uno sguardo mentre si mise i pantaloni, che gli mettevano in risalto quella V decisamente perfetta e provocante.
Diceva così bene il mio nome, usciva come poesia dalle sue labbra, quelle labbra che ispiravano solo baci, morsi.
Era fottutamente bello, bello da morire.
«Lo avevo intuito. E dimmi Álvaro, perché sei qui?» dissi, toccandomi freneticamente i capelli.
«Oh.. Ehm.. Cioè, si.. Ecco.. Venni a fare una gita quando avevo 18 anni e mi piacque da morire Torino, perciò mi trasferii ed ora abito ufficialmente qui da 5 anni..» mi sembrò agitato ma decisi di non darci troppo peso.
«Oh, wow, quindi hai 23 anni.» dissi semplicemente e lui annuì.
«E tu?» andò e prendere il vassoio e lo portò sul letto, invitandomi a mangiare.
«Oh, beh.. Mi chiamo Maria e ho compiuto 18 anni da 2 mesi. Sono nata qui e vivo con mia madre, frequento un liceo linguistico e, per tua fortuna, amo lo spagnolo da sempre e lo parlo perfettamente, potrei definirmi quasi una spagnola. Studio la letteratura, mi appassiona e beh.. Studio molto in generale, mia madre pretende molto da me.» mi guardò attentamente e sembrò interessato.
Morsi il primo boccone del cornetto preparato da lui, mentre mi fissava ed io divenni rossa, rossa peggio di un pomodoro. Ci guardammo e scoppiò a ridere.
Dio, quella risata.
«Questo vorrà dire che parleremo spagnolo di tanto in tanto. ¿Quieres?» domandò, sorridendo compiaciuto.
«¡Claro que sí!» ridemmo ed io mi persi nell'ascoltare quella risata, quella risata così dolce.

Hero. ||Álvaro Morata||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora