Capitolo 1

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La sveglia suonò. Da sotto le coperte le sfuggì un gemito, un rantolìo. Non poteva già essere mattina. Si era addormentata solo poche ora prima, alle quattro. Ed erano le sei. E cominciava la scuola.

Sonia aveva sempre odiato la scuola. No, non pensate fosse una di quelle bimbette che si credono fighe ad affermare il loro odio per lo studio con post sgrammaticati sui social. A lei piaceva studiare, le piaceva imparare cose nuove, pure che fossero cazzate. Le piaceva avere tante nozioni, saper scrivere bene, non dovere avere dubbi sull'apostrofo del "po'" o su quando scrivere "gli" o "li"; errori che non riusciva a sopportare sugli scritti degli altri. Le piaceva comprendere le origini delle ideologie, delle parole, della sua nazione e la sua gente, non per nulla storia era la sua materia preferita. In questo modo, quando si principiava una discussione, avrebbe avuto degli argomenti da poter esporre, abbastanza materiale per sostenere le proprie tesi. Se non fosse così timida e insicura, certo.

Semplicemente non le piaceva la scuola come struttura, come organizzazione e come concetto. Obbligare dei ragazzi ad impegnarsi anche in materie che palesemente non sono gradite (a livello soggettivo), assegnare loro un numero in base alle loro prestazioni, a volte sbagliando per pigrizia, per antipatia, e a causa di un'ingiustizia obbligarli a farsi il culo in qualcosa che non gli piace per non dover passare l'estate in casa a studiare. Chiamarli non con il loro nome proprio ma nel modo più impersonale possibile, con il cognome o peggio ancora con un numero, quello dell'ordine alfabetico. Questi professori, che vengono messi lì a dare l'esempio ma se scorgono due ragazzi fare rissa quando sono di fretta tirano dritto. Che schifo, doverci passare ancora quattro anni.

Era immersa in questi pensieri quando si accorse che il pullman sarebbe passato alla fermata in dieci minuti. Il massimo che era riuscita a fare era stato lavarsi i denti e infilarsi un calzino.

Saltò quindi la colazione e la puntatina al bagno, indossò i leggins in cima alla classica sedia stracolma di vesiti che tutti abbiamo, e una felpa grigia con un albatros sul petto. Si legò i capelli ricci in una crocchia disordinata e fu quando si abbassò per raccogliere l'elastico che era caduto che si accorse che i pantaloni erano scuciti sul cavallo.

"Vaffanculo" borbottò, agguantò l'EastPak, si infilò le Vans che per fortuna non necessitavano di essere allacciate, uscì di casa e si mise praticamente a correre.


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