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Non avevo mai ragionato così a lungo su cosa indossare come quella sera, non volevo essere attraente, volevo essere irresistibile. In qualche modo sentivo che quella cena sarebbe stata "la cena" e per questo volevo essere sicuro di fare un'ottima prima impressione sugli ospiti di Francesco, non lo facevo per loro, sia chiaro, lo facevo per lui. Volevo che fosse fiero di me che, senza troppi giri di parole, fosse orgoglioso di poter dire al mondo che io ero roba sua.

Non so neanche quante giacche diverse provai, ogni dettaglio poteva fare la differenza e io non volevo assolutamente correre il rischio che qualcosa andasse storto. Era tutto davvero troppo importante per essere anche solo un po' meno di perfetti.

Mi ci volle più tempo e decisamente più fatica del previsto ma quando ebbi finito a stento riuscivo a riconoscermi, sembravo avvenente, determinato, il padrone del mondo. Ero affascinante, più affascinante di quanto fossi mai stato e questo mi compiaceva, era il mio momento.

Guidai con la musica a tutto volume fino al castello e la spensi solo quando la guardia al cancello d'entrata mi fece cenno di abbassare il finestrino per chiedermi il documento di riconoscimento per accedere oltre. Era strano... non mi chiedeva più un documento d'identità ormai da svariate volte ma questa sera sembrava proprio deciso a farlo. Non appena si affacciò dentro la mia macchina tendendomi la mano in attesa del documento il suo volto assunse un'espressione inaspettata.

< Ah... Ma è lei. Mi scusi non l'avevo riconosciuta, è solo che... > Fece per giustificarsi lui.

< Non c'è alcun problema, si figuri. > Lo interruppi io consegnandogli la mia patente.

< No davvero non ce ne è bisogno. > Insistette. < Suppongo che ormai il signore la conosca a sufficienza da non necessitare di un suo documento. > Concluse poi sarcastico.

Non sapevo se essere infastidito da quell'insinuazione o semplicemente divertito. Nel dubbio mi limitai ad uno sterile "probabilmente è così" e, rimettendo in moto la macchina, mi diressi verso la scalinata d'ingresso.

Prima di entrare guardai l'orologio, ero maledettissimamente in ritardo. Sperai che gli altri invitati non fossero ancora arrivati ma, sfortunatamente, non fu così. Comodamente seduti sui divani in pelle avorio tre signori più Francesco stavano sorseggiando qualcosa che, ad intuito, avrei detto essere del Martini.

< Guarda un po' chi è appena arrivato. > Fu Francesco a parlare mentre mi fissava con uno sguardo incredulo che mi strappò un mezzo sorriso. Non mi aveva mai visto così elegante e, a giudicare dall'espressione sul suo volto, non gli dispiacque affatto.

Mi avvicinai ai divani con tranquillità e, non appena anche l'ultimo dei suoi ospiti ebbe posato il suo sguardo su di me, si decise a presentarmi.

< Signori, è per me un grande piacere presentarvi Roberto, la mia affascinante metà. > Provai una scarica di adrenalina e allo stesso tempo di terrore, era esattamente come un salto nel vuoto, uno sparo nel buio.

I tre si presentarono a loro volta continuando a scrutarmi dalla testa ai piedi con una naturalezza che non me lo fece pesare. L'intera faccenda sembrava fosse caduta nell'indifferenza generale, forse a causa della spontaneità con cui Francesco lo aveva detto o forse semplicemente perché, alla fine dei conti, non c'era proprio nulla di cui meravigliarsi.

Non ebbi quasi il tempo di riempirmi il bicchiere che ci spostammo verso la tavola già carica di antipasti. Mentre Francesco continuava a parlare con due di loro, il terzo tentò invece di istaurare una conversazione con me, iniziò a raccontarmi di lui, di quello che faceva e di come era diventato la persona che mi trovavo davanti in quella tavola. Mi disse che, oltre ad essere uno dei tanti avvocati che si battevano quotidianamente per difendere il buon nome dell'azienda, era anche l'unico che risultasse simpatico a Francesco, mi raccontò di come nacque il loro rapporto lavorativo e successivamente la loro amicizia e tutto quello che volle sapere in cambio fu cosa facevo io nella vita oltre a sopportare pazientemente il suo capo.

Il tono scherzoso con cui si rivolgeva a Francesco mi fece pensare che i due fossero davvero in buoni rapporti e questo mi concesse ancora più soddisfazione, mi aveva presentato non solo a dei collaboratori ma addirittura a persone che riteneva sostanzialmente amici. Tra un boccone e l'altro tentai di chiedere a Diego, l'avvocato con il quale ormai stavo parlando da quasi venti minuti, come fosse Francesco a lavoro, se fosse un leader comprensivo o un dispotico tiranno ma, malgrado il diretto interessato fosse troppo distratto dalla sua conversazione per riuscir ad origliare anche la nostra, tutto quello che ottenni in risposta da Diego fu una sonora risata seguita rapidamente da un "no comment" che mi lasciò del tutto insoddisfatto.

Eravamo ormai giunti al terzo assaggio dei secondi piatti in quell'interminabile abbuffata e più cercavo di introdurmi nella conversazione di Francesco e più Diego continuava a farmi domande su domande, ero letteralmente inondato da fiumi di parole che invano tentavo di arginare. Perché quell'uomo continuava ad ignorare gli altri rivolgendo tutte le sue attenzioni su di me? Per quale motivo non mi permetteva di parlare anche con gli altri? E, ancora più importante, perché Francesco non dava cenno di accorgersene? Da quando ci eravamo seduti non mi era stata concessa l'occasione di rivolgere agli altri neanche una singola fottutissima parola, intrappolato in quell'inspiegabile turbinio di ciarle.

Era sul punto di diventare sgarbato interrompendo, più o meno bruscamente, il monologo di Diego quando qualcosa di inaspettato giunse alla mia attenzione. Mi stava raccontano di un suo importante successo legale raggiunto di recente per la società di Francesco quando gli capitò di confondere tra loro due importantissime nozioni del Diritto Fallimentare. Io non ero un avvocato né tanto meno volevo esserlo avendo lasciato gli studi di Giurisprudenza al terzo anno ma mai, e ribadisco mai, avrei potuto confondere due concetti così tanto diversi con tanta noncuranza.

Incuriosito e confuso mi misi ad ascoltare con maggiore attenzione, un secondo errore seguì il primo e questo, se possibile, fu anche più grave del precedente. Iniziai allora a fare domande per approfondire e nel giro di pochi minuti tre, quattro, dieci inesattezze accompagnarono una goccia di sudore che lenta scivolò sulla fronte del presunto avvocato. Cominciai a sentire freddo, un'orribile sensazione di pericolo mi risalì lungo la schiena, quella persona non poteva essere un avvocato ne ero certo.

Come faceva Francesco a non saperlo? Come poteva aver davvero affidato quelle importantissime cause legali ad un impostore? Una seconda ipotesi mi attraversò la mente gelandomi il sangue, feci di tutto per scacciarla e, contro ogni aspettativa, ci riuscii. Dissi a Diego di aver bisogno di una sigaretta e gli chiesi poi di accompagnarmi non lasciandogli praticamente alcun modo per rifiutare. Avvisammo gli altri tre che a mala pena ci degnarono di uno sguardo prima di ricominciare il loro discorso da dove lo avevano interrotto, solo Francesco sembrò interessarsi alla faccenda, mi fissò per un secondo e poi, spostando lo sguardo su di Diego, gli intimò di comportarsi da gentiluomo e di tenere ben in vista le mani, forse anche alludendo alla sua sessualità.

Mentre uscivamo dalla sala pensai a quanto fossero inutili quelle raccomandazioni, in quel preciso istante avevo in mente mille cose ma il sesso non rientrava in nessuna di queste. Tutto quello che desideravo realmente era scoprire la verità perché avevo appena realizzato che a quel tavolo tirava un'aria strana, tirava un'aria che non mi piaceva affatto.


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