Capitolo 19

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Mentre camminavamo per allontanarci da quel casino, l'unica cosa che notavo era il modo strano in cui Newt camminava.

Zoppicava, ma non come sempre. Era come se quel dolore, ora, fosse più leggero.

Gli spaccati stavano festeggiando l'imminente evasione come se fosse una cosa che aspettavano da un'intera vita. Non badavano a nulla, nemmeno a noi che camminavamo lì in mezzo. Si lanciavano sul pavimento, si lanciavano oggetti – potrei giurare di aver visto un bidone sollevarsi in aria indisturbato –.

Alcuni di loro, invece, erano semplicemente seduti in cerchio e parlavano. Sembravano essere anche fin troppo organizzati, ragionavano come persone normalissime, ma dannatamente incazzate e pronte a vendicarsi.

Newt tirava spallate un po' a tutti, ma faceva attenzione a non perdermi in mezzo alla folla.

Brontolava qualcosa tra sé e sé, ma non capivo cosa. C'era troppa confusione.

Camminammo a lungo, allontanandoci dall'anello centrale.

Non eravamo troppo distanti dalla baracca di mia madre.

‹‹ Mi stai portando a – ››

‹‹ Sì, nella mia baracca ›› m'interruppe, fermandosi poco dopo davanti ad una baracca mal ridotta – come le altre – e spinse la vecchia porta sorprendentemente integra che, però, fece facendomi cenno con la testa di entrare.

Non appena varcai la soglia della porta, entrò anche lui, chiudendosela alle spalle.

Si assicurò che fosse ben chiusa, e poco dopo chiuse anche il passante.

‹‹ Di cos'hai paura? ›› ironizzai, accennando un sorrisetto all'angolo delle labbra.

‹‹ Secondo te? Non so se hai notato che siamo circondati da rincaspiati nel cervello ›› rispose in modo piuttosto inviperito, per poi girarsi nella mia direzione ‹‹ e tu sei così testapuzzona da esserti gettata tra noi ››

Incrociai le braccia al petto, sollevando un sopracciglio ‹‹ hai intenzione di farmi la ramanzina? ››.

Non rispose. Rimase in silenzio, ignorando apertamente la mia domanda.

Si diede una rapida occhiata attorno e camminò verso il divano letto in fondo alla stanza, portandosi le mani tra i capelli appena si sedette.

Per quanto mi dispiacesse aver ignorato la sua richiesta di essere lasciato solo, sapevo benissimo di non doverlo fare. Era per il suo bene.

Quel posto non era adatto a lui, e più lo guardavo, più mi rendevo conto di quanto tutto questo lo stesse solo peggiorando

‹‹ Ti ho chiesto di andartene. Perché caspio sei rimasta? ›› la sua voce era strozzata

‹‹ Per te. ›› risposi con un tono che lasciasse intendere quanto quella risposta fosse ovvia ‹‹ hai bisogno di me tanto quanto io ho bisogno di te ››

Accennò un sorrisetto sarcastico, e poco dopo fece uno strano scatto con la testa ‹‹ non hai bisogno di uno spaccato, Liz ›› un lieve tono frustrato nella sua voce mi fece rabbrividire ‹‹ tu hai bisogno di qualcuno che sappia darti stabilità e possa assicurarti un futuro perlomeno vivibile, cosa che io non potrò fare ›› Era come se non fosse lui a parlare, ma riuscivo ad intuire quanto quella cosa lo stesse tormentando dall'interno.

‹‹ Non sei uno spaccato ›› corrugai la fronte ‹‹ non per me. Stai dicendo un mucchio di sploffate. ››

‹‹ Cazzate, non puoi cambiare la realtà. ›› il suo sguardo si fece serio, poi seguì ogni mio movimento fino a quando non andai a sedermi proprio accanto a lui.

Virus MortaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora