Portafortuna.

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Pov Akito.

In casa di Sana c'era una gran confusione, persone che entravano ed uscivano per ammirare il suo salotto. I tavoli erano pieni di cose da mangiare e avevo sentito persino qualcuno farle i complimenti per la sua cucina.
Anche quella, opera mia.
Gironzolavo nervosamente in mezzo a tutta quella gente, la mano sinistra nella tasca che stringeva forte la chiave che Sana mi aveva dato, e l'altra con il terzo bicchiere di vino. Stavo cominciando a sentirmi su di giri, ma non rischiavo sicuramente di sentirmi male perchè conoscevo bene i miei limiti ed ero ancora ben lontano dal superarli.
Vidi che la cucina era vuota e mi ci fiondai, in cerca di un po' di tranquillità, ma sapevo benissimo che non sarei mai stato così fortunato da rimanere solo per almeno cinque minuti, perchè Tsuyoshi si comportava come se stesse impazzendo per dirmi qualcosa.
Quando lo vidi entrare in cucina dietro di me sbuffai e versai altro vino nel mio bicchiere, forse avrei potuto attutire la pesante conversazione con il migliore amico di un uomo, l'alcol.
«Allora... carina la casa, no?».
«Molto. Se solo Sana avesse mosso un dito per renderla tale.»
Tsuyoshi rise e io, uscendo la mano dalla tasca, per sbaglio feci cadere la chiave. Mi maledissi mentalmente per la mia distrazione, mentre Tsu si abbassava a raccoglierla da terra.
«E questa cosa sarebbe?»
«La chiave di casa di Sana. E non cominciare con la solita predica, non sono dell'umore adatto!»
Tsuyoshi abbassò lo sguardo e fissò per un paio di secondi la chiave che aveva tra le mani, incerto su cosa dirmi e soprattutto come dirmelo.
«Io ho smesso di fare le prediche, Akito, ma questa chiave non è sicuramente fine a se stessa, sappilo.»
Odiavo quelle frasi criptiche, e lui lo sapeva benissimo. Lo faceva per incuriosirmi, per farmi sviluppare una serie di domande a cui non avrei mai trovato risposta, quindi mi induceva a trovarle nelle sue parole.
Se non fosse stato mio amico, probabilmente avrei dovuto pagarlo per tutte quelle sedute di psicoanalisi a domicilio che mi riservava. Lo incitai ad andare avanti.
«E' un segnale, Akito. Ti sta aprendo la porta non solo di casa sua.»
E quello cosa significava? Il mio primo pensiero, lo ammetto, non fu certo casto, ma immediatamente scacciai quell'immagine, non potevo lasciarmi distrarre dai miei pensieri... particolari su Sana.
«Alcune volte mi domando perché dopo tutti questi anni ancora perdo tempo ad ascoltare le tue frasi senza senso sul mio rapporto con Sana. Sempre questi giri di parole! Per una volta non potresti parlare in maniera diretta, senza che io sia costretto ad interpretare i tuoi deliri? Se hai qualcosa da dire, fallo senza girarci troppo intorno.»
Tsuyoshi prese a guardare per terra, destabilizzato dalle mie parole, ma in realtà l'unica cosa che volevo era che mi spiegasse e soprattutto che mi aiutasse, perchè da solo non potevo farcela, non con una situazione come quella tra le mani.
«E' una vita che cerco di dirti come stanno le cose in maniera più o meno esplicita, ma tu non vuoi capire e soprattutto non riesci mai a parlare di Sana senza andare di matto.
Comunque la verità è sempre e solo una: lei è innamorata di te, ma sai che è tarda e non riesce a capire nemmeno se stessa. Quindi il mio consiglio è solo uno, prendi coraggio e fai la prima mossa, altrimenti ti ritroverai tra qualche anno senza Sana, semplicemente perché qualcuno che si fa meno pippe mentali di te e la porterà via.»
Abbassai lo sguardo anch'io, rigirandomi tra le mani la chiave dell'appartamento.
«Ci penserò su, magari questa chiave sarà il mio portafortuna.»

***

La gente cominciò lentamente ad andarsene, per ultimi Tsuyoshi e Aya insieme a Fuka e al suo ragazzo che mi aveva dato l'impressione di essere un mezzo psicopatico. Entrambi erano stati accettati da un'università poco lontana da Tokyo, e quindi non ci avrebbero fatto compagnia per i prossimi quattro anni. Poco male, almeno non avrei avuto Fuka a dare consigli a Sana per qualsiasi cosa, perchè non mi fidavo del suo giudizio, considerato anche l'elemento con cui stava attualmente. Anche se dovevo ammettere che il ragazzo di Fuka era la persona più normale del mondo se rapportato a quella sottospecie di troglodita che stava con mia sorella e che, da quando erano arrivati, non aveva fatto altro che bere e trovare ogni scusa possibile ed immaginabile per andare via, a fare... Dio solo sa cosa. Quel ragazzo non mi piaceva, si vedeva ad un miglio di distanza che voleva solo portarsela a letto. Avevo cercato di parlare con Nat, ma dopo l'ultima volta in cui avevamo seriamente litigato e non c'eravamo parlati per una settimana, avevo deciso di non intromettermi più.Quando Sana chiuse la porta e si girò, mi vide ancora lì e sobbalzò. «Come mai non sei andato via anche tu?» domandò mentre raccoglieva bottiglie varie. «Ti aiuto a mettere a posto, genia. C'è un casino qua dentro.»In realtà non volevo andarmene per niente, erano gli ultimi momenti che avrei potuto passare con lei per almeno una settimana, perchè dovevo prepararmi per prendere l'abilitazione per diventare maestro e, con Sana nei paraggi, non avrei potuto di certo concentrarmi. Sembrava che al buffet fossero passate delle cavallette, non era rimasto niente, neanche un piccolo pezzo della famosa torta crema e cioccolato della signora Shimura. Io e Sana non eravamo riusciti a toccare cibo, ma la cosa che mi dispiaceva di più era non aver potuto brindare da solo con lei. Mentre ero ancora indaffarato a toglier bottiglie vuote di vino pregiato, sentii Sana che mi chiamava dalla cucina, quando entrai la trovai seduta sulla penisola con in mano un piatto con un'enorme fetta della nostra torta preferita e vicino due calici con dello champagne. La guardai e mi avvicinai, sedendomi accanto a lei, e mi passò una forchetta. Quando ormai la torta stava per finire, per evitare che mangiassi l'ultimo pezzetto, Sana si avventò sulla mia mano e morse le mie dita per rubarmelo e, sentendo la sua bocca sfiorarmi, dovetti fare affidamento su tutto il mio autocontrollo per non sdraiarla su quella penisola e dare vita a tutte le mie fantasie. Mi allontanai da lei con la scusa di dover togliere le ultime cose dal tavolo. Lei mi seguì, si tolse le sue scarpe tacco dodici e si buttò sul divano.Mi voltai a guardarla. Il petto si alzava e abbassava piano, i capelli le ricadevano scompostamente sul viso e aveva le guance rossissime. Aveva ancora qualche traccia del trucco, un ombretto scuro che rendeva i suoi occhi ancora più magnetici e un rossetto rosso che, però, si era un po' consumato durante la serata. Era bellissima. Dopo essermi asciugato le mani la presi e sperai che non si svegliasse, la portai a letto e le rimboccai le coperte. Ero indeciso se stendermi vicino a lei, temendo che la mattina dopo avrebbe dato di matto trovandomi nel suo letto, ma alla fine non riuscii comunque a separarmi da lei e, dopo essermi tolto la camicia, mi addormentai accanto a lei.

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