Non posso.

445 18 6
                                    




Pov Akito.

Versai altra tequila nel mio bicchiere. Guardai il liquido scendere lentamente dalla bottiglia e riversarsi, altrettanto lentamente, nel bicchiere di cristallo che avevo tra le mani.
Non bevevo tequila, di solito. Preferivo cose come il whisky o la grappa, ma era stata la prima cosa che Tsuyoshi era riuscito a procurarmi.
La stanza d'albergo in cui alloggiavo era bellissima, dormivo in un letto a baldacchino, come lo avevo sempre desiderato da bambino, le cameriere ripulivano la stanza ogni mattina, mentre io scendevo al bar, e la sera mi portavano la cena in camera, come se fossi un super ospite.
Cosa si può fare con i soldi... cosa si fa per i soldi.
Tante cose. Persino distruggere la vita di qualcun altro, come quella ragazza aveva distrutto la mia.
Non riuscivo nemmeno più a nominarla. Il solo pensare a lei mi provocava conati di vomito, e non era solo la tequila ad aiutare il tutto. Ogni volta che davanti ai miei occhi arrivava l'immagine di lei, falsamente distrutta per quello che ci era capitato, che mi era capitato, provavo un senso di disgusto che mai avevo sperimentato nella vita.
Stare con lei mi aveva portato a provare emozioni che mai mi sarei sognato di vivere: la gioia, pura, quella che ti parte dal cuore e arriva alla più piccola particella del tuo corpo; la paura, di poterla perdere e di poter distruggere il nostro rapporto; la rabbia, per non essere riuscito a preservare i nostri sentimenti puri come sono sempre stati; infine l'odio, che non avrei mai pensato di indirizzare alla ragazzina che avevo amato dalla quinta elementare, ma che in quel momento mi stava distruggendo da dentro. Sentivo il mio corpo bruciare a causa dell'odio che lei mi aveva costretto a provare.
Fino a una settimana prima ero un papà. O, almeno, stavo quasi per diventarlo. Oggi non sono niente.
Né un marito, ne un papà, ne un uomo. Non sono nessuno.
Mi ci erano voluti due giorni per realizzare esattamente cosa fosse successo. Mi ci erano voluti due giorni per capire che la mia bambina era morta e che quella ragazza non aveva alcuna intenzione di affrontare il lutto con me, suo marito, ma dietro a qualche macchina fotografica mentre si muove dentro a quei maledetti costumi da bagno che tutti vogliono vederle addosso.
Non aveva voluto più stare con me. Un figlio avrebbe potuto rovinarle la carriera. Non aveva mai voluto quella bambina. Lei l'aveva uccisa. E io l'avevo lasciata fare, credendo veramente che avrebbe potuto amare qualcun altro oltre a se stessa. Come avevo potuto essere così stupido? Come avevo potuto cadere nel tranello ancora e ancora per oltre dieci anni?
Eppure mi reputavo una persona abbastanza intelligente. Non un genio, ovviamente, ma nella media. E non ero riuscito a capire nulla.
Ero ormai al sesto o ottavo bicchiere, non ero riuscito più acontarli dal quarto almeno, e non ero in grado di alzarmi dal divano e arrivare al bagno.
Ci provai ugualmente. Nel tragitto pensai a quanto dovessi sembrare patetico in quel momento, a quanto dolore questa vita aveva riservato per una persona sola, a mia figlia e a quanto sarebbe stata bella e felice se solo avesse avuto la possibilità di nascere e, per la prima volta dopo una settimana, permisi a me stesso di crollare. Caddi sul pavimento, non reggendomi più in piedi, non per il troppo bere – che comunque aveva dato il suo contributo – ma perché la mia anima si era appena definitivamente distrutta.

Non mi importava più di vivere o morire. L'unica cosa che mi importava era che tutto quel dolore andasse via perché, per quanto mi riguardava, ne avevo avuto abbastanza anche per la prossima vita.

*

Qualcuno stava bussando, ma avrebbe potuto bussare per il resto della sua vita, non era nemmeno contemplabile l'idea che io riuscissi a reggermi inpiedi.
Cercai di mettere forza sulle braccia e tirarmi su dal pavimento della mia magnifica stanza al quarantaduesimo piano di un hotel di cui non ricordavo nemmeno il nome, per arrivare a quella dannatissima porta che non faceva altro che martellare dentro la mia testa. Misi un piede dietro l'altro e, con fatica, arrivai alla porta. Non l'avessi mai fatto.

"Akito, devi vestirti, uscire da questa stanza e smetterla di comportarti così."
Mia sorella mise piede in camera prima ancora che potessi fermarla, la sua riabilitazione ormai aveva fatto miracoli ed era tornata a rincorrermi come faceva un tempo. Non sapevo se considerarla una cosa positiva o una maledizione in quel momento.
Chiusi la porta alle sue spalle, tornando a prendere il bicchiere completamente vuoto dal pavimento per versarci altra tequila. Più tequila avrebbe sistemato tutto.
"Va via, Nat. Non voglio vedere nessuno."
Natsumi si piazzò davanti a me, mi rubò il bicchiere dalle mani e si scolò l'intero contenuto proprio di fronte ai miei occhi, senza battere ciglio. "Ti ho appena detto divestirti. Usciamo."
Mi trascinò fuori da quella stanza in meno di mezz'ora. Non sapevo dove stavamo andando, ma sapere che c'era mia sorella con me rendeva le cose molto più semplici.
Almeno per un po'.

Pov Sana.

Tentavo di non mettermi ad urlare di fronte a Rei che, minuziosamente, cercava di spiegarmi il programma della giornata.
Erano ormai tre giorni che eravamo a Nagoya e quello stesso giorno avrei preso un aereo che mi avrebbe portato a Fukuoka. La mia vita era diventata un continuo andare su e giù per il paese per la promozione di questo film.
Non facevo altro che sorridere e fingere che quello che avevo vissuto negli ultimi giorni non fosse stato un inferno. Nessuno sapeva. Avevamo fatto in modo di non far trapelare nessuna notizia ne della mia gravidanza ne del mio aborto.
Ancora mi sembrava strano dire quella parola.

Omnia Vincit Amor.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora