Capitolo 19:

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Da quel momento non sapevo cosa sarebbe accaduto...

La mia vita era ormai segnata inesorabilmente. Dovevo solo cercare di vivere quel che rimaneva in un modo degno di me. Se avessi parlato di mia madre nella mia mente, mi avrebbero preso per pazzo ed io non lo sono.

Ammettere tutto.

L'idea migliore era ammettere tutto. Potevo anche cavarmela con 30 anni. Se invece avessi aspettato, avrei avuto l'ergastolo certo.

Confessai tutto direttamente dai Carabinieri. Mi dissero poi che il motivo per cui mio padre uccise mia madre, ipotetico dato che non c'era possibilità di accertarlo, era che lei scoprì il suo giro di spaccio.
Il ragazzo che poi scoprii chiamarsi Andrea non era uno di loro. Sembrava avesse voluto cercarmi di sua spontanea volontà.
Strano, chissà...

Tempo dopo, senza praticamente accorgermene, mi ritrovai in prigione. Ergastolo, ovviamente. Era un posto deprimente. Mi trovavo in isolamento. Feci amicizia subito con i detenuti più potenti: Maurizio, Giuseppe e Ivan. Erano uno più stronzo dell'altro. I loro bicipiti erano incredibilmente prominenti. Incutevano timore anche alle guardie. Mi feci valere anche io fin da subito. Per farmeli amici dovetti dimostrare che anche io ero un tipo violento. Mi costrinsero a picchiare un poveraccio arrivato due giorni prima di me. Era un vecchietto sulla sessantina, ma menava forte. Riunimmo un po' tutti in cerchio, intorno a noi. La rissa durò più o meno una ventina di minuti. Il vecchio di merda non si mosse più alla fine. Ero fradicio di sudore. Tutti attorno urlarono a squarcia gola il mio nome. Mi sentii invadere dall'ebbrezza della gloria. Appena fuggii a cambiarmi i vestiti, chiamarono un medico. Stava solo fingendo per la vergogna.

Da quel momento ero il loro più fedele alleato. O almeno credevo. In realtà mi sfruttarono per mesi e mesi per farsi arrivare la droga. Eroina, ecstasy e cocaina. Facevo da tramite tra il pusher e loro. Così la mia nuova vita. Non avevo più nulla da perdere.

Un giorno, al mio secondo anno, Ivan morì per overdose di eroina. Quel giorno, ero accanto mentre aveva la crisi. Chiamai io stesso il medico. - Sai che ha preso? - mi chiese.

- No, assolutamente -. Se avessi detto la verità avrebbe potuto intuire il mio lavoro sporco. Non pensavo, tuttavia, che potesse morire.

Il medico vide la siringa per terra, anche se l'avevo prontamente calciata via.

- Eroina... - bisbigliò. Mi guardò con aria sospetta, poi chiamò i colleghi che portarono via Ivan con una barella.

La sera andai da Giuseppe a chiedere come stava.

- È morto. Aveva preso 50 milligrammi di roba tagliata con la merda -. Non potevo crederci. Lui era un esperto, era strano avesse sbagliato. Forse non sapeva fosse di bassa qualità. Forse si era lasciato andare.

Continuarono a sfruttarmi ancora e ancora. Ero la loro puttanella. Ero scaltro, furbo. Sapevo muovermi impercettibilmente. Era incredibile che fossero tanto incapaci o corrotte le guardie. Mesi dopo, per un piccolo periodo mi presi l'influenza. Il medico mi tenne in infermeria. Venne a farmi visita Giuseppe.

- Come stai? -.

- Ho ancora un po' di febbre, ma passerà entro un paio di giorni -.

- Devi sbrigarti a guarire -.

- Faccio quello che posso - aggiunsi una risatina, ma lui era serissimo.

- Ascolta, stronzetto, non mi interessa come stai. Io voglio solo che domani vai a prendere la roba nel cortile. La sotterra lato mensa, vicino al sasso grande. Tutto chiaro? -.

Io credevo di valere qualcosa per loro, ma evidentemente non era così. E solo allora mi chiesi:

Com'ero arrivato tutto a questo?

De dissolutione conscientiæDove le storie prendono vita. Scoprilo ora