2028
Marta.Eccomi, sono qui.
Sono partita dalla fine per poi ritornare al principio delle cose, ed ora, io, sono qui.
Necessariamente, lo sono.
Si interrompe il tutto di fronte ad una risposta assai importante, oggi, e sono qui a dirvi che nel duemila ventotto io faccio, e scelgo di fare, un passo rilevante.
Sono qui in ritardo, imprecando una sveglia, in un giorno che non è uno qualunque.
Non so dove precisamente e non importa se è una fine questa o un nuovo punto di partenza.
Importa che io ci sono, nonostante tutto ciò che voi ancora non sapete.
Tempo al tempo, si dice.
La verità è che non si finisce proprio mai.
Non si finisce mai di sbagliare.
Non si finisce mai di finire.
Blocco qui questo racconto e faccio otto passi avanti, in prossimità di raggiungere un altarino profumato di incenso.
Ve lo ricordate quell'inizio ancora poco chiaro?
Quell'istante in cui mi sono soffermata a pensare?
Diciamo che sono rimasta lì, cioè qui.
Ferma, su una mattonella di fronte ad una vecchia consolle, con una fototessera ben stretta in mano.
Credo si chiami capolinea questo punto, quello dentro di me intendo.
Credo si chiami sosta sulla fermata di una ferrovia necessaria, chiamata viaggio nel passato.
Credo, anzi, voglio chiamarlo confine fra il vecchio e l'ignoto.
Il telefono stavo cercando, ve lo ricordate?
Ecco, ritorniamo ad adesso.
In questa mattina di frenesia dentro casa mia.
Una casa che sa di me e delle mie mille sfaccettature.
Un posto disordinato come lo è sempre stata la mia vita.
È stata la solita fretta anche stamani a farmi perdere più tempo di quanto ne avessi già perso.
La colpa è stata dell'oroscopo che non volevo perdere neanche oggi, la mia consueta fissa.
La colpa è stata quella di una sveglia che non ha suonato o che probabilmente, io, ho scordato di impostare ieri sera.
Poi, infine, il mio immancabile ritardo, quello ormai abitudinario di un telefono che non riesco mai a trovare.
Ho cercato fra i cuscini del divano, sotto al letto, nel frigo e nella mia borsetta, ma niente.
Allora, dopo, ho aperto la consolle per cercarlo senza una meta precisa, certa di averlo rinchiuso da qualche parte insieme alla mia sbadataggine più incorregibile.
Insieme a lui, però, dietro l'apertura svogliata di un cassetto, ci ho trovato quella fototessera scattata nel duemila sedici.
Tutto è riemerso proprio in quest'occasione speciale.
Tutta la storia a sfiorarmi la testa con una fotografia.
Dodici anni in tutto, da quando è iniziata l'avventura con un biglietto di sola andata verso una Napoli che non conoscevo affatto.
Dodici anni in tutto, da quando con un bagaglio pieno di sbagli e nuovi abiti da cucire con gli stracci, ho litigato con mio padre per quell'insana voglia di evadere, che forse tutti i giovani nascondono nel profondo.
Dodici anni in tutto, da quando folle e forse anche un po stupida, ho incontrato Ignazio in quella cabina fototessere e ho detto a me stessa, con ingenuità, di non innamorarmi.
Dodici anni in tutto, da quando cieca ma fin troppo viva, ho voluto mettere i piedi in scarpe più grandi della mia misura.
È stata l'incoscenza dei vent'anni spalmata bene addosso, sotto la pelle.
Otto anni soltanto, passati da quel bacio appena raccontato in una notte romana al Playguitars, dopo un lungo distacco.
Otto anni soltanto, da quel "Ricominciamo" cantato insieme su quel palco, con l'intento di non rinnegarci inutilmente.
Sembra ieri ma i conti non mentono mai.
È matematica, è logica, sono calcoli, eppure, dietro ai numeri che segnano gli attimi sui calendari appesi ai muri, ci passano innumerevoli cambiamenti ed evoluzioni inaspettate.
Un calendario affisso alla parete, che involontariamente, su quel chiodo impuntato a martellate poco gentili, porta il peso di una vita che scorre disegnando mendri diversi per ognuno di noi.
Gli anni sono tappe inevitabili che segniamo con i nostri passi inesorabilmente inesperti, ho detto una volta.
Ve lo ricordate?
Lo confermo questo concetto che è mio soltanto.
Sono percorsi assai sensibili al tatto, gli anni.
Sono pasta modello che si modifica sotto i tocchi impacciati, tutti i nostri domani.
È sabbia che cambia forma sotto i piedi, tutti i nostri oggi.Adesso vi starete chiedendo dove deve portarmi questa fretta, da chi deve condurmi e perché.
Vi starete dicendo che otto anni sono tanti per far restare tutto uguale a prima.
In effetti, otto anni, sono abbastanza per riuscire a stravolgersi.
"Mamma è arrivato il nonno! E c'è anche Vito in macchina!"
Otto anni ed innumerevoli cambiamenti, l'ho detto?
Eccone uno dei tanti.
Immaginate la voce dolce di una bambina felice, che saltella appoggiandosi al davanzale della finestra e guarda una macchina tutta agghindata appena posteggiata sulla strada.
Immaginate una donna, ormai più adulta, con due occhi verdi che sanno abbastanza per i loro trent'anni.
Immaginate che viene ridestata dai suoi pensieri e si volta di scatto.
Immaginate la sua mano con la foto stretta fra le dita che sobbalza nell'aria, per il tuffo improvviso nel suo oggi.
Immaginate che adesso riponga subito quella fototessera nel cassetto, nel suo solito posto dimenticato, ma ricordato al momento opportuno.
Immaginate i suoi capelli color rame, lunghi un po sopra le spalle, muoversi sinuosi insieme alla solita frangia, mentre si volta verso quella bambina.
La sua, di bambina.
Immaginate il suo vestito bianco, corto fino al ginocchio e una peonia incastrata fra un boccolo arricciato appositamente per l'occasione.
Immaginate un bouquet pronto sul tavolo per fare la sua bella figura.
Immaginate il suo schiarirsi la voce per poi risponderle.
"Certo tesoro, adesso andiamo....ah Caterina, amore, hai preso gli anelli?"
"Ha detto papà che li porta Vito"
"Allora andiamo"
Adesso immaginate che questa donna sorrida, di un sorriso che fa invidia alla sincerità più gioiosa.
La vedete?
Immaginate che adesso afferri le chiavi di casa, mal riposte sul quel mobile d'ingresso.
Immaginate che le faccia volteggiare nell'aria per poi riprenderle, come un giochetto fatto e rifatto mille volte al momento di uscire.
Immaginate la porta che si apre e i raggi del sole, che entrano in una mattinata calda di metà giugno.
Lo sentite il tintinnio del ferro che si scontra e atterra nel palmo della mano?
Lo sentite l'urto pungente sulla pelle che sa di rivalsa ad ogni piccola battaglia vinta per arrivare a quel giorno?
La vedete la luce che filtra, giocando a fare arabeschi sul pavimento in marmo della scalinata?
Lo sentite il profumo dei fiori freschi intrecciati alla ringhiera?
Ecco, adesso immaginate la mano di questa bambina cercare quella di sua madre, per poi stringerla in cerca di una voglia di esserci.
Immaginate la loro complicità sull'uscio di casa con un semplice guardarsi negli occhi, come per dirsi:"io sono pronta e tu?"
Immaginate il loro rispondersi senza farlo sul serio, ma solo con un cenno di empatia, che nessun'altro potrebbe mai percepire.
Quello di una madre e di sua figlia.
Quella di un legame che nasce ancor prima di farlo concretamente, e non si può rinnegare.
Quello di sangue uguale a scorrere nelle vene.
Ora immaginate la porta che si chiude dietro una spinta assai grintosa, che ha lo stesso sapore dell'amore, quello puro per la vita in generale.
Tre mandate di chiave nella serratura a rinnegare fuori dal mondo anche ogni qualsiasi, immancabile dubbio.
Lo sentite lo scatto?
Li sentite i tre colpi sicuri nella serratura, che buttano dentro ogni insicurezza per lasciare spazio solo ad un fatidico momento?
Immaginate che dopo questi tre click decisi, una musica parta in sordina.
Una qualsiasi.
Lo sentite il ritmo che annuncia un qualcosa?
Lo sentite si o no?
Lo vedete il film di una storia che sta per giungere a destinaziine?
Due donne dai simili tratti a scendere giù per le scale:
Una, la miniatura dell'altra, che con i suoi soli cinque anni e un vestitino rosa cipria portati addosso, si sente già grande.
Una più adulta, che dopo mille rifiuti corre a sposarsi.
Immaginate che questo giorno non sia come gli altri.
E nemmeno come gli altri matrimoni, perché ci sono solo pochi invitati a questa cerimonia e non sarà una chiesa a guardarli, ma il Playguitars a stringerli in un abbraccio.
Normale non lo è perché ci sono io, Marta, che faccio tutto a modo mio.
Perché quella donna sono io, Marta e quella bambina, Caterina, è mia figlia.
Mia e di Ignazio.
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La Storia In Una Fotografia (#Wattys2016)
ФанфикSono solo gli occhi di Marta, che in una consolle ritrova una di quelle fotografie che si fanno nei photomaton. È un pezzo di carta che fa balugginare nella mente immagini e momenti mai sopiti. È il caso di uno scatto inaspettato fatto dodici anni p...