Guarda che Luna

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L'ultima notte a Napoli.
Io e la mia chitarra sola.
Io ed un'attesa che mi faceva sudare sotto aliti di vento freddo.
Io e il mio aver accettato una richiesta a cui non avevo saputo indietreggiare.
Io e la mia debolezza, ma stavolta accompagnata da un senso di retroguardia.
Io e il mio aver ceduto ad una telefonata tanto attesa quanto temuta.
Guardavo la luna e guardavo il mare fin troppo agitato infrangersi come vetro sugli scogli.
In tasca già pronti i soldi per il biglietto del treno verso casa, Frosinone.
In testa già fissato l'obiettivo fermo di ritornare, di non cambiare idea questa volta.
Di non lasciarmi plagiare dai miei impulsi.
In mente una scelta determinata a sbarrare istinti pericolosi che provavo ad ignorare.
"Alle cinque sulla spiaggia. Devi esserci per favore....voglio parlarti" aveva detto più volte Ignazio in quella telefonata.
Mi pareva di ascoltare un altro nel suo chiedere.
Il suo tono quasi fragile e supplichevole a far desistere tutti quei no che avrei voluto lanciargli addosso, come i coltelli di un circense.
Non sembrava quello sicuro e deciso che avevo conosciuto io. Non era quello che con una conferma non ancora data aveva già provveduto ad un nostro prossimo appuntamento.
Stavolta il suo bisogno era diverso ed era imprescindibilmente diversa anche la mia reazione.
"Forse" gli avevo risposto eppure mi trovavo lì e in cuor mio, lo sapevo già da un pezzo che non sarei mancata.
17:05 segnavano le lancette del mio orologio.
E quel ritardo imperdonabile sembrava volermi concedere un'altra chance ancora, una via di fuga per non ricadere in trappole già subite.
Il bivio che cresceva dinnanzi a me dandomi due scelte: restare ad aspettare come avevo sempre fatto per lui o andare via senza più ritornarci.
Mai mai più.
Alla fine sceglievo senza rendermene conto.
Accordavo la chitarra, stringevo fra le dita il plettro e suonavo la prima melodia che mi passava per la testa.
Cantavo e i brividi scendevano lungo la schiena.
E il perché mi trovavo lì di fronte ad una proposta insistentemente pacata, mi faceva dubitare della mia forza.
Il voler capire cosa avesse da dirmi però mi spronava a rimanere.
La mia voce più roca di pianti repressi si mischiava ad un suono struggente.
Il sottofondo frastagliante del mare, la luna pallida sopra la testa, l'acustica lenta, la pelle increspata di riflesso ad un timbro intriso di emozioni profonde su parole sentite addosso.

"Guarda che Luna, guarda che mare,
Da questa notte senza te dovrò restare
Folle d'amore....si vorrei morire
Mentre la luna... da lassù mi sta a guardare
Resta soltanto... tutto il rimpianto
Perché ho peccato nel desiderati tanto
Ora sono sola... a ricordare
E vorrei poterti dire
Guarda che luna, guarda che mare....
Ma guarda che luna, guarda che mare
Folle d'amore... si vorrei morire
Mentre la luna da lassù mi sta a guardare
Resta soltanto.... tutto il rimpianto
Perché ho peccato nel desiderarti tanto
Ora son sola a ricordare
E vorrei poterti dire
Guarda che luna, guarda che mare!
che luna, che mare.
Guarda che Luna!"

La musica finiva.
Le mie dita accarezzavano il legno consumato di quella vecchia chitarra.
Un applauso partiva in sordina e ripetitivo alle mie spalle.
Mi ero voltata di scatto.
I suoi occhi dentro i miei.
Lui di fronte a me.
Io su quello scoglio a gambe incrociate.
Lui più in alto, di nuovo.
Il suo battito di mani insistente a coprire apparentemente quello più accelerato nascosto nel mio petto.
"Brava! Sei davvero brava....non te l'ho mai detto....Solo adesso mi accorgo che troppe cose non ti ho detto"
L'avevo colta subito l'essenza.
L'avevo notato subito quello che intendeva dirmi con le sue frasi forse già preparate in ore di ripensamenti.
Accostamenti di parole mirati a sottintendere altri concetti ben di più lungimiranti.
Poi lui a scavalcare la distanza e a sedersi al mio fianco in movenze repentine.
La mia bocca che si schiudeva appena perché era sempre una sorpresa il suo fare come se niente fosse, azzerando i centimetri fra di noi.
Mi ero alzata e con il nervosismo a muovere senza meta le mie mani, avevo deciso di arrivare al nocciolo della questione.
"Allora? Perché ci tenevi a vedermi?"
Qualche secondo di silenzio mentre lui guardava dritto davanti a sé, le mani giunte intorno alle ginocchia e gli occhi stretti a fessura con le ciglia a combattere contro la sabbia che volava intorno.
"Non c'era bisogno che rispedissi tutto indietro. Potevi tenerle quelle cose, sono tue"
"Se mi hai fatta venire fin qua per dirmi questo, stiamo sprecando solo tempo Ignazio, ed io francamente, ne ho sprecato già tanto con te!"
"Davvero credi di aver solo sprecato tempo con me?"
Le sue iridi scure a cercarmi per spronarmi a non occultare la verità dietro ferite ancora aperte.
Avevo ispirato.
Avevo trattenuto forte il fiato e avevo abbassato le palpebre di fronte al mare.
La certezza assoluta di non aver sprecato tempo con lui a farmi retrocedere su parole dettate dalla rabbia soltanto.
La consapevolezza di potermi sentire ancora debole per lui a spingermi a nascondere la realtà delle cose.
La paura di inciampare ancora a farmi dire cose parziali.
Cose pungenti, cose che non si sentono al cento per cento.
Perché quando cadi e quando sei nel vivo di una rimonta, senti il dovere di difenderti da tutto e tutti, e allora, talvolta, ti ritrovi a dire ciò che non pensi.
Ti ritrovi ad aggrapparti su parametri che non appartengono alla sincerità.
"Dipende dai punti di vista Ignazio.... Tu come li chiami gli sforzi invani? Tu come lo chiami l'inseguimento a vuoto? Tu come la chiami la sosta ad una fermata che non passerà?"
"Marta e tu invece come la chiami la corsa per seguire i consigli del cuore, eh? Non è sprecare tempo questo! Questo è solo vivere!"
Il mio silenzio a dare un assenso che non avevo saputo controllare.
Il mio non rispondere a rendermi incapace di nascondermi, perché io in fondo non l'ho mai fatto, anzi, mi sono scoperta sin troppo.
Il mio tacere a confermare concetti che condividevo in pieno, ma che non volevo ammettere.
Le mie braccia conserte a proteggermi dai miei stati di vulnerabilità.
Le mie dita a stringere nella pelle come la necessità di placare l'arrivo imminente di una tempesta che sta minacciando dentro.
I miei avambracci ad avvolgere il petto come uno scudo, come a fungere da barriera di fronte a sentimenti che non si riescono a placare.
Ed era maledettamente vero quello che aveva detto.
Io lo sapevo che non avevo perso tempo.
Io lo sapevo bene che avevo vissuto fino in fondo.
Ma sapevo anche che vivere porta a soffrire, a farsi male.
"Che cosa vuoi?"
Troppe domande per nessuna risposta.
Troppe richieste pesanti appese a chiodi fragili che ammettevano solo quadri più leggeri.
"Voglio renderti partecipe di alcuni piccoli dettagli.... Dettagli che mi hanno fatto capire che sono cambiato"
"Non mi interessa" il mio sbottare a dare risposte false.
"Minchia lasciami finire almeno!"
"Ok...ti ascolto!" il mio finto arrendermi a provare di nascondere un sorrisino di fronte al suo essere così serio per la prima volta.
Il suo mettersi comodo a cercare un punto di partenza a renderlo ancora più bello.
"Ho letto l'oroscopo di tanto in tanto, io l'ho verificato capisci?... Mi sono anche fermato ad ascoltare i busker e per la prima volta ho colto la loro estrema bellezza e la loro libertà! Ho fatto cose che prima non ho mai fatto!"
"E allora?"
"Non capisci?"
"No! Che cosa vuoi?"
"Riprovare"
Nel suo tono sommesso il bisogno impellente di una nuova possibilità.
Nel suo abbassare lo sguardo sui miei occhi furenti, la consapevolezza di aver osato.
"Riprovare eh?" una vena di ironia nel mio ripetere.
Uno sbuffo in una risata quasi isterica e il mio guardare l'orizzonte senza vederlo.
"Si riprovare. Noi due"
"Non si tratterebbe di riprovare ma di iniziare per la prima volta. Ma lo vedi che sei tu? Sei tu che continui a non capire!"
"Ma cosa devo capire? Ok forse hai ragione...forse non sono bravo ad azzeccare i discorsi ma il senso è quello...sono venuto fin qua per chiedertelo... adesso basta attaccarsi alle parole e rispondimi!"
Il suo alzarsi repentino ed il suo passo veloce ad afferrarmi dove cercavo di scappare, di deviare.
I suoi occhi a scrutare a fondo i miei per bloccarli dove volevano tergiversare.
Le sue mani sui miei polsi a prendermi su fili di concetti, che apposta, tentavo di fraintendere.
Il suo insistere dove io farneticavo.
E certe volte capita anche che si scappa per timori non del tutto sbagliati.
Le nostre iridi a vagare scomposte sulle labbra più rosse e indolenzite dal freddo, desiderose di una pelle già conosciuta.
La nostra voglia diveniva anche la nostra calamità naturale.
Le nostre bocche a scontrarsi all'improvviso erano il risveglio più dolce e la sua barba a pungermi era il fastidio più confusionale.
Le mie dita sotto al suo viso a stringere i suoi tratti perfetti e una manciata di tormenti.
Un bacio, uno scontro delicato e marcato di lingue che sapevano già come sciogliersi rubando tutto il sapore.
Era semplicemente un bacio, un fottutissimo, meraviglioso bacio ed io mi sentivo già leggera come il suo respiro.
Io mi sentivo là: in una vita che rinasce.
Ed io ero là, fra il bisogno di perderlo e la voglia di trovarlo veramente.
Ed io ero là a rantolare su parole e decisioni da prendere che non si lasciavano afferrare.
Ed io ero semplicemente là, dove volevo essere ma dove l'orgoglio ferito e ribellato, non mi faceva spazio.
Poi però quel bacio, ad un tratto, non mi è parso più speciale come lo immaginavo.
In un secondo i miei occhi ad aprirsi, la mia bocca a fermarsi e il mio non riuscire compariva, facendomi testare un'emozione nuova per me, che ero sempre andata ovunque.
"No. Non voglio tentare"
La mia voce a sussurrare suoni articolati amaramente di chi non riesce più a fidarsi.
E tutto ciò che ero stata sfumava per un momento: l'impulso, l'avventatezza, il mio reagire senza lenti ponderamenti.
Così il mio lasciarmi andare diventava per me la cosa più difficile.
Il mio essere un po sprovveduta diventava all'improvviso troppo lontano da me stessa.
Il mio cavalcare l'onda più irrequieta si faceva in un baleno l'ostacolo più insormontabile.
Il mio azzardare, il mio vivere spericolato si faceva temerario, valutando i rischi.
Tutto ciò che ero stata e mi aveva portato a sbagliare, si faceva distante, timoroso di un prossimo dolore.
Si cade, Succede.
E quando ci si è appena rialzati le conseguenze, inevitabili appaiono a renderci più logici, più riflessivi, più meditativi, più cauti, troppo bisognosi di precauzioni.
Quel riuscire a mettere una pietra sopra, a fare come se niente fosse mai stato e a depositare la riluttanza, sembrava sempre così estremamente difficile.
L'esperienza, allora, oltre a dare un titolo agli sbagli tracciati, ci rende anche prudenti.
L'esperienza a volte ci scoraggia per certi versi.
"Marta e se ti dicessi che sono stato cieco e che fosse cambiato qualcosa in me?"
"Ti direi che non sono disposta a crederti. Ti direi che forse adesso sono cambiata io. E ti darei un consiglio: la prossima volta apri bene gli occhi da subito, perché è facile apprezzare l'importanza di ciò che si è avuto solo quando la si perde. È facile rendersi conto dell'esigenza di qualcuno quando quel qualcuno, stanco e distrutto, fa un passo indietro. È facile Ignazio! È facile non accorgersi al momento opportuno e poi tornare a chiedere.
È facile per te pretendere che io adesso ti dica di si a braccia aperte.....ma no...non è facile per me"
E dopo verità così vere dal retrogusto rabbioso non aveva potuto fare altro che annuire, abbassare lo sguardo e guardare quel mare, con la consapevolezza che aveva perso veramente un pezzo di me.
Allora capita che certe volte non è solo l'orgoglio a parlare.
Non è la vendetta, non è la sete di farla pagare, ma è semplicemente il fatto che non te le senti, che non ti senti pronto.
Cere volte capita che hai altre priorità.
Il mio amore per lui non era scomparso da un giorno all'altro.
No, era ancora presente nella sua infinita misura, ma stavo solo imparando a gestirlo.
Restava il fatto che adesso dovevo pensare a me, ai miei ideali, i miei conti in sospeso, i miei richiami a casa per riattaccare pezzi rotti.
Mio padre.
Ma non mi sentivo vincente nel vedere lui rimpiangermi stavolta.
No, nessun momento di gloria.
Nessuna soddisfazione.
Nessun attimo in cui ti senti importante.
No, in situazioni come queste si perde sempre in due.
Né vincitori né vinti.
Né perdenti né gloriosi.
Né sconfitte né esulti in tribuna.
È un pareggio amaro senza possibilità di recupero in tempi supplementari.
La questione è che la vita è una questione di tempi, di tempismi da non perdere e di scelte.
Se sbagli il tempo, cambia tappa, scegli l'altra opzione.
Se perdi il treno non sempre ne passa un altro, e anche se passasse, la sua fermata non sarà mai uguale a quella precedente.
Accontentati.
Se sbagli scelta non sempre c'è qualcuno disposto a darti un'altra opportunità.
Il problema è che gli uomini non sentono il rumore che fanno le donne andando via, ma subiscono in ritardo quello assordante della loro assenza.
Questo era successo ad Ignazio.
Il problema è che le cose non si rincorrono, non si aspettano con troppa indulgenza, perché le cose, alla fine, arrivano sempre quando ti stanchi e cerchi di guardare oltre.
Perché con l'insistenza non si ottiene mai nulla di buono, e ciò che vuoi, arriva sempre quando indietreggi.
Arriva sempre quando ti sei stufato di aspettare e stai per andare altrove.
Ed io l'ho detto che gli avevo concesso le mie attitudini e le mie capacità più rare: la devozione, la predisposizione, la remissività e l'accondiscendenza.
Però ho detto anche che queste immense virtù avevano un certo limite per poi arrivare alla saturazione.
Sono scorte che esauriscono senza nuovi rifornimenti.
Ecco, era quella la mia data incerta e naturale giunta a destinazione.
Adesso queste attitudini cominciavano a puzzare di stantio.
"Se vuoi farmela pagare non è questo il modo giusto, perché farai male anche te"
"No Ignazio non è così, credimi! È che io ti ho aspettato dandoti tutto e ora sono stanca! Ciò che mi impedisce di tentare è il fatto che sei stato egoista. Ti ho detto che ti amavo e tu non hai fatto niente....non ci riesco"
"L'ho capito adesso che non è solo bene quello che sento. Meglio tardi che mai!"
"Ma lo vedi? Non sei neanche capace di dirmelo chiaro e tondo! Si chiama amore! Quello che va oltre il bene, Ignazio, si chiama A-Mo-Re!"
"Ok si chiama amore! Mi sono innamorato di te Marta, l'ho detto! Io ti amo!"
Ho annuito.
Mi si è gonfiato un pochino il cuore, lo ammetto.
Mi sono sentita un po' più in alto dalla terra, non lo nego, ma poi ho capito che anche giù si poteva star bene tutto sommato.
Mi è parso di sorridere con gli occhi ma poi, in sostanza, non è servito a nulla dirmelo soltanto adesso.
Forse però il sapore di quel "ti amo" non era poi così indispensabile come lo era prima.
Forse adesso non ne avevo più lo stesso infinito bisogno di prima.
Allora anche se me l'ha detto io non me la sono sentita ugualmente.
Ma non è risentimento e non è rivalsa.
Non è un covo di rancore da serbare in cambio di mancanze subite.
No, era la semplice ma dura questione di tempi errati, treni che non vogliono fare retromarce sui binari perché hanno già deciso di ingannare altre mete, e soprattutto era questione di scadenze sorpassate mischiate ad una sana ripercussione di frenata.
Forse sono stata impassibile, razionale.
Forse avrò sbagliato o forse no, ma comunque ero un essere umano, una donna disillusa, non una Santa, e sbagliare è sempre stato un diritto umano inalienabile.
"Dimmi cosa devo fare per farti cambiare idea"
"Niente. Non c'è niente che tu possa fare perché io torno a casa mia... era già deciso"
"Quindi non ci rivedremo più?"
Il mio capo ad accennare un assenso a cui non avevo il coraggio di dare voce.
"Va bene...ok! Però l'hai deciso tu soltanto questo!" il suo tono severo a mostrarmi il suo disappunto più grande.
Il suo timbro marcato a manifestare il suo non essere per nulla d'accordo.
"L'ho deciso io" il mio ripetere a dare forza al senso di quelle parole, che vacillavano nella loro accezione di responsabilità.
E assumevo in custodia ciò che avevo deciso io.
Il suo voltarsi rassegnato e deluso era stata l'ultima immagine di lui che io mi concedevo.
Il ciuffo scompigliato nel vento era l'ultimo fotogramma che sceglievo per noi.
Ed io, con le mani strette a pugni nelle tasche del giubbino volevo consumare la stoffa, talmente insistevano ad affondare all'interno.
La chitarra adagiata ai miei piedi, fedele e sicura come nient'altro.
Un biglietto da comprare per il ritorno e un nuovo viaggio da fare.
Forse sono stata dura, forse le seconde chance dovrebbero esserci per tutti.
Forse ho peccato di avarizia nel perdono di negligenze.
Forse ero ancora troppo giovane per essere saggia, perché non sapevo ancora trovare le mezze misure, le sfumature diverse dal bianco e nero.
O mi davo troppo importanza o me ne davo per niente.
Però si è sempre detto che crescendo s'impara, ed io dovevo crescere ancora e ancora.
Altri anni, altre storie e altre esperienze a farmi da maestri.

La Storia In Una Fotografia (#Wattys2016)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora