Poi inventi il modo

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In quel risveglio a New York era cambiato inevitabilmente qualcosa.
Non si sa cosa esattamente.
Da un lato c'era la calma apparente che avevo deciso di ostentare, e dall'altro, la tacita rabbia chiusa in una gabbia mentre urlava per uscire.
Il fruscio delle pantofole che strusciavano sul parquet erano stata la sveglia al mio sonno disturbato e movimentato, nato soltanto insieme all'alba.
Avevo dischiuso appena le palpebre e lui era già in piedi di fronte al televisore acceso.
In accappatoio bianco, con il ciuffo bagnato e floscio sulla fronte e l'espressione attenta su un volume tenuto così basso, da rendere incomprensibile l'ascolto.
Ci avrei scommesso una mia mano che stava seguendo l'oroscopo su un canale americano, ma aveva spento la tv appena aveva sentito il rumore del materasso che si contraeva sotto i miei movimenti pesanti.
Era quella la conferma che in qualche modo io, nonostante non mi amasse, avevo modificato le sue abitudini, come lui le mie.
Perché le persone automaticamente ci entrano dentro e contribuiscono a formare la sostanza che siamo.
Volente o nolente siamo la somma di tutto ciò che viviamo.
Siamo spugne che assorbono circostanze e differenze.
"Era un astrologo quel vecchio seduto in poltrona o sbaglio?" avevo sbiascicato con la voce impastata e tirandomi su a forza, con una mano sullo stomaco ancora in subbuglio e l'altra sulla testa dolente.
Un raggio di sole inaspettato e infiltrato dalla fessura della portafinestra, era arrivato con la delicatezza di una bastonata negli occhi.
"Cosa? No... Non lo so, la stavo solo spegnendo. Marta io a vado a vestirmi poi ti aspetto giù per la colazione. Sul comodino ti ho messo un'aspirina in caso ti servisse. Comunque buongiorno!"
Mi aveva baciata furtivamente sulla fronte ed era corso in bagno così, quasi scappando, senza lasciarmi un diritto di replica, ma solo una smorfia arricciata sulle labbra.
Di quello che era successo la sera prima non ne aveva più parlato una volta uscito fuori da quel bagno.
Della mia sbronza restava solo il senso di stanchezza e la sensazione di un martello picchiettante sulla fronte.
Delle mie domande senza risposta restava il bacio del buongiorno sulla testa come se nulla fosse mai accaduto.
Delle canzoni cantante sulla panchina a Central Park restava solo un video girato sul suo telefono e di altri sconosciuti.
Del mio spiare i suoi messaggi restava un'amara conferma di un sospetto, che fin quando rimane tale è sopportabile, ma quando scopri che è vero, ti disturba la mente.

Tamburellavo nervosa con le dita sopra al tavolino in legno nel bar dell'albergo, mentre lui beveva un cappuccino e fissava imperterrito lo schermo del telefono in un silenzio assorto.
Quel dannato aggeggio che gli permetteva di contattare in totale libertà un ricordo che per lui non si decideva a divenire tale.
Non avevo mai odiato così tanto quella maledetta app.
E mentre lui si corrodeva dentro per un messaggio visualizzato senza risposta, io intanto leggevo su una rivista il mio oroscopo con sole due sfortunate e misere stelle in amore.
Scocciata lo avevo accartocciato senza riuscire però ad attirare la sua attenzione, rapita da chi sapevo io.
Un'espressione compariva amara sul suo volto ed era l'assenza di una notifica a disegnarla.
In fondo io e lui eravamo sulla stessa barca.
Un cane che si mordeva la coda.
Io innamorata di lui e lui di un fantasma che lo aveva giustamente spinto via dalla sua vita.
Non glielo avrei detto che lo sapevo.
Non lo avrei fatto per il semplice motivo che mi mancava il coraggio di lasciarlo andare, perché questo sarebbe successo se glielo avessi raccontato.

L'amore quando ti sfugge può diventare uno scherzo, un gioco con tendenza all'infedeltà e al paradosso. E il gioco porta inesorabilmente ad una sconfitta e a una vittoria.
Ed è strana la vita.
Per essere chiari però, non è la vita in sé ad essere strana, ma noi esseri umani a renderla tale.
Io potevo avere l'amore incondizionato e sincero di Marco.
Forse se avessi voluto cogliere il segnale, avrei potuto avere quello di Gennaro, che in silenzio continuava ad esserci per me nei suoi piccoli gesti e i mille modi per sfiorarmi volontariamente la mano per preparare anche un caffè al bar della stazione.
E invece mi ritrovavo a volere quell'amore bugiardo.
Quell'amore che della costanza e della meditazione non aveva nulla.
Un amore istintivo e pungente come una bomboniera di cristalli.
Brillante, mille facce, mille spigoli, una luce abbagliante e tagliente.
Quell'amore che restava conteso fra me e un'altra.
Quell'amore dal retrogusto amaro del cioccolato fondente.
Quell'amore gustoso, di poco zucchero ma perfettamente sincronizzato alle aspettative del mio palato.
Quell'amore che faceva male perché era un senso unico con alta probabilità di incidenti.
Quell'amore egoista e dannato.
Più che amore, era una passione in momenti rubati al tempo inesorabile che passava.
Ed io lo sapevo bene tutto questo.
Ero caduta nella posizione di chi non occupava un posto fisso, ma stavo in piedi ancora per quel controllo di me che riuscivo ad ostentare.
Ero precipitata in quel luogo comune da frase tumbr: preferire piangere per lui che ridere falsamente con un altro. Preferire diventare debole per lui, piuttosto che fingere forza e felicità con un altro.

La Storia In Una Fotografia (#Wattys2016)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora