Con la scusa di un accendino

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Quella sera proprio come pensavo non era venuto.
Forse non sapeva dove trovarmi.
Forse non ne valeva la pena.
Forse non aveva potuto.
Forse non aveva neanche un micragnoso senso rivederci.
Forse era anche inutile pensarci.

Nel dubbio che fosse arrivato dopo l'orario di chiusura del bar, avevo persino atteso qualche minuto in più sotto l'insegna spenta.
Avevo dato a me stessa la scusa che lo stavo facendo così, senza nessun preciso motivo.
Avevo spiegato a me stessa un atteggiamento sorto naturalmente, nell'ignoranza che farlo, significava confermare che una briciola di misera speranza, io l'avevo appoggiata nel pozzo profondo dei miei pensieri.
Appena ci avevo riflettetuto un secondo mi ero ridestata dal pensarlo, e dopo aver consumato troppo velocemente una sigaretta, me ne ero tornata a casa con Gennaro, sulla sua vespa.
Il meteo dava otto gradi e tanta umidità, e noi ci addentravamo vicini in una notte ancora giovane.
Una notte che se la ascolti bene, sa parlare.
Perché la notte, talvolta, parla al posto di un uomo e ti dice: "se sto accedendo il cielo buio insieme a te senza chiederti nulla in cambio vuol dire che ci tengo a farti luce".
La notte ha il sapore di parole non dette, perse in ore in cui i rumori si nascondono lontani, e spesso io fingevo di ignorare il gusto di certe premure.

Il vento freddo mi sferzava pungente in faccia e il naso diventava rosso.
I capelli si aggrovigliavano in dolci nodi sotto al casco e mi stringevo a spalle appena conosciute, capaci di proteggermi e tenermi caldo.
"Non lo sapevo che fumavi" mi aveva detto quella volta Gennaro con la voce camuffata dal casco, e sembrava un rimprovero il suo.
"Ci sono moltissime cose che non sai di me. Comunque lo faccio solo ogni tanto per sfizio"
E forse avrei dovuto aggiungere anche per il dispiacere di aver interrotto i rapporti con mio padre.
E forse avrei dovuto aggiungere anche perché facevo troppi film mentali su persone assolutamente improbabili e proibite.
Fare la regista di romanzi fantastici era l'attività celebrale più facile sulla faccia della terra.
Ma Gennaro probabilmente lo sapeva che qualcosa non andava, e sapeva anche che per me, lui, era soltanto un buon amico.

Non mi aspettavo e non pretendevo che Ignazio venisse a cercarmi per davvero.
Non credevo di rivederlo ancora veramente.
Non esigevo niente, perché niente c'era fra di noi, se non un maledetto e strano bisogno di assaporarsi un po prima di andare via, prima di scappare via senza darsi un altro preciso appuntamento.
Speravo soltanto che lui avesse capito ciò che gli avevo detto.
Speravo avesse colto il segno delle mie parole.
Lui doveva pensarci bene.
Lui era confuso.
In quell'incontro nella cabina fototessere, lui essendo fidanzato avrebbe dovuto tenere più distanza da me, e invece, mi aveva fatto capire altro o ero io ad essermi impressionta troppo.
Mi trovava casualmente lì al mare a suonare e mi parlava dei suoi impegni di cuore.
Mi diceva di aver tradito, specchiava nell'acqua uno sguardo quasi sofferente e poi mi sorrideva.
Confessava che non aveva la situazione sotto controllo e che gli piaceva starsene a parlare con una semplice sconosciuta come me, e poi stava ai miei baci.
Li gustava e li prendeva.
Era giusto baciarci e passare qualche istante insieme se volevamo farlo, ma arrivava anche il tempo di pensare dopo.
Io non ero alla ricerca disperata dell'amore.
Nutrivo solo un forte senso di attrazione, ma Ignazio non era niente.
Ignazio, io, non lo conoscevo.
Non ancora.
Ed io scappavo, scappavo sempre.
Inviavo segnali di via libera e poi sfuggivo in attesa che qualcun altro si muovesse incontro a me più sicuro nell'incedere.

Passarono altre due sere da quel giorno al mare.
Era il compleanno di mio padre ed io per la prima volta non gli avevo fatto gli auguri. Non lo avevo stretto forte al petto beandomi del suo odore di casa e protezione, celato dietro lo stesso dopobarba da ormai vent'anni.
Non lo avevo sentito più e tornare indietro era un ostacolo insormontabile per un orgoglio troppo forte come il mio.
Il turno al bar era appena finito, la serranda era stata appena abbassata e Gennaro se ne stava ad allacciare il casco in sella alla sua vespa gialla.
"Inizia ad andare tu io resto ancora un po in giro" gli avevo detto.
"Marta ma si pazz? È tardi, fa freddo ed è pericoloso stare da sola in questa zona"
"Hei non ti preoccupare. So badare a me stessa. Vai!"
"No piuttosto resto con te!" si era imputato lui troppo protettivo nei miei confronti.
"Veramente preferisco stare sola se non ti dispiace. Voglio prendere un po d'aria, camminare e riflettere"
"Prometto che sarò muto come un pesce. Mi metto di fianco a te ma sarà come se io non ci fossi" insisteva lui.
"Riflettere senza nessuno attorno intendevo. Mi faresti distrarre"
"Ma perché sono bello?" ed ecco che rischiava di farmi sorridere sinceramente con quel suo fare da scugnizzo.
E anche se lo conoscevo da un mese gli volevo bene veramente.
Era quello il problema.
Tanto bene.
Solamente bene.
"No scemo perché non sei capace di star zitto, inizi a dire cose stupide ed io finirei col ridere!"
"E allora? Cosa c'è di più bello del ridere su questa terra!?"
"Gennaro veramente.... No, stasera no per favore. Vai da solo a casa"
"Ho capito, hai la testa dura, però qualsiasi cosa succede chiamami ed io corro subito da te"
Ancora titubante aveva stretto il manubrio fra le mani, la chiave girava, l'acceleratore già premuto, il motore si era acceso e una nuvola grigia dall'odore fastidioso, si era dispersa fra di noi.
Il rombo di due ruote che stridevano sull'asfalto aveva per un attimo colmato il silenzio, e via, ero sola con il sentore di non restarci ancora per molto.

La Storia In Una Fotografia (#Wattys2016)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora