Adesso, ci sono io.

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Jaser.

Era passata una settimana, dall'incontro con Marta.
Quel giorno, dopo essersi fatta il bagno scappò dalla finestra, lasciandomi un bigliettino sullo specchio del bagno *Grazie di tutto, ma le anime sole sono destinate a restare tali, probabilmente. Addio, Jaser*.

Ripiegai con cura quel biglietto e lo misi nel portafoglio. Era l'unico ricordo tangibile che mi era rimasto di lei, l'unica ragione per la quale mi ostinavo a restare nella casa delle vacanze dei miei in quel paesino bellissimo ma deserto. Dovevo ritrovarla.

Ripassai diverse volte dal vicolo nella quale l'avevo trovata quel fatidico giorno. Niente, nessuna traccia di lei.

Ormai mi ero arreso all'idea che non l'avrei mai più rivista. Ma a distanza di una settimana, un impulso mi teneva ancora saldo in quel posto. Perché? Perché tanto interesse per quella ragazza?

Marta.

Ero scappata, come una codarda. Io, che vivevo tra i vicoli bui e malfamati di un paese di periferia, mi ero lasciata intimorire da due occhi affettuosi.
Forse l'amore, inteso come affetto sincero, non necessariamente come sentimento che ti spinge oltre all'amicizia, mi aveva impaurita. Era qualcosa che non conoscevo, non più, ormai.

Ero tornata a casa, una casa tanto odiata, che sapeva di polvere e ricordi amari.
Ma almeno avevo un tetto sulla testa.
Una parte di me voleva rivedere quel ragazzo, un'altra aveva paura.
Era passata una settimana. Avevo fumato più del solito. Avevo bevuto più del solito.
Decisi che avevo bisogno di rivedere quegli occhi.

Uscì dal mio rifugio, fisico e sentimentale, e andai verso la sua villetta.
Mi fermai davanti al cancello. Presi un bel respiro e citofonai.
Sentivo qualcosa di strano allo stomaco.
Mi piaceva?
No, non potevo cedere a questo genere di cose. I sentimenti non facevano per me.

"Chi è?" Chiese una voce incerta. Probabilmente non si aspettava di ricevere visite.
"Marta" risposi.
Sentì l'impulso elettrico del cancello essere emesso per tre volte. Jaser stava premendo il pulsante compulsivamente. Era felice?

Entrai nel giardino, e la grande porta della villa si aprì, svelando dietro un Jaser appena uscito dalla doccia, con solo un'asciugamano sulla vita.
Ero...imbarazzata?
Cosa mi succedeva?

"Ciao" lo salutai, senza lasciar trapelare nessuno dei pensieri che si affollavano nella mia mente.

"Ehm, ciao! Entra pure" mi invitò lui.
"Mi dispiace essere scappata quel giorno" dissi velocemente.
"Tranquilla. Ma perché lo hai fatto?"

Quella domanda mi spiazzò. Cosa rispondere. La risposta la sapevo, ma non volevo farla conoscere al ragazzo che mi scrutava perplesso. La droga, o l'alcool, parlarono per me. "Avevo paura".
Ormai mi ero spogliata della maschera.
"Paura? Tu? DI ME?!" chiese incredulo.
"Non di te. Ma di quello che rappresenti."

"E cosa rappresento? Chiese, avvicinandosi di più a me"

JASER.

Qualcosa mi spinse ad avvicinarmi a lei. Eravamo come due cariche opposte. Mi attraeva, ed io non potevo fare nulla contro questa legge fisica.
Ma lei, da negazione delle leggi qual'era, ci riusciva. Era immobile.

"Sei la prima persona che si avvicina a me, dopo anni. Era qualcosa di nuovo, o meglio, di dimenticato, l'affetto" mi disse.

Mi faceva tanta tenerezza. Sollevai una mano per scostarle i lunghi capelli neri dal viso. La sentì rabbrividire sotto il mio tocco. Cosa aveva passato per ridursi a questo?

"Dove sei stata, in questa settimana? Ho girato ogni angolo, senza trovare alcuna tua traccia. Pensavo - e feci una pausa, spaventato dal mio solo e stesso pensiero - pensavo ti fosse successo qualcosa di brutto" chercai un eufenismo. Non volevo neanche peonunciarla, quella parola.

"Tergiversi troppo - mi schernì lei - pensavi fossi morta? Io sono morta già da tempo" l'effetto della droga e di ciò che aveva bevuto iniziava ad impossessarsi di lei, delle sue parole.
"Ero a casa. O meglio, una vecchia villa abbandonata da diversi anni che una volta era casa mia. Mi fa male tornarci. Ma non mi andava di essere stuprata. Non potevo reggerlo. Allora ho deciso che ritornare lì sarebbe stato il male minore."

Mi veniva da piangere. Volevo fare qualcosa per lei.

"Hai tante cose, in quella casa? Intendo, vestiti, scarpe, cose personali?" Le chiesi.

"No, poche cose. Tutto ciò che avevo l'ho venduto per ricavarne un pò di soldi. Medagliette del battesimo, gioielli, alla fine anche i vestiti in un mercato delle pulci, per uno o due euro a capo. Ma ormai i soldi sono finiti, mi rimangono poche cose, il minimo neccessario, forse anche meno, per vivere tra persone civili. Allora mi lascio scopare sui marciapiedi, per avere un pò di erba o una bottiglia di vodka, se mi va bene ed il tipo è abbastanza sbronzo e imbozzato. Ma non so perché sto dicendo tutto ciò."

Ero shockato.
"Vieni a stare qui, fin quando non trovi una sistemazione adatta. Ti aiuto io. Però devi farmi una promessa: ti impegnerai ad uscire da questo circolo. Ci sono io, adesso"
La abbracciai. Lei si irrigidì, me l'aspettavo. Ma poi ricambiò l'abbraccio, e delle scosse attraversarono tutto il mio corpo.

"Grazie" sussurrò lei.
" Ora vieni, ti do una sistemata" le dissi.
Sapevo qualcosa sulle ragazze perché quando ero piccolo stavo spesso con mia madre. Quando si faceva i capelli, o mentre si truccava. Era bellissima, e mi piaceva guardarla. Quando glie lo confessai, mi disse "Un giorno, tesoro, troverai una donna che guarderai con altrettanto trasporto, per la sua bellezza".

Portai Marta in bagno. Dopo averla spogliata, la misi nella vasca, bagnandole i capelli, ed iniziando a passare lo shampoo. Sciacquai, e misi il balsamo. Lo lasciai un pò in posa, mentre prendevo dall'armadietto un borsello che mia madre lasciava sempre lì, con spazzole, una piccola piastra da viaggio e dei trucchi.
Sistemai tutto vicino al lavello, e tornai sui suoi capelli, sciacuando via anche il balsamo.
Lei se ne stava con gli occhi chiusi, beandosi, come l'altra volta, dell'acqua bollente sulla sua pelle.

Marta.

Avevo gli occhi chiusi. Ecco, cos'era il paradiso. Le sue mani forti che mi massaggiavano i capelli. Il mio corpo coperto di acqua bollente.

Mi aiutò ad uscire dalla vasca. Con un accappatoio mi asciugò ogni centimetro del mio corpo. Toccò ogni singola parte di me, senza alcuna malizia. Era un essere umano? O una creatura celeste scesa in terra in un paesino dimenticato dal mondo?

Asciugò i capelli con il phon. La sensazione dell'aria calda che sfiorava il mio corpo mi faceva venire i brividi. Lui se ne accorse, e sorrise.
Lui stava bene nel far star bene gli altri.

Passò la piastra suei miei capelli asciutti. Poi mi stuccò il viso, macchiato dal pesante trucco nero che era colato sulle guance. Mi mise il mascara, poi un rossetto rosa.
Mi sentivo una principessa, tanto mi stava coccolando.
"Seguimi" mi disse.
E così feci.
Mi portò in una camera da letto. Lui rovistava nell'armadio, ed io fui attirata dall'aspetto morbido e accogliente di quel letto. Mi ci gettai sopra, sprofondando nel buio dei miei sogni più nascosti.

SPAZIO AUTRICE_

HELLO UNICORNS!
Ecco il secondo capitolo.
Come mia consuetudine (chi segue l'altra storia, che vi invito a leggere, lo sa) aggiorno ogni giorno, salvo imprevisti.
Questo è un pò un capitolo di transito. Dal prossimo inizieranno le loro peripezie.

LASCIATEMI UNA STELLINA E FATE FELICE QUESTO BLACK UNICORN.❤🌼

BYE!

Psycho || Jaser Saved Me.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora