Capitolo 11

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"Ragazzi fate assoluto silenzio, ci siamo intesi?" Dice Nathan guardandomi negli occhi.
Faccio un cenno col capo in segno di conferma. Siamo all'interno di un auto abbandonata, di fronte al supermercato appena fuori Fort Baker, dove Connie e suo fratello sono stati inseguiti dagli infetti. So che può sembrare un'idea alquanto stupida ritornare qui, ma abbiamo veramente bisogno di provviste e, anche se è solamente un supermercato, dobbiamo trovare qualcosa con cui difenderci: gli infetti sono troppi e scappare solamente non basta più.
Prima di uscire Nathan si gira e dice " Allora ragazzi statemi ad ascoltare, il piano è questo: entriamo nel supermercato e, visto che non ho intenzione di rimanere molto fra quelle quattro mura decadenti, ci dividiamo. Ognuno prende una corsia diversa, se vi trovate faccia a faccia con uno di loro, non azzardatevi ad urlare o a chiamare aiuto"
"Ma così ci faremo uccidere" lo interrompe Aaron
"No, fammi finire ricciolino. Allora dicevo, se ve ne trovate uno davanti, non fate alcun rumore, ma immobilizzatevi. Prendete qualcosa vicino a voi e lanciatelo il più lontano possibile. Ho scoperto che, coloro che sono infettati da più tempo, sono ciechi, inseguono solo i rumori"
"Come riconosciamo quelli appena mutati da quelli infettati da più tempo?" Chiede Aaron
"Appena ne vedrai uno capirai, comunque state tranquilli, in questa zona sono tutti in uno stato avanzato della malattia, Fort Baker è una piccola cittadina, il virus si è diffuso velocemente nella prima settimana, è difficile che ci siano nuovi infetti. Comunque se ne trovate uno, nascondetevi, sono un po'.. Beh.. Stupidi, non si accorgeranno di voi. Allora, tutto chiaro?" Chiede scrutandoci uno a uno
Arrivato a me, alzo timidamente la mano e allora mi dice "Dimmi "
"Beh, dopo aver preso ciò che ci serve, che facciamo?"
"Bella domanda Biancaneve! A questo non avevo pensato, Connie qualche idea?"
"Potremmo trovarci di nuovo qui, dove siamo ora"
"Brava sorellina, buona idea"
Nathan sembra stranamente di buon umore oggi. Se gli avessi fatto questa domanda un altro giorno mi avrebbe sicuramente risposto male. È molto lunatico, bisogna ammetterlo.

Apriamo lentamente le portiere della macchina che producono un lieve scricchiolio e le riappoggiamo. Corriamo in punta di piedi fino alla vetrata sfondata del supermercato e varchiamo la soglia. Gli scaffali sono quasi vuoti, sono rimaste solamente le cose che, in momenti come questo, non servono a nulla, come giocattoli per bambini, trucchi o decorazioni per la casa. Comunque oltre a queste cose, sopra agli scaffali ci sono moltissime macerie a causa del crollo di parte del soffitto. Nell'aria si sente odore di polvere e di marcio. Non riesco a sopportare questa puzza, probabilmente con il tempo non la sentirò più, ma intanto mi porto la manica della felpa al naso per coprirlo. Come dal piano prendiamo ognuno strade diverse. Sono finita nel reparto cibi in scatola, sarebbe il luogo perfetto se non fosse per gli scaffali letteralmente vuoti. Avanzo per la lunga corsia di qualche passo finché non calcio per sbaglio qualcosa. Guardo a terra e vedo un barattolo di latta, leggo l'etichetta  "Ananas sciroppato". Non sarà molto, però è pur sempre cibo, quindi lo raccolgo e lo ripongo nel mio zaino. Il mio naso ormai si è abituato all'odore del negozio, ma nonostante questo non vedo l'ora di uscire per rivedere la luce e respirare un po' di aria fresca.
Procedo per la mia strada, ma non trovo altro che mattoni e polvere. La corsia finisce e invece di ritrovarmi in un altro reparto, mi si para davanti una porta con un cartellino con su scritto "PRIVATO". Da piccola ho sempre pensato che dietro a queste porte ci fosse un mondo magico al quale solamente coloro che lavoravano al supermercato vi potevano accedere. Quanto mi piacerebbe tornare a quei tempi, quando tutto sembrava possibile. Mi scrollo via questo pensiero e abbasso molto lentamente la maniglia della porta. In un primo momento ho pensato fosse chiusa, poi ho capito che era solamente un po' arrugginita. La apro cercando di non farle fare alcun rumore, entro nella stanzetta e mi richiudo la porta alle spalle. Prima di muovere un passo mi immobilizzo e mi guardo intorno: anche qui le macerie hanno la meglio sul resto della stanza, inoltre la puzza di marcio qui è molto più forte di prima. Sulla mia destra si trova una piccola scrivania e una sedia da ufficio blu. Sulla sedia c'è il cadavere di un uomo della sicurezza. Mi sforzo di non vomitare, le sue braccia sono ricoperte da croste gialle e nere, mentre il suo viso è coperto dal cappello. Non sono sicura sia morto, ma comunque sto in silenzio e procedo con la mia osservazione. Sulla sinistra si trova un distributore d'acqua ribaltato e un'altra porta. Prima di procedere guardo nel cassetto della scrivania facendo sempre attenzione all'uomo sulla sedia. Al suo interno trovo solamente qualche penna e molte scartoffie. Delusa mi dirigo verso l'altra stanza. Provo ad aprire la porta ma è chiusa a chiave, bello. Allora mi volto e vedo che, appeso ai pantaloni dell'uomo, si trova un mazzo di chiavi. Vado verso di lui allungando la mano in direzione delle chiavi. Da quando sono entrata non si è mosso di una virgola, ma preferisco non fidarmi. Timidamente prendo le chiavi e il moschettone appesi ai suoi pantaloni. Tra il mazzo vedo che c'è anche la chiave di un'auto, BINGO! Mi si disegna un sorriso in volto, questa ci serviva proprio. Sto per voltarmi quando l'uomo di scatto mi afferra il braccio, mi divincolo dalla sua presa e corro in un angolo della stanza. Ora capisco perché Nathan diceva che si riconoscevano quelli ciechi. Ha una grossa crosta, o un grosso strato di pelle non capisco, sulla faccia, proprio al posto degli occhi. È una vista orrenda, ma devo rimanere lucida. Cercando di arrivare all'uscita, calcio involontariamente il distributore dell'acqua, che immediatamente attira l'attenzione dell'infetto. Tra me e me penso che, come nei film, arrivi qualcuno a salvarmi, facendo fuori quella cosa che sta per far fuori me. Ma come ho detto prima, questo succede solo nei film. Allora prendo un mattone, e cerco di lanciarlo lontano da me, ma la paura gioca brutti scherzi, così invece di tirarlo in un punto della stanza, il mattone arriva dritto in faccia all'infetto. Scuote la testa intontito e gli cade la mandibola. Uhm, non è proprio ciò che mi aspettavo ma può andare come idea, afferro un altro mattone e lo scaravento contro l'infetto portandogli via un pezzo di cranio. Cerco a tastoni qualcos'altro da poter lanciare finché non mi viene alla mano un paletto di ferro, che probabilmente apparteneva al soffitto un tempo. Mi alzo e corro verso di lui, conficcandogli il paletto dritto nel collo, perforandogli la gola e sporcandomi il viso di sangue. Cade a terra e continuo a colpirlo finché non mi stanco, sporcandomi anche tutti i vestiti. Mi alzo, metto il paletto nello zaino e mi rendo conto di aver ucciso qualcuno per la prima volta.
Guardo ciò che ho fatto e inizio a piangere ripentendo sottovoce "Oddio.."
Apro la porta chiusa a chiave e mi trovo di fronte una stanza vuota. Entro e mi siedo a terra, continuando a piangere.
Dopo una decina di minuti, sento bussare e vedo Nathan sulla soglia della porta.
"Eravamo già tutti in auto, tu non arrivavi mai, sono venuto a cercati"
"Non ce la faccio più" dico piangendo
"Vieni qui"
Non gli dò corda e rimango seduta a terra, perciò si avvicina lui, mi aiuta ad alzarmi e fa una cosa che non mi sarei mai aspettata, mi abbraccia. Non è un abbraccio di un amico che cerca di consolarti, è un abbraccio caldo, diverso dal solito.
"Non avere paura. Sei forte Amber, molto più forte di tanti altri"
Non ricambio l'abbraccio, ma lui continua a stringermi a sé. È così rassicurante. Nathan mi lascia andare, mi asciugo le lacrime e lo seguo fino alla macchina dove ci sono gli altri.
"Ehm ragazzi, ho le chiavi di un'auto" dico entrando nella macchina. Ho gli occhi di Connie ed Aaron puntanti addosso e posso capire il perché.

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