1 Capitolo

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«Svegliati. » la mamma mi scuote leggermente e mi scocca un bacio sulla fronte prima di uscire. Guardo verso il comodino e cerco a tastoni il cellulare. Lo prendo e guardo l'ora sul display, le 06.30. Mi siedo sul letto e mi stropiccio gli occhi sbadigliando, appoggio i piedi per terra e mi alzo diretta al bagno. Come sempre tento di entrare ma è già occupato da uno dei miei fratelli, probabilmente Lucas, il più grande. «Lucas! Apri! » urlo battendo con il pugno sulla porta. «No! Aspetta! E poi, ce un altro bagno di sotto! » urla lui di rimando. «Ma io sono incinta! Fammi entrare! » tiro un calcio alla porta. La porta si socchiude quanto basta per vedere uno dei suoi occhi azzurri e qualche ciocca di capelli castani. «E io sono più grande. » dice sorridendo e chiudendo la porta. «Di un anno! » dico esasperata. Lo sento ridere e scendo le scale imprecando. «Devo andare anche io in bagno! » vedo qualcosa, o meglio qualcuno, sfrecciarmi accanto di corsa. Appena realizzo che è quella peste di mio fratello mi metto a correre dietro di lui per raggiungere il bagno. «Scricciolo! » urlo cercando di superarlo. «Non sono uno scricciolo! Ho sei anni! » ribatte raggiungendo il bagno e chiudendosi dentro. Batto una mano sulla porta e urlo esasperata.
Ma chi me lo fa fare di correre per accapparrarmi un bagno alle 6 e 30 del mattino?
Mi appoggio al muro e mi lascio lentamente scivolare giù con fare alquanto teatrale.
«Ei, lasciate un bagno a vostra sorella! » urla papà passandomi accanto. Mi guarda con un mezzo sorriso e scuote la testa.
La porta si apre e quella peste di Bryan esce sorridendo. Lo guardo attentamente e per qualche secondo mi appello a Yoda nella speranza che la forza mi aiuti a tirargli i capelli senza toccarlo.
Dopo aver fallito nel mio intento, e aver deluso il grande Yoda, entro in bagno chiudendomi dentro. Finalmente posso pisciare!
«Amore muoviti. » urla la mamma battendo piano sulla porta.
Ma un attimo di tranquillità? Chiedo troppo?
Tiro su i pantaloncini e tiro l'acqua, mi lavo le mani ed esco dal bagno. Vado in cucina e vedo Lucas pronto fare colazione, papà mentre beve il suo caffè, Bryan che mangia una frittella e mamma che si sta sedendo a tavola.
Mi godo questa tranquillità, tra qualche mese probabilmente a quest'ora non sarà tutto così silenzioso.
Per un attimo mi perdo a fissare nel vuoto e a pensare al esserino che porto in grembo...
«Tesoro, oggi vai alla nuova scuola, poi dobbiamo andare in tribunale per... Quello che è successo e poi fai quello che vuoi. » elenca la mamma ad occhi bassi.
Mi riporta alla realtà.
"quello che è successo". Cioè quando quel... Essere che credevo mio amico mi ha fatto... Quel che ha fatto.
Ripensarci non mi fa male, mi da la nausea.
Mi fa schifo.
Annuisco e mi siedo a mangiare. In realtà il mio appetito è poco, ma sto creando un umano, quindi mi tocca fare uno sforzo.
Finito di mangiare corro di sopra a prepararmi.
Dalla sedia prendo una canotta nera e degli skinny jeans neri strappati alle ginocchia.
Indosserò gli skinny jeans fino a quando la pancia me lo permetterà.
Mi vesto in fretta ed infilo le All Star, prendo la borsetta dei trucchi e mi chiudo in bagno.
Truccarmi mi ha sempre aiutata a sentirmi più me stessa.
Che sia un trucco semplice e naturale oppure un trucco più marcato.
Non è superficialità, ma Truccarmi mi aiuta anche nei giorni in qui mi sento un po' più giù.
Metto una linea di eyeliner e il mascara, spazzolo i capelli e mi lavo i denti.
Rimango a fissare il mio riflesso allo specchio... Posso farcela?
Sì.

«Vuoi che ti accompagno?» domanda la mamma guardandomi. Scuoto la testa e le bacio la fronte uscendo dalla macchina.
Amo mia mamma e la ringrazio per tutto l'appoggio. Ma la sua emotività è l'ultima cosa che mi serve in questo momento.
Mi stringo nella giacca e attraverso a grandi passi il cortile pieno di ragazzi e ragazze. Non so se mi guardano, mi ignorano o altro, non m'importa.
Preferisco non pensarci.
Entro dentro la scuola e mi dirigo verso la segreteria.
Una donna sulla ventina mi guarda e mi viene incontro sorridendo. «Sei la nuova ragazza? La preside ti aspetta. » dice sorridente e mi indica una porta.
Mi sento in un film adolescenziale americano.
Sorrido ed entro.
Dietro ad una grande scrivania di legno nero c'è una signora sulla cinquantina, i lunghi capelli neri raccolti e gli occhi scuri che mi scrutano. «Siediti. » mi ordina gentilmente.
Si può ordinare una cosa in modo gentile?
Beh, immagino proprio di sì.
Faccio come dice. «Ho parlato con tua mamma e gli assistenti sociali, mi hanno informata del perché hai cambiato scuola.» mi informa guardandomi.
Rimane a scrutare il mio viso.
Probabilmente si aspetta qualche lacrima, o tristezza.
Ma non mi è rimasta tristezza. Bensì disgusto.
«I tuoi professori sono al corrente della cosa, e penso che spiegare un po' ai tuoi compagni come stanno le cose sia una buona cosa. La scelta, ovviamente è tua.» continua, annuisco, non mi faccio problemi.
«Io e i tuoi insegnanti ti aiuteremo come potremo, potrai sempre contare sul nostro aiuto. Ovviamente deve esserci impegno dalla tua parte.» annuisco sorridendo.
L'impegno ci sarà.
Mi sto impegnando semplicemente per alzarmi da qualche mese... Quindi, questo sarà piuttosto facile.
Lei sorride leggermente e sospira. «Sono sicura che non ci deluderai e che riuscirai a superare il tutto. Ora vai, la tua classe è la quarta B.» finisce con un gesto della mano.
Annuisco e mi alzo. Esco dalla presidenza e inizio a camminare senza sapere dove andare.
Chiedere aiuto a qualcuno? Nah, non è da me. Preferisco girovagare nella speranza di intopparmi in qualche portale intergalattico e ritrovarmi insieme ai guardiani della galassia da qualche parte.
«Ti accompagno? » domanda una ragazza. Probabilmente ha notato che non ho la più pallida idea di dove andare.
Addio all'idea del portale intergalattico.
Sembra un cerbiatto. Due occhioni azzurri occupano una buona parte del suo viso.
Annuisco e mi lascio guidare. Iniziamo a salire le scale. «Come mai hai cambiato scuola verso gennaio?» domanda timidamente.
Faccio spallucce e scuoto la testa.
«Non mi trovavo in quella vecchia. Ho pensato che cambiare aria fosse la cosa migliore.»
La ragazza annuisce. «Comunque mi chiamo Camilla. » dice sorridendo. «Maya. » sorrido a mia volta. «Ma... Come sai dove devo andare? » domando perplessa.
Maya, come si dice? Non fidarsi degli estranei.
Però siamo in una scuola... Quindi fidati e spera di non finire nella classe sbagliata il primo giorno.
«Perché sei la mia nuova compagna. » risponde sorridendo.
Almeno non finirò nella classe sbagliata il primo giorno.
Arriviamo, esauste, al terzo piano e camminiamo per il lungo corridoio colorato, non ce un solo muro pulito, sono tutti colorati con varie tecniche diverse. È fantastico!
L'arte in sé è fantastica.
Esprimere ciò che senti, ciò che provi attraverso forme e colori... È magico. «Ecco, questa è la nostra classe. Ora abbiamo matematica. » dice sbuffando.
Mi riporta alla realtà.
Matematica? La mia discalculia fa le capriole.
Bussa due volte alla porta e apre. La classe ci guarda e una donna sulla quarantina ci guarda da dietro la cattedra mentre tiene in mano un gesso.
«Camilla. » sospira la professoressa, Camilla sorride e mi spinge delicatamente in avanti.
«La nostra nuova compagna di classe: Maya! » esclama Camilla sorridente.
Mi sento come se fossi nella bocca del lupo. Qualcuno mi salvi.
La profe le fa segno di andarsi a sedere e lei va ridendo.
Noto la disperazione sul viso della povera donna che chiede aiuto perché probabilmente non li sopporta più. «Ciao Maya, io sono la professoressa Depontino Alessandra, insegno matematica.» sorride lei.
Annuisco e mi guardo intorno, tutti gli sguardi sono fissi su di me.
Non è una sensazione odiosa quando succede?
«Siediti vicino a Camilla. » ordina la profe con una nota di disperazione nel pronunciare il suo nome.
Ma che è? Un demone sta ragazza che la fa disperare così?
L'ironia? Una piccola arma di difesa, scusate.
Annuisco e vado verso Camilla che è all'ultima fila e mi guarda sorridente.
Non so voi, ma io mi fido poco delle persone che di mattina sono sorridenti.
Come fate? Non è possibile, dai.
Mi siedo e mi appoggio sullo schienale in legno della sedia.
Sedie scomode e dove trovarle.
Ma se usassi la scusa della gravidanza per cercare di farmi aggiungere un cuscino?
Mh, no. Non funzionerebbe.
«Vi presenterete tutti, uno alla volta. Poi potrete chiacchierare un po' con la nuova compagna. » dice fissando la classe da dietro gli occhiali.
Si siede sulla sedia e fa un messo sospiro. In poco tempo si distrae dagli alunni.
Iniziano a presentarsi tutti, uno alla volta e in modo ordinato.
Arriva il mio turno.
Dovrei dire che sono incinta? Prima o poi si noterà.
Mi torna il sapore dolce amaro. Prima che io possa decidere se aggiungere o meno il fatto della mia gravidanza, una ragazza mi precede domandomelo.
Rimango un attimo a guardarla.
Cerco di capire se lo dice con scherno o perché è seriamente curiosa. Alla fine annuisco ma la profe batte una mano sulla cattedra.
Tutti si zittiscono.
«Non credo sia opportuno parlarne, magari Maya preferirebbe che voi vi faceste i fatti vostri riguardo a questo argomento.» dice sedendosi sulla cattedra.
Da una parte la ringrazio, dall'altra no.
Non mi piace che la gente parli al mio posto.
Però, in questo caso, mi ha aiutato.
La ragazza si gira a guardare una sua amica. Ma nessuno fiata.
La lezione riprende.

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