twenty-seven.

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Michael guidò per ore, si fermò solo per fare benzina, e lo sguardo ferito di Calum quando lo aveva cacciato di casa era tutto ciò che riusciva a vedere oltre alla strada davanti a lui. 

Solo dopo essere salito in macchina, aveva capito che quello di Cal non era uno scherzo, e che non avrebbe dovuto fare niente di quello che aveva fatto. Come si sarebbe sentito lui se si fosse sentito dire da sua madre che doveva andare in un istituto psichiatrico?

E ora che cos'avrebbe potuto fare?

Lasciò passare un paio di giorni, che visse pieno di sensi di colpa e di ricerca su Internet, e accostò di sera al solito McDrive che non era un McDrive. Ma non c'era Calum. 

C'era Ashton.

Ebbe un'improvvisa voglia di scappare di lì, soprattutto quando Ashton lo vide e lo riconobbe.

- Non vengo lì fuori a prenderti a pugni solo perché ci sono telecamere ovunque e questo lavoro mi serve, - lo salutò.

- Dov'è Calum? -

- Non qui, come puoi vedere. Ha lasciato una cosa per te. Non te lo meriti, ma tieni, - e gli diede un paio di post-it azzurri.

Michael ripartì e, tornato a casa, li lesse.

Vorrei dire che mi sento in colpa per essermela presa così tanto con te, ma non sento nulla. Mi sento tradito, anche se fra noi non c'era niente. Mi sento tradito perché avrei voluto che tu mi credessi, o che almeno fossi disposto ad ascoltarmi.

E forse scrivere su questi post-it sapendo che potresti non leggerli mai mi fa sentire ancora più stupido di quanto mi senta normalmente. Inutile.

Vorrei non averti mai conosciuto, vorrei non averti ascoltato quando mi parlavi di Luke e vorrei non essere mai uscito con te. Vorrei non piangere ogni volta che penso al modo in cui non mi hai creduto. 

Ma come?

Per quanto drammatico ed egocentrico sia, sono io ora quello con il cuore spezzato, o come diavolo l'hai definito, ed è colpa tua.

Calum.


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