Capitolo 1.1: E poi arrivo io, piccolo dannato ibrido

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Vi starete chiedendo com'è essere la parte proibita di qualcosa, quello che non dovrebbe essere, che non dovrebbe esistere. La negazione venuta al mondo e in un mondo già abbastanza complicato, in una città dove uomini normali convivono con licantropi e questi ultimi sopportano i vampiri, che a loro volta se ne tengono alla larga dato il loro naturale e primordiale odio nei confronti di tali esseri abominevoli come se poi loro succhia-sangue fossero normali. Ma la normalità non esiste e soprattutto non ce n'è traccia a Rosemary Town perché qui, nella mia piccola città vicino ad un adorabile boschetto, tutto va bene e tutto si tollera purché non sia oltre.
E io sono oltre.
Milleni di convivenza pseudo pacifica, di occhi chiusi e facce voltate davanti all'evidenza e poi arrivo io: piccolo dannato ibrido mezzo vampiro e mezzo licantropo, con i capelli nero-grigio come la notte più scura, ma illuminata dalla luna: simile al pelo del più fiero degli alfa; occhi giallo-dorato con piccole pagliuzze scarlatte (appena visibili) come il più comune dei vampiri; pelle chiarissima, udito finissimo, vista acuta. Controllo su sete di sangue e trasformazione. Oh, si. Sì questa è la cosa che più odiano di me. Ma che ci posso fare? Vantaggi dell'essere un meticcio. Poi vi spiegherò meglio. Promesso. Ma torniamo al fatto che io non dovrei esistere. Già, perché, sapete, i miei genitori non erano e sottolineo erano poi tanto diversi da tutti gli altri abitanti di Rosemary Town prima che io nascessi. Mio padre era ed è ancora un licantropo della tribù di Dawn e mia madre era un'umana ed è ad oggi un vampiro. Una normalissima umana, una sventola da paura (passatemi il termine eh...) con lunghi capelli biondi e occhi verde-giallo, pelle rosea e guance color pesca,  avrebbe fatto innamorare chiunque: anche un lupo mannaro. E così fu. E da come lo raccontano fu un amore da favola, bellissimo; adorano parlarne e a me piace vedere come la versione a parole del loro amore sia sempre la stessa e come gli occhi di entrambi vibrino e luccichino sempre intensamente e al medesimo modo. Stupendo. Semplicemente magnifico e quasi mi vien da piangere a pensare che io invece, lo avrete capito, non ho molte possibilità essendo un dannato piccolo ibrido, ma torniamo a loro. Si innamorarono e anche se inizialmente i Dawn storsero il naso, riuscirono a stare insieme e a costruirsi il loro piccolo angolo di paradiso: una casetta vicino alla periferia, ma non troppo distante dal centro (dove vivevano i genitori di mia madre) e ovviamente nemmeno eccessivamente lontano dal luogo dove risiedeva il branco o tribù di mio padre. Andava tutto bene, erano felici fino a che... fino a che mia madre non perse i tre gemelli che aspettava. Erano anni che ci provavano. Anni. E li persero, persero tre vite e a volte mi chiedo perché. Perché far morire loro e far vivere me? Tre vite per una sola... no, i conti non tornano, insomma, mi capita spesso di pensare che il risultato di una tale triste equazione avrebbe dovuto essere qualcosa di fantastico, qualcuno di molto speciale, destinato a grandi cose e invece sono solo io. Sono arrivata solo io. Ma non corriamo troppo eh. Ok, quindi mia madre aveva perso tre  bambini in una sola volta, era distrutta e così potete solo immaginare quale sorta di miracolo apparve a lei e a tutti, a meno di un anno dalla disgrazia, una nuova attesa. Una dolce attesa. Certo non avrebbero potuto immaginare quello che sarebbe successo poi, quello che avrebbe portato alla nascita di qualcuno o qualcosa che avrebbe infranto la linea sottile della loro presunta normalità all'interno della quale si sentivano tanto al sicuro: lì proprio al cuore della loro dorata ipocrisia. No, ancora non si rendevano conto di quello che avrebbe portato alla nascita di un piccolo dannato ibrido

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