Le campane

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Il cielo grigio dell'inghilterra non era mai stato cosi scuro e plumbeo. Una nube spessa avvolgeva il sole e non lasciava filtrare neanche un raggio di quella stella.
Ero seduta sul davanzale ligneo della finestra, con il blocchetto in mano e la penna stilografica.
Ogni tanto mi capitava che qualche bambino o bambina  della mia età mi chiedesse di giocare con loro, magari ostentando un gioco o qualche espediente per divertirsi, eppure io non ero attratta da quei colori, anzi, li ignoravo, perchè si lo ammetto: non ritenevo quei bambini degni di essere miei amici.
Passavo le mie giornate a osservare la torre delle campane, il cancello dell'orfanotrofio, quasi sempre chiuso, e rispondevo solo alle chiamate di Watari, che si materializzava di tanto in tanto chiedendomi come stavo, o per avvertirmi del pranzo e della cena.
Inizialmente, appena arrivata in orfanotrofio, tutti mi guardavano in maniera stupefatta. Non so se fosse dipeso dai miei lunghi capelli marroni eccessivamente spettinati, o dai miei occhi dalle tonalità nocciola, talmente caldi che contrastavano con il mio comportamento freddo.
Io non sentivo la necessità di parlare con nessuno; ancora prima di relazionarmi con qualcuno, percepivo che quei bambini non mi avrebbero capita, che mi avrebbero scansato o che avrebbero fatto circolare strane voci su di me.
E in tutto questo, preferivo che circolassero voci per quello che sembravo, che non per quello che ero.
[...]
Non ricordo molto dei miei genitori, nella mia memoria ci sono solo immagini sbiadite e molto vaghe. Ricordo benissimo peró il rumore che fece il cancello quando si aprí. Strinsi la mano a Watari e  tremai per un istante alla vista di una costruzione talmente imponente e sconosciuta a una bimba di soli 7 anni. Ben presto mi ambientai e cominciai a giocare con la penna e il blocchetto che mi aveva dato l'anziano signore; ogni tanto mi capitava di buttare giu un paio di linee, o di disegnare quello che vedevo. Forse era proprio quell'insieme di fogli che tranquillizzava i bambini che mi vedevano seduta a osservare il panorama... pensavano stessi per disegnare qualcosa...
Ma si sbagliavano.

Quel giorno rimarrà impresso per sempre nella mia memoria: il cielo era nuvoloso e pioveva a dirotto. Ero seduta e avevo da poco declinato l'invito a giocare di un altro bambino, quando vidi il cancello aprirsi.
Quell'avvenimento fu alquanto singolare, perchè in concomitanza con l'apertura del cancello suonarono le campane della torre.
Portai una mano contro il freddo vetro della finestra e lo strofinai con la manica per asciugarlo dalla condensa.
Vidi un signore, probabilmente Watari, che aveva per mano un bambino tanto piccolo quanto magro. Era imbottito in un cappotto pesante, e coperto in volto da una sciarpa; le brunissime ciocche scompigliate che ricadevano sulla candidissima fronte, attirarono il mio sguardo...
Avevo visto pochi bambini cosí sicuri nell'attraversare il vialetto che portava alla scalinata, forse fu per quello che rimasi colpita da lui. Entrarono dal portone, e io in silenzio mi distanziai dal vetro e scesi a terra alzandomi.
Raggiunsi lo studio di Watari:  non ci era permesso entrare ma ero curiosa di vedere quel bambino in volto.
Aspettai poggiata al muro, e poco dopo comparve l'anziano, che lasció la mano al fagottino dai capelli Corvini.
Era lievemente incurvato e non riuscivo a distinguere il suo volto; si sedette su una sedia in una maniera stranissima, forse anche più strana di come mi sedevo io.
Lo seguii a ruota, quella fu la prima volta in cui IO andai a chiedere a qualcuno di parlare con me; ed ebbi modo di capirlo e di averne la conferma più volte: quel bambino era speciale.

N.a.
Ciao ragazzi!
Vi propongo questa nuova storia, che continuerò se vi piace^^
Saranno capitoli più lunghi💗
Spero gradiate
                                                             ~Clitz

Death note: Who were You?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora