Arrivederci

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Le giornate si susseguivano in maniera monotona, forse un po' noiosa; eppure io ero abituata al lento scorrere del tempo tipico delle città inglesi- e soprattutto di Winchester- al punto da non farci più caso.
Erano passati gia 5 anni da quando Elle era arrivato all'orfanotrofio; mi sembrava ieri che era ancora un piccolo puffo dai folti e scompigliati capelli corvini. Ora penserete fosse cambiato estericamente, ma no tranquilli: quelle ispide ciocche more erano rimaste immutate, in tutta la loro soffice bellezza. Era la sua personalità a essersi strutturata, il suo modo di essere a divenire più definito e la sua mente a dare primi segnali di un' intelligenza straordinaria e molto versatile.
Watari, con il passare del tempo, si era dimostrato sempre piú interessato alla relazione che avevo con Elle: forse era felice che il ragazzo avesse trovato qualcuno di simile a lui.
Anche se si mostrava stupito dalla facilità con la quale interagivamo, io sospettavo,  e sospetto tutt'ora, che il mio incontro con Elle fosse stato voluto da lui... studiato ad arte. Anche se ammetto di non aver mai capito la motivazione.
«Heaven, mi potresti dare una mano con questo quesito?»
Ogni tanto interpellava me per avere pareri su alcuni giochi di logica, ed era straordinario- lo dico da sola -come potessimo giungere alle stesse conclusioni.
Eravamo entrambi molto testardi , competitivi e eccessivamente infantili; tanto che una volta arrivammo ad azzuffarci per stabilire chi di noi avesse ragione riguardo una dimostrazione di geometria Euclidea. Devo ammettere che ci procurammo due belle cicatrici: lui sul braccio, io sul collo.
Eppure io, in fondo, dentro di me, sapevo che lui era molto piú abile di me, anche se forse non sembrava. Era una strana sensazione, quella consapevolezza di essere inferiore a qualcuno, mista alla convinzione di essere la migliore, strutturatasi con anni e anni di complimenti. Ma a me andava bene cosí: finchè il solo più bravo di me fosse stato Elle, la questione era accettabile...

2 anni dopo...

«Heaven, Elle... dovrei parlarvi...» esordí in modo semplice Watari, un caldo pomeriggio di Marzo.
Io e il ragazzo ci riunimmo nel suo studio, e ci sedemmo- se cosí si puó dire-  sulle due poltrone di velluto verde.
L'anziano signore si sedette dietro la scrivania di legno, corrosa dal tempo e rigata da tutte le parti.
«ragazzi, come ben sapete avete quasi raggiunto l'età adatta... per incominciare a lavorare...»
L'anziano tiró fuori dei fogli, sui quali erano riportati dei punteggi.
« i risultati dei test sono stati eccellenti; come sapete siete i due ragazzi più bravi dell'istituto... è arrivato il momento...
La scelta è ricaduta su Elle»
Guardai passivamente Watari, e subito dopo Elle: non si era scomposto minimamente.
«a partire dalla prossima settimana potrete lasciare entrambi l'istituto...
Tu Heaven spero prenderai parte nella polizia... vero?»
Socchiusi gli occhi, Watari stava bluffando alla grande, sapeva che non avrei mai collaborato con la polizia: troppo assoggettati all'autorità, troppo idealisti in alcune occasioni.
«non so...» conclusi brevemente io.
Uscimmo in silenzio e lasciammo l'anziano alle sue documentazioni.
Lasciare l'orfanotrofio era qualcosa di improcrastinabile: ormai ero grande abbastanza e se Elle avesse intrapreso la carriera di Detective Watari lo avrebbe seguito...
Mi portai le mani dietro la schiena.
Sarei rimasta sola di nuovo, sarei sprofondata in una perenne inquietudine e ansia.
Ero riuscita a sfuggire, non volevo ricaderci.

I miei rapporti con Elle rimasero gli stessi per tutta la settimana successiva. Era la sera che precedeva la partenza, mi sedetti sul davanzale della finestra: le mie gambe un tempo potevano essere stese, senza che toccassero l'estremo del muro. Ora le dovevo leggermente piegare, per evitare di stare scomoda, e per potermi godere meglio il panorama insolitamente più sereno della città inglese.
Mi poggiai con la testa al muro, e stavo per socchiudere gli occhi quando sentii gli echi di alcuni legeri passi.
«Elle... cosa combini?» domandai quasi scocciata.
«io? Niente di che... assolutamente niente...»
Mi girai verso di lui.
«e cosí... domani ci dovremmo salutare» dissi io, con tono lievemente triste, ma no: non volevo mostrare i miei sentimenti.
«a quanto pare...»
Lo guardai, nella speranza di poter captare qualche segnale di dispiacere, ma niente: era spessa la corazza che si era costruito attorno.
Scesi dal davanzale e mi avvicinai, presi il suo polso e tirai su la manica della maglietta. Passai un dito sopra alla cicatrice.
«almeno non ti dimenticare di me...» sussurrai col sorriso sule labbra.
«e come potrei? Guarda che squarcio...» disse massaggiandosi la ferita.
Fissó il mio collo.
«almeno ti riconosceró quando ci riincontreremo»
Ci abbracciammo l'ultima volta: lo strinsi forte e portai le mie guance a contatto con i suoi morbidi capelli.

Il giorno dopo partí, lo osservai mentre attraversava il vialetto dell'orfanotrofio...
Non era più il fagottino avvolto nel morbido cappotto, ma il suo incedere era rimasto deciso.
Le campane suonarono, il cancello si chiuse.

Death note: Who were You?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora