Il mio incontro con un mondo diverso

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16 Gennaio 1991,
Winchester

Mi guardai attorno confuso.
Respirai profondamente.
I miei occhi studiarono con attenzione le scanalature delle colonne color crema all'ingresso dell'edificio, sovrastate da un'architrave rivestita di decorazioni di stucco: una rosa, un giglio, piccole margherite che contribuivano ad ornare e abbellire la struttura.
Sospirai di nuovo, come se il mio animo tentasse ripetutamente di alleggerirsi dal peso che gravava sulla mia coscienza. 
« Luke, ora avrai modo di riposarti e riprenderti con calma dalla fatica del viaggio: non sforzarti troppo» disse sorridendo l'anziano signore che camminava lentamente di fronte a me, avvolto in una morbida sciarpa beige e un completo di Tweed.
«la ringrazio» risposi, esitando un po' nel seguirlo attraverso il cancello.
L'uomo aprì la porta e mi fece strada all'interno dell'enorme Villa.  Attraversammo un corridoio lungo e stretto, fino a raggiungere il suo ufficio. Lo spazio era piuttosto angusto: il pavimento era rivestito di Parquet di Mogano, le pareti rivestite da pesante carta da parati decorata con motivi floreali ridondanti e al centro della stanza era posizionata una larga scrivania di legno logoro. Sulla superficie dello scrittoio erano accatastate montagne di fascicoli e libri polverosi, milioni di penne stilografiche e una cornice d'argento contenente una fotografia in bianco e nero.
« sono sicuro ti trovarai bene qui, ci sono un sacco di ragazzi della tua età: uno come te non avrà problemi ad ambientarsi.»
Lo guardai fisso negli occhi, percepivo una lieve tensione nell'aria.
«tuttavia...»
« ti devo chiedere di coprire in qualche modo il tuo occhio sinistro. I bambini sono estremamente curiosi ed estremamente crudeli nel dare giudizi sulle altre persone. »
L'anziano signore si interruppe e tolse i suoi occhiali per lucidarli.
«se vuoi possiamo fornirti una benda, oppure degli occhiali con le lenti scure...»
Annuii
« una benda andrá benissimo, la ringrazio»
«la tua camera è al secondo piano, come quelle degli altri, ti farai spiegare dai tuoi compagni quali sono gli orari dei pasti e il coprifuoco la sera.»
Dopo aver finito di pulire gli occhiali, li indossó di nuovo.
«vorrei chiederle se quel ragazzo è ancora in questa struttura...»
L'anziano scosse il capo.
«è andato via qualche tempo fa, ma era arrivato il suo momento. È la nostra punta di diamante, il ragazzo di cui vado più fiero... anche se non dovrei avere preferenze tra i miei bambini» disse, mentre un sorriso si dipingeva sulle sue labbra.
«capisco...»
«tuttavia, se ti può interessare fare amicizia con qualcuno di simile a lui, vai a cercare Heaven... starà facendo qualche scarabocchio davanti alla finestra... la riconoscerai al volo.»
Mentre ascoltavo le indicazioni del vecchio il mio sguardo si posó su una macchinetta fotografica istantanea, posata sopra la pila di polverosi libri.
Il vecchio si accorse che la mia attenzione era stata catalizzata da quell'oggetto; lo prese e lo scosse, eliminando i residui di polvere.
«ho pensato che siccome non potrai godere di una buona visione del mondo, a causa di quel problema di cui abbiamo parlato mentre venivamo qui, potresti interessarti al catturare le bellezze del nostro pianeta, per poi averle tutte a tua disposizione»
Mi porse la macchinetta.
«la ringrazio» dissi sorridendo.
«ora vai, mi raccomando passa a prendere la tua benda all'ingresso della villa, basta chiederla alla signora che troverai seduta al tavolo»

La vita all'orfanotrofio non fu facile come mi era stato prospettato: ogni ragazzo aveva le proprie occupazioni e i propri hobbie, portati avanti con interesse quasi maniacale. Ognuno dei giovani,in un modo o nell'altro, percepivano delle stranezze in me; venni isolato da tutti, mi sentivo diverso, perso. Mi compativo perché ero stato condannato ad un'esistenza penosa a causa di una maledizione che neanche riuscivo a comprendere.
Un giorno uscii fuori dall'orfanotrofio e giocai nel giardino: il sole splendeva in maniera insolita, le nuvole erano rade e il cielo azzurro.
Trovai un pallone abbandonato e iniziai a giocarci. Ad un tratto qualcosa- o meglio, qualcuno- mi afferró alle spalle, scaraventandomi a terra.
«ehi! Si può sapere cosa fai?!»
« questo è il mio pallone, fino a prova contraria tu non puoi giocarci senza chiedere il permesso»
Mi prese per un braccio e mi rialzó a forza da terra.
« tutti noi dell'orfanotrofio sappiamo perfettamente che sei un tipo strano, hai qualcosa di mostruoso... adesso dimmi, cosa nascondi sotto quella benda?!»
Prese il lembo di stoffa e lo tiró, strappandolo.
Divincolandomi riuscii a liberarmi dalla presa, corsi il più lontano possibile ed entrai dentro la villa, sfrecciando verso le sale comuni.
L'interno dell'edificio era vuoto: tutti i ragazzi stavano giocando nel giardino antistante, solo poche persone erano rimaste all'interno.
Mi fermai nel corridoio e ripresi fiato.
Respira.
Espira.
Respira.
Un tremito mi attraverso e notai che avevo una ferita abbastanza profonda vicino al gomito.
Entrai nella prima aula a destra del corridoio, sperando di potermi riposare e di stare da solo.
Mi affacciai all'uscio della porta e subito notai una ragazzina seduta sul davanzale della finestra, con un album da disegno in mano.
Si giró di scatto, osservandomi con insistenza dalla testa ai piedi, soffermandosi sul mio braccio. La ragazza rimase in silenzio per qualche istante, poi fissandomi mi chiese «come ti sei fatto quel taglio?».
Mi fermai un momento ad osservare il suo volto: aveva un viso tondeggiante, candido come la neve, gli occhi penetranti e scuri: una tonalità di marrone simile al nocciola. Il taglio degli occhi sembrava sottile, ma quando li sgranó notai che erano molto grandi. Osservai il suo naso e le sue labbra, serrate in un'espressione indefinita, come se vi fossero incastonate miliardi di parole che non riuscivano a uscire, che rimanevano sospese tra la sua mente e la sua anima. I capelli erano scuri, castani, forse; tuttavia non riuscivo a vederli bene. Aveva una frangia abbastanza lunga, che copriva le sopracciglia e  sfiorava le ciglia nere. Sorrisi istintivamente.
«non è nulla, solo una spiacevole sinergia tra situazioni negative »
Mi osservó corrugando le sopracciglia.
«i tuoi capelli sono sempre stati così...?»
Istintivamente mi portai una mano sul viso, sull'occhio sinistro, capendo che era coperto dai capelli. Tirai un ennesimo sospiro di sollievo.

Dopo quel giorno, tornai spesso ad osservare la ragazza che disegnava alla finestra. Capii solo dopo poco tempo che quella era Heaven: l'amica di Elle di cui mi aveva parlato Watari.
Non ebbi mai il coraggio di avvicinarmi troppo: quella ragazza sembrava avvolta da un velo di tristezza e malinconia infinita, ma al tempo stesso era affascinante e aveva qualcosa di magnetico che mi attraeva con tutte le sue forze. Non riuscii a capire bene cosa fosse, ma la osservai in silenzio e da lontano, senza mai farmi vedere. E lo ammetto, le scattai anche qualche foto, sebbene fosse contrario al regolamento della Wammy's House.
Può sembrare assurdo, tuttavia guardando Heaven mi dimenticavo della mia tristezza e della mia solitudine, quasi come se sparissero,  assorbite all'interno del suo album da disegno e rinchiuse per sempre lì sotto forma di mostri, demoni, creature strane o semplicemente uomini.
Un giorno mentre la guardavo suonarono le campane: improvvisamente si fermò e chinó il capo, tremante, osservando per alcuni minuti il cielo grigio.
Le campane non suonavano tutti i giorni, ma lei aveva spesso questo tipo di reazione, come se potesse sentirle in lontananza, rimbombare, forse in un mondo diverso dal nostro.

N.a.
I'm Back!
E con un capitolo speciale flashback su Luke (che per chi non lo ha intuito è il Narratore di questo capitolo, spero di non avervi confuso >\\\<). Spero vi piaccia e non vi abbia annoiato, dal prossimo capitolo si torna a fare cose SERIEH😹🔝💪🏻
Fatemi sapere con una stellina o un commento, ily

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