Capitolo 1- Il balcone

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Vi faccio una domanda: è possibile, secondo voi, scordare le chiavi di casa dentro casa il giorno di un importante appuntamento di lavoro? Risposta: se si tratta di me, ovviamente si. Fantastico, non trovate?

Appena chiusa la porta, mi accorsi che non avevo le chiavi. Desiderai di prendermi a sberle, magari avendo più di due braccia così da farmi più male possibile. Guardai l'orologio sul telefono: tra due ore sarebbe cominciata la riunione. Che fare? Non potevo uscire senza chiavi, e mia madre, che possedeva una copia delle chiavi, proprio quel giorno aveva deciso di andare a trovare sua sorella nella sua villa di Nemi, e sarebbe tornata solo il giorno dopo. Dovevo assolutamente recuperarle prima della riunione, o mi sarebbe toccato dormire in albergo.

D'improvviso ebbi un'idea: il balcone del mio nuovo vicino, che non avevo ancora conosciuto, né ci tenevo a farlo, stando al tipo gemiti (si, quel tipo!) che si sentiva almeno una volta alla settimana, e che mi costringeva a dormire in soggiorno, era sullo stesso piano del mio. Non solo: li separava solo un cancelletto di ferro battuto, chiuso ovviamente a chiave, ma che era facile scavalcare. Il problema era entrare nel suo appartamento, però. Mi accostai con l'orecchio alla sua porta, e per poco non scivolai, accorgendomi che qualcuno l'aveva lasciata accostata. Probabilmente era la sua amichetta di turno, che mi aveva fatto un enorme favore! Feci capolino, guardandomi intorno: silenzio assoluto. Forse, data l'ora, stava ancora dormendo. Mi guardai indietro: nessuno neanche sul pianerottolo. Non persi tempo, ed entrai, chiudendomi la porta alle spalle con delicatezza. In quel momento, il mio cellulare cominciò a squillare, facendomi sobbalzare. Mi affrettai a silenziarlo, maledicendo in tutte le lingue, anche quelle che non sapevo di conoscere, la mia segretaria, il cui nome lampeggiava sullo schermo."Pronto?" sussurrai, sperando che il mio vicino stesse ancora dormendo beatamente, ignaro che fossi nel suo salotto. "Ale? Ti senti bene? Hai una voce strana" rispose lei, perplessa. "Rita,cosa c'è? Sono impegnata adesso!" dissi, cercando di mantenere il tono della voce vicino al sussurro, e avanzando lentamente verso la cucina, dove sapevo che avrei trovato il balcone. "Volevo dirti che la riunione è stata anticipata. Ti devi sbrigare, o farai tardi." Disse lei, imperterrita. Quella giornata era partita decisamente male, riflettei, prima di aver assicurato a Rita che sarei arrivata nel giro di poco tempo. Mi infilai in cucina, cercando di avere un passo felpato, quando mi accorsi che qualcuno, dietro di me, mi stava osservando. Mi fermai all'istante, impietrita. Che fare? Sarei stata accusata di violazione di domicilio, e addio promozione! Mi voltai con calma, alzando le mani come si vede nei film. Mi voltai e vidi un gatto nero, dagli occhi verdi, che mi scrutava, curioso. Davanti a lui aveva una ciotola vuota, molto probabilmente era in attesa della colazione. Sospirai di sollievo così rumorosamente che mi tappai subito la bocca: dovevo stare attenta,maledizione! In quel momento sentii dei rumori provenire dalla camera da letto. Evidentemente il caro vicino si era svegliato. Fortunatamente i passi si stavano dirigendo altrove, forse verso il bagno. Il sollievo rischiò di uccidermi di nuovo. Ma proprio in quel momento il gatto, con quello che mi parve un sorriso perverso, cominciò a miagolare. I passi si arrestarono, e con mio sommo orrore, cominciarono a dirigersi verso la cucina. Cioè, per essere più precisi, verso di me, e verso la mia condanna. Cercai di zittire il gatto in tutti i modi, sussurrando promesse di croccantini al caviale, ma quello continuava a miagolare beato. I passi erano troppo vicini, cazzo! mi voltai in cerca della salvezza, e rischiai quasi di scardinare la porta finestra, che mi chiusi alle spalle. Mi diressi verso il mio balcone, e stavo per scavalcare il cancelletto, vedendomi già libera, quando una voce disse: "Ferma dove sei".

Se la vogliamo vedere da un certo punto di vista, era una situazione piuttosto comica. Un uomo niente male, con i capelli corti neri e gli occhi verdi come il suo gatto, mi fissava severo, a braccia conserte. Io ero rimasta bloccata sul cancello, con una gamba alzata, neanche fossi Nadia Comaneci. La cosa tragica era che non avevo una tutina aderente da ginnasta, né tantomeno la sua agilità.

"Posso sapere chi sei e perché sei in casa mia?" chiese, con una voce profonda e anche piuttosto sexy. Calma, Alessia, cerca di pensare lucidamente. Richiamai tutto il mio autocontrollo, e sorrisi, rischiando però di slogarmi una mascella. "Ehm, ciao, sono Alessia, la tua vicina" dissi, indicando la mia portafinestra. Salutai con la mano, come un'idiota. Lui continuava a fissarmi in modo severo, e ovviamente non ricambiò il saluto. "Mi sono scordata le chiavi dentro casa, così ho pensato di passare da casa tua..." continuai, cercando di assumere una posa che permettesse al sangue di fluire normalmente nelle gambe. L'uomo piegò la testa di lato, continuando a guardarmi. Un lampo di interesse gli balenò nello sguardo. "Davvero? Peccato che io non ti abbia sentito bussare..." rispose, ironicamente. Touchè. " Beh, la porta era socchiusa. Non volevo disturbare..." azzardai, a mo' di difesa. Il mio vicino parve perplesso. "Socchiusa?" io annuii. "Già." Confermai. L'uomo alzò gli occhi al cielo, forse maledicendo la sua amante che aveva permesso alla sua vicina psicopatica di entrare in casa sua. Poi il suo sguardo tornò a concentrarsi su di me: "Comunque hai commesso un reato. Stavo dormendo, e oggi ho un'importante riunione di lavoro..." riprese, con aria bellicosa. Evidentemente era il giorno delle riunioni importanti, mi dissi. "Si beh, si dà il caso che anche per me sia una giornata importante...perciò ciao e grazie!" conclusi, scavalcando il cancello, ed approdando finalmente sul mio balcone. Vittoria! Ma il mio vicino non era dello stesso parere. "Ehi, guarda che potrei ancora denunciarti per violazione di domicilio!" protestò, incrociando le braccia, anche se sembrava meno offeso. "Ah si? In questo momento mi trovo a casa mia. E poi chi chiameresti a testimoniare, il tuo gatto?" ribattei, e sorrisi trionfante alla sua espressione. Vittoria di nuovo. Mi avvicinai alla mia portafinestra: grazie a Dio avevo lasciato le persiane accostate. Lo salutai con la mano, ed entrai.

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