Capitolo 40

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«Signorina Alice, è ora di svegliarsi

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«Signorina Alice, è ora di svegliarsi.» sussurrò la voce di una donna mentre sentivo che apriva le tende della mia stanza lasciando che la luce illuminasse tutto.

Avevo appena passato una notte sfiancante con Jack e speravo che non sarebbe venuto nessuno a svegliarmi, ma a quanto pareva i piani erano diversi.

Quando aprii gli occhi scrutai la sagoma sfocata della nostra domestica, Mrs. Mary, stava piegando i vestiti stropicciati che avevo lasciato in fondo al letto prima di andare a dormire.

«Buongiorno Mrs. Mary.» salutai la donna che conoscevo da una vita.
«Buongiorno cara. Non volevo disturbare, ma ci sono delle persone che ti aspettano al piano di sotto.» sorrise dolcemente. 

Stavo per fare l'ultimo gradino quando inciampai vedendo un ragazzo di spalle, alto e dai capelli corvini. Riconoscerei quella sagoma ovunque.

Non poteva essere lui. Alex. Lui era lì.

Emisi un gemito quando le mie ginocchia toccarono il pavimento freddo. Lui si girò sentendo il tonfo che fece il mio corpo cadendo.

«Buongiorno Alice» mi salutò. Vederlo lì, in piedi di fronte a me, aveva cancellato per un momento tutti i giorni brutti che avevo trascorso dopo aver lasciato Los Angeles. Sentire la sua presenza era come se non avessi mai incontrato Jack alla UCLA e come se non fossi mai tornata a Manhattan.

Per quel breve istante mi illusi che stavo bene, che ero felice.

Si avvicinò a me aiutandomi a rialzarmi. Mi stava guardando sorridente. Dio, quanto mi era mancato il suo modo giocoso di prendermi in giro.

«Ciao Alex.» dissi inspirando di colpo tutta l'aria.
Fu proprio nel momento in cui lo vidi sorridermi che tutto si fermò, il tempo, il rumore, il mio cuore.

Alex era davvero lì, con il suo ghigno astuto ed attraente, con il suo profumo che sarei stata capace di riconoscere ovunque, con i suoi occhi argentei che mi scrutavano da testa a piedi.

Alex era lì che mi sovrastava con il suo metro e novanta, i suoi muscoli ben scolpiti e i suoi innumerevoli e sexy tatuaggi che si intravedevano attraverso le maniche della sua camicia. 

«Ti vedo meglio.» mi fece notare alludendo all'ultima volta che lo vidi. Quel pomeriggio gli avevo detto di lasciarmi e di tornare a Los Angeles. Quel pomeriggio gli avevo detto di non amarlo. E di colpo mi ricordai del motivo per cui lo avevo fatto.

Avrei tanto voluto saltargli addosso e abbracciarlo e baciarlo. Davvero. Ma non potevo mandare all'aria tutti i miei sforzi per tenerlo lontano da me. Non quando ero riuscita a convincere me stessa che ce l'avrei fatta, a sopravvivere anche senza di lui.

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