Capitolo 42

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Una parola, cinque lettere

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Una parola, cinque lettere...

Chi l'avrebbe mai detto che una singola parola di cinque lettere potesse travolgerti a tal punto da non riuscire più a respirare.

La sensazione che stavo provando in quel momento, lì, seduta sulle piastrelle bianche e fredde del bagno, appoggiata ancora alla porta sperando che qualcuno arrivasse e che la aprisse per portarmi via, era devastante. In cuor mio sapevo che non sarebbe arrivato nessuno; quelle cinque lettere me lo avevano fatto capire benissimo.

Cinque lettere.

Addio.

Non era l'unica parola di cinque lettere in grado di farti stare male: amore, morte, addio...

Per una strana coincidenza questa serie di parole porta solo devastazione nel cuore delle persone. O forse era solo il mio ad essere maledetto.

Forse io non meritavo altro che quello. Forse ero sempre stata destinata a vivere nella tragedia. Forse qualcosa che avevo fatto in passato mi ha condannata per sempre.

I miei pensieri stavano percorrendo ognuno strade diverse quando la voce calma di Mrs. Mary mi chiamò.
«Cara? Volevo assicurarmi che tu stessi bene; sei lì dentro da un po'.»
Mi alzai di scatto temendo che potesse vedermi vulnerabile.
Mi schiarii la voce «Non si preoccupi Mary, sto bene. Adesso esco.» Andai allo specchio e cercai di sistemarmi il meglio possibile prima di riaprire la porta. Mrs. Mary era in piedi di fronte a me che mi guardava con aria afflitta. Ricambiai anche io lo sguardo, consapevole del fatto che avesse capito tutto.

Lei era stata l'unica persona ad essersi presa cura di me dal giorno dell'incidente. Ma non riuscivo comunque ad avere molta confidenza con lei. Non mi fidavo abbastanza da raccontarle quello che mi stava accadendo. Anche se, con molte probabilità lo aveva già capito.

«Lo sai cosa farebbe tua mamma in un'occasione del genere?» mi chiese abbracciandomi. Sì che lo sapevo; quando stavo male la mamma era lì, pronta a rassicurarmi nel modo più dolce che potesse esistere: con una tazza di cioccolata calda e dei marshmellow. Sì, non era una delle cose più utili al mondo, ma era il gesto dolce che mi aiutava a stare meglio e sopratutto sentire la presenza di mia madre e il suo appoggio.
«Magari un'altra volta. Adesso proprio non ce la faccio, scusami.»

Rifiutai e mi diressi verso la mia stanza. Entrai e guardai il letto ancora disfatto. Lì Alex ed io ci eravamo detti ti amo e scambiati promesse che sapevamo non avremmo mai mantenuto. O perlomeno io non le avrei mai mantenute. Lì gli aprii tutto il mio cuore, noncurante che poi avrei dovuto chiuderlo di nuovo nella cassaforte e che avrei sofferto.

Volevo concedergli tutt'a me stessa, volevo conoscere quella sensazione che si ha quando si fa l'amore con la persona che si ama. Volevo sentire che in quel momento lui era mio ed io ero sua. Volevo farlo perché sapevo che non avrei mai più rivisto quegli occhi argentei.

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