1. L'inizio della fine

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Non è sempre stata così la mia vita.

Una volta avevo dei sogni, delle aspettative e, onestamente parlando, un brillante futuro davanti a me.

Ero abbastanza soddisfatta di chi ero. O meglio, dell'immagine che mi ero faticosamente costruita.

Nessuno apprezza la diversità, seppur al giorno d'oggi tutti cerchino di accettarla. Le campagne pubblicitarie, gli slogan, addirittura i partiti politici giocano molto sulla bellezza della diversità, ma chissà perchè, una volta che si ha davvero a che fare con essa, tutto diventa duro e difficile, e siamo subito pronti a chiudere le porte che avevamo lasciato socchiuse.

Io ero diversa: una diversità grazie alla quale, se sei all'ultimo anno delle superiori, ti classifica automaticamente come sfigata ed emarginata sociale.

Lo ammetto, ci ho sofferto a lungo, ma l'ho sempre trovata una cosa stupida ed infantile.

Il primo giorno di scuola mi sedetti accanto ad una ragazza dai capelli rosa. La trovavo buffa, non se ne vedevano molte in giro. Eppure la invidiavo, passando la mano fra i miei banalissimi capelli castani. Già, perchè non era quella la diversità. Lo poteva sembrare, ma non lo era.

Lei ci mise poco ad integrarsi, io non ci sono mai riuscita.

La ragazza dai capelli rosa rideva, scherzava, portava scarpe costose ed aveva uno zaino nuovo ogni anno: le altre la salutavano, ridevano alle sue battute e le facevano i complimenti per i vestiti. Io invece osservavo queste piccolezze, classificando ogni persona, ogni sorriso falso, ogni atteggiamento ipocrita.

Io osservavo, anche perchè non potevo fare altro.

I miei genitori iniziarono ad interessarsi presto del mio brillante andamento scolastico: i professori li convocavano spesso per un colloquio, mi osservavano quando gironzolavo per casa, domandandosi se fosse il caso di chiedermi quando trovassi il tempo per studiare. Io non ho mai fatto domande a loro, ed alla fine nemmeno loro mi interrogarono mai, eppure la curiosità era sempre troppa.

"Tesoro, vorremmo chiederti un favore." esordì un giorno mia madre.

Ero a metà del primo anno di superiori, e lei non faceva che guardarmi con amore, accarezzandosi il pancione. Era all'ottavo mese.

La gravidanza rendeva mia madre più radiosa ed amorevole, mentre mio padre risultava sempre molto nervoso ed iperprotettivo nei suoi confronti. Erano così dannatamente diversi, e così perfetti insieme.

Mi ricordo che mi sedetti sulla poltrona rossa del salotto, con in una mano una fetta di red velvet e nell'altra l'Otello di Shakespeare.

"Vorremmo chiederti se per te sia un problema fare qualche incontro con uno specialista. Qualcuno che ci possa dire come fai ad essere così.... perfetta." disse lei, cercando di non farmi intuire la nota di preoccupazione nella sua voce.

Non ci feci caso, io ero davvero perfetta. E di questo se ne erano accorti tutti, anche in classe.

E forse è per questo che me lo chiese: per riuscire a capire perchè tornassi sempre a casa con qualche livido o qualcosa rovesciato addosso.

La vita a scuola non è facile per nessuno, nemmeno per i più popolari.

Per me era una lotta per la sopravvivenza.

Una lotta che ho imparato a gestire molto presto.

C'era una ragazza, il cui nome era tanto fastidioso quanto stupido: Breehanna era la classica figlia di papà, ricca sfondata e con l'aria da angelo, che se infastidita era in grado di rovinarti la vita.

-When The Lines Overlap.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora