8. Pagine

165 30 14
                                    

Rimango impietrita col telefono sollevato, incapace di proferir parola, spaventata e anche abbastanza incazzata.
Quello psicopatico inizia ad inquietarmi davvero, e non è affatto positivo. Devo assolutamente parlarne con Popper, spiegargli la situazione in modo che mi tolga quel decerebrato dalle palle.
"So che sei tu Val, smettila di fare l'idiota." Dice ancora lui.
Ma io davvero non so che dire. Vorrei dirgli di smetterla di infastidirmi, vorrei dirgli che non ho intenzione di diventare sua amica ne ora né mai, ma al contempo vorrei tanto pregarlo di non attaccare, di raccontarmi cosa gli è successo. Voglio sentire uscire dalla sua bocca parole terribili, ricche di sensi di colpa e rimpianti. Voglio sapere che c'è davvero chi sta peggio di me e voglio che sia lui a confermarlo. Voglio buttare tutto il lavoro con Popper nel cesso e sperare che nessuno tenti più di rompermi le scatole su questa storia. Io non esco. Io non socializzo.
Io ho paura.
"Val, andiamo, non fare la bambina." Dice lui.
Sgrano gli occhi e tendo l'orecchio: il suo tono è diverso da quello che aveva in salotto. Sembra quasi supplichevole.
Sembra quasi infantile.
All'improvviso le immagini si sovrappongono repentine, come se fossi in due luoghi contemporaneamente, ed il flashback mi si para davanti violentemente.
"Andiamo Echo, non fare la bambina!" Urla Britt con la sua vocina " Io voglio salire con te sull'ottovolante! Dai! Ti prego!" Dice tirandomi la gonna nera.
"No Britt, non posso venire. Per me è un anno importante questo, non posso saltare scuola come se nulla fosse, ho il test per il college fra poco." Spiego paziente.
"Ma tu sei All, come dice la mamma! Tu non studi, tu sei super intelligente!" Urla Britt "Non hai bisogno della scuola tu! Vieni con noi alle giostre!" Piagnucola.
"No Britt, questa volta no, ma la prossima volta andiamo a Disneyland, solo io e te, ok?" Dico accarezzando la testa della bambina. Lei annuisce piano, asciugandosi le piccole lacrime che le si erano formate agli angoli degli occhioni verdi.
"Mi porti a Disneyland?" Dice ridendo Xav, riportandomi alla realtà.
Sento gli occhi bruciare e la vista inizia a diventare sfocata a causa delle lacrime.
Se dovessi tornare indietro, non permetterei a niente di impedirmi di seguire Britt, non rifarei mai più lo stesso errore. Potevo esserci io al suo posto. Dovevo esserci io al suo posto.
Dovevo morire io, ed invece è morta lei.
"Val? Sei ancora lì?" Dice Xav dall'altra parte del telefono.
"Smettila." Dico secca.
"Quanto ci hai messo a capire che era il mio numero?" Mi chiede con tono canzonatorio.
"Abbastanza da pentirmene" dico "Non posso parlare con te se non sott'ordine del mio psichiatra. Quindi smettila. Non voglio avere nulla a che fare con te." Continuo acida.
"Vedremo." Dice lui prima di riattaccare.

Passo il resto della serata a piangere nel letto.
Ripensare all'accaduto mi fa venire delle crisi isteriche da record, così cerco un modo per distrarmi, per non pensare: ma più ci provo più fallisco. Non ha senso, questo mio turbinio di emozioni, ma ormai sono anni che non ho più il controllo di me stessa e di ciò che provo, ormai ci ho fatto l'abitudine.
Mi alzo lenta, le luci nella casa sono tutte completamente spente: non ci sarebbero rumori se non fosse per il ronzio del frigorifero e il sibilo della caldaia.
I miei genitori probabilmente saranno già nel mondo dei sogni e la cosa non potrebbe darmi più soddisfazione: da quando Britt è scomparsa, mamma ha rischiato di cadere con me.
Perdere una figlia di 6 anni e scoprire che l'altra ha squilibri mentali può essere un duro colpo per chiunque, e naturalmente lo è stato anche per lei.
Le crisi di pianto colpirono prima mia madre: scoppiava a piangere ovunque, anche nei posti più impensabili.
Ricordo che poche settimane dopo il funerale, mio padre fu chiamato da un operatore degli uffici postali perchè mia madre era scoppiata in lacrime davanti allo sportello e non riusciva a calmarsi.
Inutile dire che era dovuto correre da lei, mollando il lavoro e ricevendo un richiamo dal direttore dell'ufficio.
Tanto rumore per nulla si suol dire. Ma qui un motivo c'era, ed era più che giustificato.
La gente non sa mai che fare davanti ai lutti: la maggior parte cerca di cavarsela con un "condoglianze" o un "ti sono vicina". Cazzate. Tutte cazzate. Ho odiato ogni singola parola detta da ogni singola persona, quel giorno. Ho odiato pure mia madre, quando mi chiese se volevo fare una pausa ed andare a mangiare. Ho odiato pure me stessa per aver detto di sì.
Arrivo davanti alla porta del salotto ed accendo la luce, che mi colpisce in pieno viso e mi porta a socchiudere gli occhi, abituati al buio della mia camera.
Attraverso la stanza, cammino a piedi scalzi sul grande tappeto persiano che occupa più di metà del salotto e passo accanto al tavolino di cristallo: allungo una mano e prendo una manciata di caramelle dalla ciotola di ceramica decorata, portandone due alla bocca e mettendo le altre nelle tasche della felpa extra large che indosso.
Cammino verso il divano ed una volta superato mi ritrovo davanti alla libreria.
Conosco a memoria più della metà dei libri che contiene, ogni frase, ogni parola, rimane impressa nella mia mente come se fosse marchiata a fuoco. Ricordo le frasi divertenti e quelle irritanti, quelle sdolcinate e quelle deprimenti. Ricordo pure quelle che mi fanno soffrire, quelle che mi procurano dolore, e spesso le sfrutto, me le ripeto, solo per farmi  male quando credo che ormai l'apatia si sia impossessata di me.
Di solito le uso per vedere se il Valium o lo Zyprexa abbia fatto effetto. E spesso fanno solo un male cane.
Mi avvicino piano, buttando l'occhio sui volumi e passandoci un dito sopra, pronta a scegliere quale fra tutti questi piccoli ammassi di polvere sia il prossimo ad entrare nella mia testa. Scorro tra titoli già letti e riletti e quelli recenti, alcuni hanno ancora il cellophane a ricoprirne la copertina, altri sono così consumati che sembrano venire da un'altra epoca.
Il dito si ferma improvvisamente su un libretto piccolo e nero, un po' consumato e senza un filo di polvere: un piccolo libro nero in mezzo ad una marea di libri rossi.
Perchè è fuori posto? I miei genitori sono consapevoli delle mie manie e non metterebbero mai a soqquadro i miei disturbi ossessivo-compulsivi. Ed io sono troppo precisa per aver sbagliato. Io non sbaglio. Mai.
Sollevo la mano ed afferro la pelle nera che lo riveste, rabbrividendo al contatto fra la freddezza di questa ed il calore delle mie mani.
Lo osservo attentamente ma non ci sono indizi che mi dicano che cosa sia, ed aprendolo noto che la prima pagina è stata strappata, piegata a metà ed inserita ad un terzo del volume. La apro e leggo le tre righe che ci sono stampate a caratteri semplici, seguite poi dal disegno di una piccola rosa dei venti a matita:

CHUCK PALAHNIUK
-
TUTTE LE OPERE

Conosco questo scrittore, ma non ho mai letto nulla di suo. Motivo? È vivo. Ed io non leggo di gente viva. Troppe cose nascoste, troppe cose non chiare.
Faccio scorrere le pagine e noto che molte frasi sono sottolineate, e su alcune ci sono addirittura degli appunti o dei piccoli disegni.
Continuo a far scorrere le parole davanti ai miei occhi, quando noto che ad un paio di pagine mancano gli angoli.
Xavier non ha strappato nulla dai miei libri.
Ha strappato il suo.

-When The Lines Overlap.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora