11. Sfogarsi

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"Saremo ricordati più per quello che distruggiamo che per quello che creiamo."

Chuck Palahniuk – Invisible Monster

"Britt!" Urlo senza sosta, spostando nervosamente le tende della sua camera,e lanciando poi i cuscini giù dal letto. Continuo a guardarmi attorno con lo sguardo perso, cercandola nervosamente con gli occhi.
"Britt" urlo ancora, mentre, correndo attraverso la stanza, inciampo nel tavolino, mandando in frantumi le  sue minuscole tazzine di porcellana. Sono a terra, i palmi sono pieni di schegge bianche,dalle quali sgorgano sottili fiotti di sangue.
"Ti prego, Dio, se davvero esisti, non portarmela via! Ti prego, prendi me, cazzo, per favore! Ha solo sei anni, Cristo! Non puoi!" Le lacrime colano piano fino alle labbra, le mie suppliche diventano salate, colme del mio pianto e della mia disperazione.
"Brittany! Ti prego! Ti prego! Non lasciarmi, per favore, ti prego. Io ho così tanto bisogno di te. Ti lascerò provare il mio ombretto azzurro, quello che ti piace tanto. Ah, dobbiamo andare a Disneyland, insieme! Ti ricordi? Te l'avevo promesso!".
Le fotografie appese al muro della mia sorellina mi fissano sorridenti ed io non posso fare altro che piangere, perché non potrò riabbracciarla mai più.
La rabbia di questa consapevolezza mi monta dentro, mi guardo attorno spaesata, consapevole che questa stanza è troppo triste per essere quella di Britt: la sua presenza portava luce, qui c'è solo il buio dato dalla sua morte. Questa non può essere la stanza di mia sorella.
Mi alzo dolorante, le schegge mi fanno pulsare i palmi e le ginocchia, ma l'adrenalina che mi scorre nelle vene al momento mi dà energia e mi permette di ignorare il dolore.
L'ho fatto per mesi, anni, non saranno un paio di graffietti a sconvolgermi la testa.
Guardare ciò che mi circonda mi fa venire la nausea, non ne posso più di tutta questa finzione: perché mantenere la camera tale e quale a come l'aveva lasciata? Che sperano, che un giorno bussi alla porta pronta a riprendersi ciò che le era appartenuto? No. Non accadrà. E se non può succedere, perché farlo?
Per tenere aperte le ferite, ecco perché.
Le lacrime continuano ad attraversare il mio volto, lente e calde, fino a finire sulla maglietta e sul tappeto.
Allungo le mani ed apro l'armadio che trovo sulla mia destra, le piccole ante si aprono scricchiolando, rivelando una montagna di abitini e di jeans pieni di lustrini. Afferro il costumino da ballerina che Britt amava mettere e me lo porto alla faccia: inspiro il suo profumo e lo macchio con il sangue che mi sgorga dalle mani misto alle lacrime salate che mi colano dal viso.
L'abbiamo comprato per il suo sesto compleanno: erano svariati mesi che si metteva a saltellare per la stanza fingendo di essere una ballerina famosa, dicendo che era come Odette e che avrebbe fatto Il Lago dei Cigni da grande. Volevamo regalarle qualcosa che la facesse sentire un pochino più vicina al suo sogno, così quel sabato sera le avevamo consegnato un grosso pacco rosa e lilla, con un enorme fiocco in cima, pieno di brillantini. Lo sguardo di Britt si era illuminato alla sola vista della confezione, dicendo che sembrava un regalo per una principessa.
"Ma tu sei una principessa, Brittany" le aveva detto la mamma accarezzandole la testolina.
Lei aveva sorriso ed aveva iniziato a rompere la carta, rivelandone il contenuto: un body bianco, con una gonna di gonfio tulle, un paio di scarpette da ballo ed una coroncina di strass e piume.
Era corsa ad indossarlo ed aveva improvvisato un balletto solo per noi tre.
Ed adesso cosa ne è rimasto? Un vestito bianco macchiato di rosso. Un servizio giocattolo di porcellana rotto. Un tappeto macchiato di tempera.
Ed una ragazza completamente rotta dentro.

Mia madre rincasa dal lavoro alle sei e trentaquattro.
Le persone normali direbbero semplicemente 18.30, ma io no.
Io conto pure i minuti che le servono per scendere dall'auto, recuperare la posta e salire le scale: quattro minuti e dodici secondi.
Sono quei quattro minuti che fanno la differenza, quattro minuti in cui posso decidere quale immagine di me vedrà durante la serata. Se quella depressa, se quella assorta, se quella impasticcata.
Quattro minuti in cui fabbrico una personalità usa e getta.
Oggi però, per chissà quale scherzo del destino, quei quattro minuti non le sono serviti, ed è riuscita a rincasare 7 minuti prima.
"Echo?" la sento dire ad alta voce "Ho comprato la pizza, ne vuoi un pezzo per cena?".
Mi giro di scatto verso la porta chiusa, ancora fra le lacrime: non le piacerà quello che vedrà non appena aprirà la porta. Non le piacerà proprio per niente.
Mi accuccio in posizione antipanico dietro le tende della cameretta di Britt, in attesa che mi trovi.
Sto piangendo da talmente tanto tempo che non mi ricordo più come si fa a smettere: guardo ciò che ho combinato in questa stanza e mi vergogno di me stessa.
Ci sono diversi cuscini rotti a terra, il loro contenuto è sparso sul pavimento, insieme ai cocci di ceramica e ad alcuni vestitini. Lo specchio è pieno di crepe, alcune schegge sono sul pavimento e circondano un grosso portafoto in argento con la foto mia e di Brittany.
"Mamma ti sgriderà." Dice la vocina acuta di mia sorella.
"No, mamma non mi sgriderà. Ci passerà sopra, come fa sempre." Sussurro piano, più al fantasma di Britt che a me stessa.
"Oh, invece si. Non ti farà mangiare il gelato per merenda, così avrò tutto il cioccolato per me." Continua lei.
Alzo piano la testa, consapevole che sto solo rivivendo uno dei tanti sporadici momenti di psicosi che accompagnano la mia malattia mentale.
Ma quando guardo verso la porta, vedo Britt, con le braccine incrociate che mi guarda con disappunto.
"Tu non sei reale." Dico piano.
"Smettila, sono qui." Dice lei infastidita.
"No, tu non sei qui, tu sei morta, morta!" Urlo.
"Smettila, mi fai paura!" Urla Britt con le lacrime agli occhi "Io ti voglio ben, Echo." Dice ancora, stavolta con malinconia.
Se fossi stata con lei, in quel momento, mi avrebbe detto la stessa cosa?
"Ti prego, ti prego!" Urlo più forte.
"Cosa ti succede?" Mi chiede avvicinandosi incuriosita.
"Britt, mi manchi tanto. Non riesco a superarla, questa cosa, non riesco ad accettarla. Il mondo fa schifo e la gente che ci vive è solo feccia. Come hai potuto lasciarmi qui? Da sola? Io avevo dei progetti, dovevo portarti a Disneyland, dovevamo andare al mare, dovevi iscriverti a danza! Perché te ne sei andata così presto?" Quello che dico risulta poco comprensibile, mangiato dalle lacrime e dai singhiozzi.
Ogni lacrima mi raggiunge le labbra, rendendo le parole salate, mi sfrego gli occhi e le ferite bruciano.
Urlo, grido tanto forte da attirare l'attenzione di mia madre, che si precipita in camera spaventata.
"Che cosa è successo qui, Echo?! Che diamine hai fatto?!" Si avvicina a me spaventata, mi prende fra le braccia mentre io continuo irrefrenabilmente a piangere.
Mi scuote più volte, fino a quando il mio sguardo si posa su di lei, sul suo viso bello ma stanco e stressato, pieno di dolore e di forza d'animo.
Il suo sguardo, solitamente dolce e comprensivo, stavolta è duro e pieno di rabbia.
"Scusa, scusa! Io non volevo! Ma lei non c'è più e qui è tutto così spento, così triste." Farnetico.
"Non ce la faccio, Echo, non la reggo più questa situazione. Davvero, vorrei passarci sopra, ma tuo padre è del mio stesso parere. E dopo questa tua sceneggiata, hai davvero toccato il limite. Domani chiamerò il Dottor Popper. Accetterai qualsiasi terapia ti proporrà. E stavolta niente cazzate. O sei fuori di qui entro la fine del mese." Dice, uscendo poi dalla stanza asciugandosi qualche lacrima e sbattendo la porta.

-When The Lines Overlap.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora